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L'addio a don Muratori. Per lui la vera forza era il Vangelo

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Si è tenuto in Cattedrale a Piacenza, alla presenza del vescovo mons. Adriano Cevolotto, il funerale di don Luigi Muratori morto domenica 31 luglio. Il sacerdote, già missionario del PIME, ordinato nel giugno 1946, il prossimo 31 agosto avrebbe compiuto 98 anni.
Ripercorriamo le principali tappe della sua vita attraverso un'intervista rilasciata al settimanale diocesano nell'agosto 2021.


Il segreto per stare giovane? 70 scalini ogni giorno e la preghiera
Sta volando verso le 100 primavere quasi a testimoniare che la missione per Cristo fa bene alla salute. Don Luigi Muratori, piacentino della centralissima via Sopramuro, è nato il 31 agosto 1924. All’anagrafe lo registrarono due giorni dopo, il 2 settembre. Sta per compiere 97 anni.

— Don Luigi, qual è il suo segreto?
Le scale. Ogni giorno per arrivare al mio appartamento al terzo piano salgo 70 scalini in quella che fu una torre costruita dai Landi almeno 300 anni fa. Sono quelli che mi tengono in forma.

— Basta così?
E poi, la preghiera.

— E come prega Lei, scusi?
Sto zitto e ascolto. “Shema Israel”, ascolta Israele, dice la Bibbia.

— Com’era allora la sua famiglia?
Il papà Giuseppe lavorava il ferro battuto nella bottega sotto casa. Fra le sue opere, il cancello attorno all’urna che conserva il corpo di San Colombano a Bobbio e quello attorno alle reliquie di Santa Giustina nella cripta della Cattedrale. Ma anche un cancello nell’abbazia di Montecassino, poi distrutta durante la guerra.
Lui e mia mamma Luisa hanno avuto quattro figli. Fra questi Lodovico, poi noto come il partigiano Muro, morto nel 2004; era del 1915 e fu uno dei protagonisti della battaglia di Monticello tra tedeschi e forze partigiane.


— Aveva nove anni più di lei. Come le parlava della guerra?
Non ne parlava praticamente mai. Solo diceva che dalla guerra si esce tutti sconfitti, non ci sono né vincitori né vinti.

— Lei dove ha studiato?
Ho iniziato il ginnasio in via Taverna nel ’35 e poi nel ’38 apriva il liceo Gioia. Sono stato tra i primi alunni a inaugurare quella costruzione.

— È stato chiamato in guerra?
Andai alla visita militare nel giugno del ’43, sarei dovuto partire a settembre ma poi con lo sbarco degli Alleati in Sicilia a luglio, la caduta di Mussolini e l’armistizio, l’esercito italiano era in completa disfatta. Nell’estate ’42 avevo sostenuto il concorso per entrare al Collegio Alberoni e lì sono rimasto fino a quando nel giugno ’45 sono partito per Milano per entrare nel Pime. Volevo diventare missionario.

— Perché proprio missionario?
Io leggevo molti libri, avevo dentro di me una visione ampia della vita, della Chiesa, della missione di un sacerdote. Così poco più di un mese dopo la liberazione, ho attraversato il Po con un barcone e sono salito a San Rocco su un treno merci che mi ha portato a Milano. Mi ha ordinato il cardinal Schuster il 26 giugno del ’49 nel Duomo di Milano. Eravamo in 150 nuovi preti.

Nel 1951 ha aperto la missione in Giappone

— Dove ha vissuto la missione?
Nel dicembre del ’51, 70 anni fa, sono stato tra i primi tre missionari che aprivano la missione del Pime in Giappone. Solo sei anni prima era stata sganciata l’atomica sulle città di Hiroshima e Nagasaki.
A Tokyo ho studiato la lingua, ho conosciuto i discendenti dei primi cristiani formati da San Francesco Saverio nel ‘500, una generazione di cristiani martiri e che fino al 1871 ha dovuto vivere in clandestinità.

— Qual è il Giappone che lei ha incontrato?
È un Paese da ammirare perché dalla fine dell’800 in poi ha investito sulla cultura e sul progresso.
I giapponesi sono molto diversi da noi italiani: loro, contemplativi, introversi e silenziosi, intuitivi; noi, estroversi e chiacchieroni. La cultura giapponese, impregnata di shintoismo, veniva da secoli di adorazione dell’imperatore, che in fondo è una sorta di adorazione di se stessi. Una religione così lascia le persone in preda alle paure dell’ignoto che sorgono dall’inconscio dell’uomo. Una volta adulti, molti si rivolgono al buddismo che più che una religione vera e propria, caratterizzata dall’apertura al trascendente, è un prezioso codice etico di comportamento.

— E il vostro impegno qual è stato?
Innanzitutto di creare occasioni di dialogo e amicizia. Nel comunicare la fede il primo passo da fare è la riflessione sul mo­no­tei­smo: c’è un unico Dio, a lui si deve la creazione del mondo. I giapponesi non hanno l’idea del monoteismo come anche faticano ad accettare la risurrezione di Cristo. Per quella cultura la morte è, in modo molto naturale, la fine di tutto.
Chi si convertiva era carico di grande entusiasmo. Uno dei passi più difficili era l’esperienza del perdono. In una società fortemente verticistica e gerarchica, non c’è l’idea che siamo tutti uguali e neppure della libertà dell’individuo. Il perdono è una scelta di grande libertà.
A Imari, una città del sud del Paese, ho fondato una chiesa che abbiamo dedicato a Maria Madre del Giappone.

— Che spazio c’è secondo lei per l’evangelizzazione in Oriente?
Ogni Paese è ovviamente un mondo a sé. Il Giappone, ad esempio, nell’800 è uscito da secoli di chiusura completa agli stranieri. Noi occidentali paghiamo lo scotto di aver portato un Cristo troppo nostro, in una visione prettamente greco-romana. Avremmo dovuto portare il Vangelo e lasciare che quei popoli lo rileggessero e lo vivessero in modo originale secondo lo loro cultura.
In Giappone ha operato dal ’30 al ’36 il francescano polacco padre Massimiliano Kolbe, fondatore della Milizia dell’Immacolata, prima di rientrare in Europa e morire martire ad Auschwitz. Nel solco da lui aperto s’inserisce l’opera di fratel Zeno Zebrowski e della venerabile Elisabetta Maria Satoko Kitahara, conosciuta come Maria del Villaggio delle formiche, cioè della gente povera e abbandonata, anonima come le formiche.

— Don Luigi lei è pessimista o ottimista sul futuro della Chiesa?
Ottimista sempre. Ai cristiani spetta il compito di portare ovunque e sempre il Vangelo. Non dobbiamo illuderci di cambiare chissà quali cose, le cose andranno come Dio vorrà. Il mondo non cambia né in meglio né in peggio. La vera forza è nel Vangelo.

muratori e camara

Il mistero dei tre preti Muratori morti a 44 anni
Dal 1600 a oggi sono stati quattro, don Luigi compreso, gli appartenenti alla famiglia Muratori che hanno scelto la via del sacerdozio. Nel ‘600, don Lorenzo, un secolo più tardi, don Domenico, e nei primi del ‘900, don Daniele che ha battezzato don Luigi in Cattedrale nel ’24. Tutti e tre sono morti a 44 anni. Don Luigi inaugura di fatto una tradizione nuova.

L’ingresso ufficiale in Cina come commerciante di porcellane
Fra le imprese di don Muratori, quella di essere entrato nei primi anni ’70 in Cina come commerciante di porcellane. Come sacerdote avrebbe avuto le porte chiuse e con il giornalista padre Piero Gheddo, con cui ha lavorato a Milano dal ’62 all’82 nelle edizioni del Pime, aveva messo a punto questo stratagemma. Gheddo e Muratori visitarono la grande Fiera di Canton.
Sono stati molti in quegli anni i suoi viaggi nelle missioni del Pime nei diversi continenti. Anche alla loro opera si deve la nascita dell’Emi, l’Editrice Missionaria Italiana, sorta dalla fusione delle quattro case editrici dei grandi ordini missionari italiani: Pime, Consolata, Comboniani e Saveriani.

Per un anno insieme a dom Helder Camara
Nel ’58 don Luigi Muratori venne inviato fino al 1962 come missionario in Brasile per seguire da vicino gli emigrati giapponesi in Sud America. Nel Paese ritornerà nel 1982 per vivere per un anno a Recife a fianco del vescovo Helder Camara (con lui nella foto sotto). “Viveva nella sagrestia della Igreja das Fronteiras (chiesa delle frontiere), il sontuoso palazzo episcopale lo aveva lasciato alla Caritas per le attività di aiuto ai poveri. Per lui la Chiesa doveva andare verso i poveri portando Cristo. Il futuro non è dei ricchi che si fanno sempre le guerre tra loro per dimostrare chi è il più forte”.
Nel 1985 don Muratori ha fatto ritorno nella sua diocesi di origine mettendosi al servizio di alcune parrocchie. Al Collegio Alberoni è stato insegnante di religioni non cristiane.

1951 in partenza per il Giappone dal porto di Genova

Nelle foto: in alto, padre Luigi Muratori con padre  Francesco Rapacioli, missionario del Pime in Bangladesh.; sotto, il sacerdote con dom Helder Camara; sopra, la partenza nel 1951 per il Giappone dal porto di Genova.

Pubblicato il 2 agosto 2022


 

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