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Lotta alla povertà


I bisogni aumentano e il welfare si interroga

famigliacrisi

Reddito di inclusione sociale, reddito di solidarietà, reddito di cittadinanza. Si rischia di fare un po’ di confusione quando si parla di sussidi e aiuti alle persone in difficoltà. I primi due sono già presenti; il terzo resta una proposta lanciata in campagna elettorale dal Movimento 5 Stelle.
L’Italia era, insieme alla Grecia, l’unico Paese Ue sprovvisto di una misura anti-povertà. Da Bruxelles, cinque anni fa, hanno chiesto di rimediare, per garantire un’esistenza dignitosa a tutti. Anche la Cei ha spinto in questa direzione. Il Governo a fine 2017 ha così approvato il Rei, “Reddito di inclusione”: si tratta di un contributo da 1,7 miliardi che crescerà fino a tre miliardi nel 2020.
A fine settembre 2017 ha debuttato invece a livello regionale il Res, il Reddito di solidarietà. Si tratta di una misura destinata alle persone che vivono in situazione di grave povertà, con un aiuto fino a 400 euro mensili per un anno per nuclei famigliari fino a 5 persone che non superano i tremila euro di reddito Isee annui. Dalla provincia di Piacenza sono arrivate 484 domande (su 129.581 famiglie residenti).
Cosa dice la Dottrina sociale della Chiesa a proposito delle misure di contrasto alla povertà? “È necessario coltivare una forma di solidarietà, per venire incontro ai bisogni degli ultimi e dei poveri. Non si tratta di fare carità, ma aiutare e formare - quindi non solo fornire beni e servizi, di cui comunque c’è bisogno -, ovvero far sì che queste persone siano integrate e non escluse. In questi ultimi vent’anni la Chiesa ha cercato di promuovere molti progetti di inclusione sociale”, spiega mons. Celso Dosi, direttore della scuola diocesana di teologia per laici e docente di teologia morale presso la stessa scuola. Progetti di formazione, formazione del lavoro, fondi di carità sono attivi in tutte le diocesi per far ritornare in società i soggetti esclusi.

Pubblicato il 1° giugno 2018.

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