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Gigio Rancilio: «La Rete non è altro che un campo»

gigio rancilio 

Si è tenuto il primo incontro dei Sabati della comunicazione sabato 16 ottobre nel  Seminario Vescovile di Piacenza.  Un’iniziativa diocesana pensata soprattutto per chi si occupa di comunicazione all’interno di parrocchie e gruppi ecclesiali e che ha in agenda un secondo appuntamento per il 20 novembre. A intervenire è stato Gigio Rancilio, responsabile dei social di Avvenire, quotidiano nazionale cattolico di cui cura anche una rubrica settimanale dal titolo “Vite digitali”.

Chi si occupa di comunicazione è come il buon seminatore

Coltivare la terra non è facile: comporta fatica e tanta cura ma, alla fine, se si lavora bene, la messe è abbondante. Ebbene – ha detto Rancilio – questo è il lavoro di chi si occupa di comunicazione. Egli coltiva la verità e riesce solo se semina bene. Il buon seminatore, come insegna la parabola evangelica, è colui che sparge i semi consapevole che alcuni di questi, magari anche molti, potrebbero cadere nel punto sbagliato, eppure non si perde d’animo perché sa che almeno un seme cadrà sul terreno fertile. L’arte della scrittura giornalistica digitale funziona esattamente allo stesso modo: possono non esserci likes, lettori, commenti positivi ma, se si pubblica col fine di far germogliare la verità e irrorare il bene, salterà sempre fuori quella persona che, apprezzando, condividerà il post sul proprio profilo.

Servono dialoghi

Esistono – prosegue – dei comandamenti da seguire per restare sulla retta via. Innanzitutto, per arrivare all’altro cioè al lettore in questo caso, bisogna estirpare l’erbaccia dell’autoreferenzialità. Bisogna cioè non avere egocentricamente in mente la propria persona, bensì tutte le altre che desidero raggiungere, compreso ciò che esse vorrebbero. Dare voce ai bisogni dell’altro. Servono dialoghi, non monologhi. Non è certo facile in un sistema in cui vige una continua presa e sovrapposizione di turno quale è la Rete, ascoltare veramente ciò che l’altro ha da dire senza parlargli sopra e, per questo, dobbiamo abituarci a farlo. Prima di etichettare l’altro come hater, vediamo se, dietro lo schermo di insulti e offese, si cela una richiesta di ascolto o una critica utile a migliorarci. Anche tra amici, talvolta, ci si dice delle verità con le parole e i modi sbagliati. Se poi scopriamo che l’altro ci ha aperto gli occhi, impariamo ad essere onesti e facciamo le nostre scuse. La fiducia del lettore, a lungo andare, ha una scadenza e le relazioni possono finire. Non esistono in questo ambito abbonamenti a vita. E’ necessario dunque ammettere la propria piccolezza: dietro giornali, siti, pagine si stagliano persone, non giganti.
C’è bisogno di una rivoluzione all’insegna della qualità e dell’utile. In Rete si trova tanto, troppo, esiste un mercato di finti followers atto a produrre milioni di finti likes ai più banali contenuti. Come ha ricordato Rancilio, si tratta però solo di numeri. Numeri che restano tali e che non corrispondono a persone vere. A che servono poi? E’ sufficiente poca buona terra per far di un seme una pianta rigogliosa.

Elena Iervoglini

Pubblicato il 17 ottobre 2021

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