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L'evangelista Matteo, uno scriba divenuto discepolo e maestro

 

collegiata

La Collegiata di Castel San Giovanni, la sera di lunedì 14 ottobre, era affollata da fedeli per il secondo incontro del percorso biblico organizzato dalla parrocchia di San Giovanni Battista e dedicato alle figure del Nuovo Testamento.
Questo secondo appuntamento, incentrato sulla figura dell’evangelista Matteo, ha avuto un relatore d’eccezione: il vescovo emerito della diocesi di Brescia, monsignor Luciano Monari.
Il Vescovo ha introdotto la figura di Matteo, partendo dalla lettura di alcuni passi del Vangelo. In particolare, ne ha fornito un “ritratto” articolato in tre momenti successivi.
Il primo elemento emerso della natura di Matteo è la sua origine giudaica, quindi profondamente radicata nella Legge di Mosè, che lui non rifiuta mai. Tuttavia, egli ha anche riconosciuto in Gesù il Messia e, riportando nei capitoli dal quinto al settimo il Suo “discorso della montagna”, l’evangelista lega il Regno alla persona di Cristo, descrivendone la “porta d’ingresso”: le beatitudini. Matteo si configura così come uno scriba ebreo affezionato alla tradizione, ma diventato discepolo e quindi aperto alla novità dell’annuncio del Regno a tutti gli uomini, anche pagani.
Il secondo elemento dell’identità di Matteo è la sua natura di maestro che emerge dalla scelta di concludere il suo Vangelo con un comando, un imperativo di Cristo, come per sostenere che “la vita di Gesù è un preludio di ciò che deve ancora accadere.” Inoltre, egli riporta cinque grandi discorsi di Cristo, che raccolgono i suoi insegnamenti, e così Matteo, da scriba divenuto discepolo, ora si fa maestro.
“Gli interessa insegnare: lo scopo è trasformare la vita di chi ascolta, ponendo davanti a loro un progetto e uno stile di vita. Nel suo Vangelo, il lettore non è un soggetto esterno: gli ascoltatori devono sentirsi protagonisti delle cose narrate”, aiutati dalla presenza di Gesù “in mezzo a noi”, che ricorre all’inizio, al centro e alla fine del Vangelo.
Infine, il terzo elemento è il suo desiderio di attenzione verso i piccoli, i deboli: nel capitolo ottavo, con l’episodio della tempesta sedata, Matteo in realtà mette in scena “la descrizione della vita della Chiesa nel mondo, in mezzo ai dubbi e con il problema fondamentale dell’avere poca fede”, e nel capitolo diciottesimo, con la parabola della pecora smarrita, Matteo evidenzia ancora l’attenzione che tutti i membri della Chiesa devono avere verso i deboli, interpretando, come ha fatto lui stesso, il proprio ministero come servizio ai “piccoli” e testimonianza di fede, perché “chi è smarrito, va recuperato finché c’è anche un solo filo di speranza”, ha concluso Monari.
Il prossimo incontro è martedì 22 ottobre con il biblista paolino don Giacomo Perego: il tema della serata è dedicato alla figura di San Paolo.

Paolo Prazzoli

Pubblicato il 16 ottobre 2019

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