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Il senso del dolore

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“Possiamo dare un nome al dolore? Possiamo chiamare tutti i dolori dell’uomo Croce?”.
Da queste domande è partita la riflessione di Madre Maria Emmanuel durante la Lectio che si è tenuta sabato 1° dicembre nella chiesa di San Raimondo, alla presenza di un numerosissimo pubblico.
La risposta che propone la religiosa, attraverso un percorso di forte impatto emotivo, ma anche di grande logica e razionalità, è affermativa: “dare un nome significa anche dare un senso – ha asserito – dire che ogni nostro dolore è Croce significa interpretare il dolore da cristiani perché la croce è il supplizio che il figlio di Dio dà in risposta al dolore dell’uomo”.

La Croce dice insomma che oltre al dolore, più in là del dolore c’è altro, c’è la vita, che è resa ricca di senso proprio perché Gesù ha donato la sua esistenza e non l’ha data vinta alla morte, ma ha fatto trionfare la vita. Gesù, risorgendo, torna al Padre insieme a tutti noi.

mEmDSC00247Ma non è tutto così lineare – avverte madre Emmanuel -: noi uomini, infatti, abbiamo tante paure, tante emozioni che ci fanno vivere il dolore in modo sbagliato, in una modalità che non trova il senso della sofferenza.
La prima tentazione è il titanismo, il vivere il momento della prova come una lotta, in cui l’uomo è un eroe solitario che non ha bisogno di nessuno. Gesù, però, non ha affrontato così la sua passione, al contrario ha pianto, ha gridato, ha chiesto al Padre di allontanare da lui quel calice amaro.
Un altro ostacolo che possiamo incontrare nel vivere il dolore da cristiani è la rassegnazione: ci lasciamo andare, non vediamo alcuna possibilità di dare un significato a ciò che ci sta accadendo. Gesù invece chiede aiuto al Padre, chiede la preghiera ai discepoli.
C’è infine il rifiuto del dolore, la rivolta, la ribellione e questo avviene quando manca la fiducia nella resurrezione.

Qual è allora la strada che dà un senso al nostro soffrire?
“È la resa – dice madre Emmanuel -, ma non la resa al dolore, bensì l’abbandonarsi a Dio. Quando io chiamo Croce le mie difficoltà allora non mi arrendo al dolore, ma mi butto nelle braccia del Padre”.

Il dolore, dice la religiosa, non è colpa nostra, ma può diventare una grande forma di comunione con il Signore, perché anche noi viviamo la sofferenza che Gesù stesso ha provato e quello che può sembrare solo disperazione, può diventare Grazia, può tramutarsi in un’esperienza di pienezza e di pace. Solo Dio può fare questo, può farci sentire la pace e la comunione anche nel momento più drammatico.
Il dolore, però, non è neppure colpa di Dio: “lui è un perseguitato, non un persecutore. Ha donato il Figlio perché quel dolore che non aveva nome potesse essere nominato e avesse un senso. Nonostante questo, Dio non ci rimprovera se ci arrabbiamo con lui, lo fa solo se cerchiamo di metterci al suo posto. La grande mediazione tra quello che provo e Dio – conclude l’abbadessa - è la croce di Gesù Cristo che è per me. La speranza nasce da lì, io confido che il Signore provvederà a me come ha provveduto a suo Figlio”.

Un incontro denso, che è terminato con l’invito a vivere il periodo di Avvento con la consapevolezza che l’arrivo di Gesù nel mondo ha proprio come scopo il non lasciarci soli, se Lui vive, si incarna, allora io non sono in balìa degli eventi, ma sono nelle sue mani. L’Avvento è il tempo di chi incontra Cristo, è il tempo che dà senso alla vita.

I prossimi appuntamenti con madre Emmanuel sono in San Raimondo venerdì 7 dicembre alle ore 18 per la Lectio su Maria Immacolata e sabato 15 dicembre alla stessa ora per la Meditazione sul mistero del Natale.

Elisa Bolzoni


Pubblicato il 3 dicembre 2018

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