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《Dio è dalla nostra parte》

Gesù ci libera dalle ferite del senso di colpa e del peccato e ci dona uno sguardo nuovo sulla vita. La lectio quaresimale di madre Maria Emmanuel Corradini

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L’amore di Gesù ci libera dal peccato e ci permette di ricominciare. È questo il nucleo della lectio quaresimale di madre Maria Emmanuel Corradini, abbadessa benedettina di San Raimondo, dal titolo: “Rabbì chi ha peccato perché sia nato cieco? Uno sguardo nuovo sulle nostre colpe” che è stata trasmessa sul sito della diocesi il 5 marzo per l'emergenza coronavirus.

Nel peccato Gesù pone la vita

L’intervento di madre Corradini ha preso le mosse dall’episodio del cieco nato del vangelo di Giovanni (Giovanni 9, 1-41): un uomo a cui Gesù rende la vista passando sui suoi occhi un misto di saliva e fango. “L’itinerario di questa sera - ha evidenziato madre Corradini - è quello di un uomo che ha riacquistato la vista persa non per una colpa che non ha commesso, ma per un amore che non ha visto”.
madre Emmanuel CorradiniAlla base di tutto c’è, secondo l’Abbadessa, la faticosa lotta interiore insita nell’uomo tra la luce e le tenebre, una lotta che porta l’uomo a non voler vedere se stesso, ma a buttare i propri peccati sugli altri. Però l’uomo sa che dentro di sé ha un’origine del male, e questo lo porta alla solitudine: “Noi siamo soli come il cieco - ha detto madre Emmanuel Corradini -, sul ciglio della vita a raccogliere gli schizzi di fango che il male ci spruzza addosso: le parole volgari, i muri di silenzio, l’essere scartati e messi in un angolo, le accuse ingiuste. E siamo soli e ciechi dalla nascita perché nel peccato siamo stati concepiti. Questo ci scandalizza”. Ci scandalizza perché non sappiamo accettare la debolezza, la nostra condizione mortale, di peccatori.

La guarigione interiore del Santo Curato d’Ars

Illuminante, sotto questo profilo, l’episodio del Santo Curato d’Ars riportato da madre Maria Emmanuel: un uomo che non vuole arruolarsi in quell’esercito francese che ha fatto prigioniero papa Pio VII e che viene quindi sostituito dal fratello il quale, però, muore in guerra. Il senso di colpa opprime il Curato d’Ars fino a quando sperimenta l’amore di Dio che guarisce le sue ferite. Per questo dedicherà la sua vita a comunicare a chi incontrava il perdono di Dio.

“La sorte di noi peccatori - ha sottolineato - sarebbe quella di vivere con la colpa e nella colpa se non passasse Gesù. Dio è dalla nostra parte. Gesù passa davanti a ciascuno di noi, viene dentro alla nostra storia, dentro al nostro male, alla nostra infermità, alla caduta di tutti i giorni per portarci a vedere in modo nuovo noi stessi. Gli occhi di Gesù vedono in ogni male il frutto determinato dalla nostra condizione mortale; quindi ogni luogo, ogni sofferenza, ogni peccato, in realtà diventa per lui un grembo dove nascere, dove mettere un seme di vita. Dio non ci ha abbandonati, non ci ha giudicati, si è fatto fango per venire sulla nostra cecità e darci la vista, quella giusta, la vista dell’amore con cui ci guarda Lui”.

Vivere chiusi in una stanza senza luce...

La cecità non è la conseguenza del peccato, ma è il peccato stesso e ci impedisce di vedere Dio. È qui che si manifestano le tenebre: “L’assenza di luce - ha detto l’Abbadessa - è segno di un disorientamento interiore, di quello stato di disordine per cui non si sa dove si deve andare e come andare. Si ha paura di inciampare, però bisogna muovere un passo. È un disorientamento interiore che spesso viene assunto a sistema di vita per cui siamo facili a lasciarci trascinare dagli impulsi, dalle situazioni empiriche”.

Questa verità è attuale soprattutto per i giovani che vivono senza punti di riferimento: “Tanti giovani - ha considerato madre Maria Emmanuel - arrivano a odiare la luce, alcuni si chiudono al buio in camera e non escono, rimanendo soli per tanto tempo; altri non sono mai soddisfatti perché non fanno che proiettare sulle cose e sulle situazioni la loro mancanza di orientamento interiore. Ci si adegua, allora, e si pensa che la confusione sia la norma, che tutto è possibile e giustificabile, ma in questo modo non si sa più distinguere ciò che è essenziale da ciò che non vale”.

La vita diventa così un’esperienza inautentica in cui non si ha la propria vita in mano, ma la si fa dirigere da altri. Così è il cieco nato, ricorda l’abbadessa, un uomo incapace di progettare la propria vita, inchiodato al suo peccato che si riprende solo quando passa Gesù che gli dà l’opportunità di ricominciare. “Gesù non ha paura che la vita dell’altro lo contagi - sono ancora le parole di madre Emmanuel Corradini - mentre noi non vogliamo sporcarci, abbiamo paura dell’altro. Il nostro sguardo è molto piccolo, a volte meschino, mentre il Signore ha uno sguardo di Salvezza. Gesù prende i nostri peccati, la nostra debolezza, prende il fango con cui ha plasmato Adamo e lo mescola alla sua saliva, prende la nostra realtà e la fa sua sposa, si unisce per amore alla nostra realtà”.

Guardare l’altro con lo sguardo di Dio

E allora, l’invito di madre Maria Emmanuel è quello di volgere i nostri occhi, e in particolare il nostro cuore, a Gesù, di fidarci dello sguardo di tenerezza che ha per noi, ricevere e accettare il suo perdono, per donarlo anche noi. Dio assume il nostro peccato su di sé e ce ne libera, ci dà l’opportunità di ripartire lasciandoci sempre noi stessi, ma allo stesso tempo diversi da noi stessi, con uno sguardo nuovo, lo stesso suo sguardo di tenerezza: “Uno dei segni più belli della conversione di un uomo - ha concluso l’Abbadessa - è il segno della tenerezza. Si guarda l’altro come lo guarda Dio, come un mistero, come un figlio, un fratello amato per cui Dio è morto. Oggi, dove tutti gridano e urlano e la forza sembra prevalere, Gesù ci insegna che con il linguaggio della tenerezza possiamo rialzare le persone”.

Mariachiara Lunati

Pubblicato il 7 marzo 2020

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