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SAE, 50 anni di ecumenismo a Piacenza

Al Collegio Alberoni prospettive ecumeniche a confronto. “Oggi il rischio è che il dialogo interconfessionale diventi più banale e meno consapevole”

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Il SAE (Segretariato Attività Ecumeniche) a Piacenza compie 50 anni. O sarebbe meglio dire, l’ecumenismo a Piacenza compie 50 anni. È grazie infatti alla sezione locale dell’associazione interconfessionale di laici, fondata a livello nazionale nel 1947 da Maria Vingiani, che ha potuto svilupparsi nella nostra diocesi un solido e ben strutturato movimento di dialogo tra i diversi modi di vivere la fede cristiana.

Per festeggiare quest’importante traguardo è stato organizzato nella mattinata del 12 ottobre, nella Sala degli Arazzi del Collegio Alberoni, un convegno in cui si sono ripercorse le tappe di quest’appassionante percorso dal 1969 ad oggi.
Questa storia è stata racchiusa in un libro scritto da Lucia Rocchi, attuale presidente del SAE cittadino, dal titolo “50 anni di ecumenismo a Piacenza (1969-2019). La sua storia nel 50° dalla nascita del SAE”, presentato per l’occasione da padre Giuseppe Testa, amico e consulente del gruppo che dal 1974 tiene il partecipatissimo corso biblico organizzato dal segretariato ecumenico.
“Uno spaccato dell’ecumenismo italiano - ha commentato padre Testa parlando del volume -, che ricostruisce, soprattutto attraverso documenti scritti, una storia vissuta in prima persona dall’autrice. Scorrendo le pagine del libro ci si rende conto di quanto sia stato faticoso il cammino per far entrare il dialogo interconfessionale nella Chiesa: oggi tutto ciò è qualcosa di più ordinario nella vita dei credenti, anche di più mediatico. Il rischio è che diventi quindi più banale e meno consapevole”.


saeIMG 20191012 095242LE TANTE VOCI DELL’ECUMENISMO IN ITALIA

Il convegno al Collegio Alberoni è stato però anche, e soprattutto, l’occasione per dare spazio ad alcune voci significative nel campo dell’ecumenismo.
“La nostra intenzione - ha precisato la stessa Rocchi nelle battute iniziali della conferenza - non era quella di organizzare un momento meramente celebrativo ma piuttosto di dare vita ad una riflessione con i tanti soggetti che partecipano al dialogo religioso in Italia”.

Dopo un commento introduttivo del vescovo mons. Gianni Ambrosio, che si è detto convinto di come “non vi possa essere cammino ecumenico senza una conversione del cuore e della mente”, e a cui hanno fatto seguito i saluti della comunità metodista-valdese e di quella ortodossa macedone, si è entrati quindi nel vivo della giornata con gli interventi dei relatori.

Prima il presidente nazionale del SAE, Piero Stefani, si è interrogato su quali siano i problemi maggiori che vivono le chiese cristiane oggi.
“Viviamo un’epoca frammentata, in cui convivono identità diverse - ha detto -: oggi uno dei nodi principali è quello di come trasmettere le parole della fede ai più giovani: questo è uno dei più grandi problemi ecumenici, in quanto tutte le chiese storiche ne sono accomunate”.

È stato poi il turno di fratel Guido Dotti del monastero di Bose, dove l’ecumenismo viene vissuto come realtà quotidiana.
“La nostra è una comunità mista e variegata, ma ciò non significa che abbiamo creato una chiesa nuova o alternativa; attraverso l’incontro e l’ascolto dell’altro, e grazie alla parola di Dio, diventiamo fratelli e sorelle. Interessandoci alle altre chiese ci avviciniamo anche alle loro ricchezze spirituali: Bose, in definitiva - ha aggiunto - è un luogo dove non si ha paura di essere giudicati”.

saeIMG 20191012 105836Un grande laboratorio di ecumenismo è senza dubbio quello nato a Loppiano su iniziativa del movimento dei Focolari.
A rappresentarli c’era don Mimmo Maghenzani, originario di Piacenza, che ha precisato come “in origine la prospettiva ecumenica non fosse alla base della creazione di questo posto. Il fatto però di vivere la parola del Vangelo ha portato ad avvicinarci agli altri fratelli. Come diceva Chiara Lubich - ha ragionato - è fondamentale creare un’ossatura spirituale comune per dare senso al dialogo tra confessioni: il punto d’origine sta nell’amore di Dio, al quale possiamo aderire solo vivendo la sua parola”.

Infine una riflessione anche da Alberto Corsani, direttore del settimanale evangelico “Riforma”, il quale oltre a fornire resoconti delle iniziative ecumeniche in Italia si occupa anche di lanciare dibattiti intorno a questa tematica.
“Ho notato - ha spiegato - tre atteggiamenti di fondo quando si parla di ecumenismo: ci sono i sostenitori entusiasti, chi ammette l’importanza della questione ma alza barricate e infine chi ignora totalmente la faccenda. Credo - ha proseguito - che le differenze tra confessioni vadano superate soprattutto per far fronte ad una problematica di tipo generazionale: le famiglie hanno infatti il compito di parlare ai giovani, i quali sono sempre più convinti di poter vivere in una società senza Cristo”.

“A Loppiano l’unica carta d’identità è quella dell’amore reciproco”
La testimonianza di don Mimmo Maghenzani sulla vita ecumenica nella cittadella fondata dal movimento dei Focolari

Brucia ancora a Loppiano (Firenze) “l’incendio d’amore” di cui parlava Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari, quando si riferiva alla primogenita delle venticinque cittadelle erette dal movimento per creare una convivenza multiculturale fondata sulla vita evangelica?
A sentire don Mimmo Maghenzani, sacerdote originario di Piacenza che lì ci vive, pare proprio di sì.
La sua testimonianza ha arricchito il convegno per i 50 anni del SAE (Segretariato Attività Ecumeniche) a Piacenza, andato in scena il 12 ottobre nella Sala degli Arazzi del Collegio Alberoni.

“A Loppiano - ha detto - oggi ci sono circa 850 abitanti di 65 nazioni. Alcuni risiedono qui stabilmente, altri si fermano per non più di un anno o poco più. È un punto d’incontro tra popoli fondato sulla vita evangelica in cui vi è massimo rispetto delle diversità. Anche se - ha aggiunto - quando ci si pone sul piano dell’amore reciproco le differenze svaniscono; una volta che entri qui fai un patto solenne, che tu sia ortodosso, anglicano, cattolico: la carta d’identità del cittadino di Loppiano spinge infatti a rimanere nell’amore reciproco".

Ma come si vive nella cittadella?
“Ci si mantiene - ha spiegato don Maghenzani -, ci sono le «aziendine», i convegni e poi le scuole. Loppiano è un coagulo di dodici istituti internazionali aperti ai giovani, alle famiglie, a chi si consacra, ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose, alle persone impegnate nel sociale. Qui non si può restare per più di un anno - ha precisato -, perché poi devi portare la tua testimonianza nel mondo. Non deve rimanere un’isola felice, un posto dove estraniarsi: se esiste una cosa della Chiesa esiste per la Chiesa, per l’umanità. Qui ci si viene ad «allenare» per diventare aperti in spiritualità di comunione”.

Federico Tanzi

Pubblicato il 15 ottobre 2019

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