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Piacenza: quando l'8 per mille fa miracoli

La pronta risposta della Caritas di Piacenza di fronte all’emergenza alimentare a causa del coronavirus 

caritas

“Questo periodo ha conferito un senso ancor più profondo al mio lavoro: mi sono resa conto dell’importanza di ogni singola azione, anche la più piccola, che contribuisce al sostegno delle persone in difficoltà”. “Per me è stata un’esperienza che mi ha scavato dentro, portandomi direttamente a contatto con l’essenziale delle cose”. Emilia Lodigiani e Dina Rigolli sono uscite profondamente cambiate dai mesi di emergenza sanitaria. Operatrici alla Caritas diocesana di Piacenza, sono state costrette a stravolgere l’organizzazione del loro lavoro, rimodulando modalità operative e ridefinendo l’approccio nei confronti delle tante persone che, travolte dalla tempesta coronavirus, hanno visto nell’organizzazione di via Giordani, guidata dal diacono Mario Idda, l’unico porto sicuro a cui affidarsi.

Si è trattato - non è esagerato dirlo - di un grande fiume di solidarietà, reso possibile in particolare grazie al contributo dell’8 per mille in una Piacenza che a causa del coronavirus ha contato ben mille morti.

Ripensare un servizio essenziale

“In un periodo in cui tutto era silenzio - riflette Massimo Magnaschi, membro del consiglio direttivo dell’ente -, la Caritas è stato un luogo aperto per chiunque. Pur tra paure e incertezze, sapevamo che non potevamo fermarci”. I primi, immediati, interventi sono arrivati sul fronte alimentare, con il cibo fornito dalla mensa diocesana e dalla distribuzione delle borse viveri.

“Nonostante all’inizio avessimo provato ad andare avanti come sempre - aggiungono le due operatrici -, già dai primi giorni di marzo, con l’aggravarsi della situazione, c’è stata una importante riorganizzazione di questi servizi, soprattutto per quanto riguarda la mensa. Chiusi i locali di via San Vincenzo, grazie alla collaborazione con una ditta di ristorazione, abbiamo infatti iniziato a distribuire per tutta la settimana pasti pronti monoporzione presso il poco distante Centro Il Samaritano, in via Giordani. Il servizio - precisano - si svolgeva solo una volta al giorno, per pranzo, quindi cercavamo di integrare quanto previsto con un sacchetto più abbondante, in cui mettevamo alimenti da consumare alla sera: scatolette di tonno, pizza e mozzarella. Molti volontari, considerata l’età avanzata, sono stati costretti a rimanere a casa e al loro posto ci hanno dato una mano gli uomini della Protezione Civile e alcuni ragazzi appartenenti agli Scout”.

Durante il Covid +86% di pasti consegnati

Emilia e Dina raccontano di come all’improvviso una “marea” di persone, molte senza fissa dimora, si sia messa in coda in attesa di qualcosa con cui sfamarsi, anche solo fino al giorno successivo. Ai numerosi assistiti prima dell’emergenza, si sono aggiunti tanti volti nuovi ed altri già conosciuti, costretti dal virus a tornare a bussare alle porte della Caritas dopo un periodo in cui erano riusciti a migliorare la loro condizione, conquistando precari sprazzi di autonomia.

In termini di numeri - ancora parziali - il confronto tra il primo quadrimestre del 2019 e quello del 2020 è impressionante. Si è passati da 13.206 pasti e cestini distribuiti a 24.249 (19.307 solo nel periodo covid), per un incremento del 46,19%. Percentuale ancora maggiore se si mettono a confronto i mesi del 2020 pre-covid con quelli di piena emergenza: in questo caso, l’aumento giornaliero medio di pasti erogati è stato del 86% circa. Per quanto riguarda il servizio borse viveri, invece, dopo la riorganizzazione delle modalità di consegna, alle 400 famiglie già in carico al centro di ascolto se ne sono aggiunte 49 (+12,25%). Di questi nuovi nuclei familiari, 30 non erano conosciuti dal servizio e 19 sono tornati dopo alcuni anni di assenza.

Il sostegno dell’8 per mille

Uno spaccato tragico, che ha spinto tutto un territorio ad attivarsi ed unirsi, come mai prima, per tendere una mano ai più bisognosi. Alle tante donazioni di aziende, associazioni, enti pubblici e privati, si è aggiunta anche la fondamentale iniezione di solidarietà arrivata dai fondi dell’8xmille destinati all’emergenza covid. Un contributo di 129mila euro - suddiviso in due tranche da 10mila e 119mila - subito messo nel motore della Caritas provinciale e utilizzato, in prima istanza, per dare una risposta concreta in termini di cibo e riparo. Cifre che diventano atti di amore, linfa vitale per una città che non si è fermata e che ha saputo trasformare le lacrime in coraggio. Oltre i numeri, allarmanti ed eloquenti, ci sono infatti storie di dolore e di speranza. Relazioni da non far svanire dietro il velo della mascherina o il vuoto creato dal distanziamento fisico.

“Siamo sulla stessa barca”

“In questo periodo, il punto di ascolto telefonico è stato - e continua ad essere - strumento preziosissimo per rimanere in contatto con le persone, tant’è che nei giorni più duri siamo arrivati a gestire fino a cinquanta chiamate al giorno - commenta di nuovo Dina Rigolli -. La prima domanda era sempre: «Come va?». Scoprivamo che in tanti erano soli, costretti all’isolamento. In un’occasione una donna che lavora nella ristorazione, costretta a fermarsi per il lockdown, è scoppiata in lacrime al telefono: «Non ho da mangiare» - mi ha confidato. È stato un momento che mi ha colpito profondamente: era chiaro il suo desiderio di sentire una voce”.

“Ecco perché - aggiunge - è fondamentale esserci in qualunque modo, farsi vedere, avere cura che le persone stiano bene. Anche - sottolinea - nelle piccole cose. Io, ad esempio, sono quella che “rompe” affinché i nostri assistiti indossino sempre la mascherina. Ciò che abbiamo imparato – continua -, una volta ancora di più, è che la mensa è luogo di vita. Un riferimento importantissimo, un segno di presenza fatto di beni materiali ma anche di volti. Sento che sia noi operatori che gli ospiti facciamo parte di un cammino comune; come ci ha detto il nostro Papa: «siamo sulla stessa barca».

“Mi manca il parlare con la gente”

Con il rientrare dell’emergenza sanitaria, il servizio mensa della Caritas guarda avanti adottando, prudentemente e in attesa di disposizioni più solide, la politica dei piccoli passi. “Dal 22 giugno - sottolinea Emilia Lodigiani -, la cucina in via San Vincenzo ha riaperto, anche se i pasti - un primo, un secondo e un contorno - continuano ad essere serviti da asporto in via Giordani. L’organico resta ridotto, con due cuoche e tre volontari che si alternano durante tutta la settimana”.

Tra loro, dopo il fermo imposto dalla quarantena, è tornato in pista Gianluigi Rebessi, settantaquattrenne con alle spalle quindici anni di servizio alla Caritas, tra dormitorio, docce e mensa. “Nel periodo trascorso a casa ho provato tanta amarezza perché sentivo il desiderio di dare una mano - confessa -. Adesso mi manca un po’ parlare con la gente, dato che i contatti sono limitati al minimo. In ogni caso con alcuni di loro mi sento spesso al telefono, cerco di esserci sempre”.

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Gianluigi Rebessi, storico volontario della Caritas diocesana di Piacenza.

“Nelle difficoltà siamo cresciuti”

L’auspicio comune, per volontari, operatori e ospiti, è di riconquistare il più presto possibile la “normalità” perduta. Senza, ovviamente, abbassare la guardia. “È la vera sfida - la riflessione di Dina ed Emilia -, attualmente siamo in una fase di transizione, in attesa di capire quali potrebbero essere i prossimi step. Il desiderio più grande è quello di tornare a vederci tutti a tavola insieme, anche perché, pensando all’inverno, non avere un luogo chiuso dove poter stare sarebbe un grande problema”.

“Vogliamo comunque credere – concludono - di potercela fare anche in futuro, come già fatto in questi mesi. Molti hanno chiuso, noi, al contrario, siamo rimasti aperti, cercando di offrire un servizio necessario seppur in modo diverso. Nelle difficoltà siamo cresciuti, ci siamo cementati come gruppo di lavoro; siamo - la dichiarazione d’intenti finale - pronti ed uniti per affrontare eventuali nuove emergenze che arriveranno in futuro”.

Federico Tanzi

Pubblicato il 5 agosto 2020

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