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L’Europa non è da rottamare

Il giornalista Gianni Borsa da 16 anni è corrispondente da Bruxelles e Strasburgo

europee

Gianni Borsa, 54 anni, da sedici è corrispondente dell’agenzia di stampa Sir della Cei negli organismi dell’Unione europea, tra Strasburgo e Bruxelles. Lo abbiamo intervistato a margine del convegno “Colori d’Europa”, organizzato a Faenza e Forlì lo scorso fine settimana dalla Federazione italiana dei settimanali cattolici. “Ho imparato ad apprezzare in presa diretta queste istituzioni delle quali vedo i limiti, le necessità di riforma, ma anche che sono istituzioni delle quali non possiamo più fare a meno – commenta –. Dobbiamo impegnarci perché funzionino bene, non limitarci a dire «le chiudiamo»”.

– L'Europa che fase della sua vita sta attraversando?

Una sana crisi di maturità nella quale si ripensano le proprie radici, riscoprendone la freschezza dell'oggi. E sono spesso radici cristiane. Ma anche culturali, dovute all'illuminismo, alla filosofia greca, al diritto romano, al socialismo. Ai vari contributi che mano a mano si sono depositati stratificati e hanno dato questa diversa ma ricca costruzione. È una crisi di maturità perché in questo volgere di epoca ci troviamo di fronte a una Ue che ha bisogno di più poteri per reggere alle sfide che vengono dal di fuori. Serve un’Europa più coesa, più efficace, più leggera dal punto di vista delle leggi e della burocrazia. E più vicina ai cittadini.

– Come si arriva a una riforma delle istituzioni europee più vicine ai cittadini?
Molto concretamente: il Parlamento con più poteri, tra cui il potere di iniziativa legislativa che oggi invece spetta alla Commissione. L'elezione diretta del Presidente della Commissione o del Presidente del Consiglio europeo così da dare un volto all'Ue. Più simboli: una rappresentanza unica dell'Europa alle Olimpiadi; il 9 maggio – festa dell'Europa – deve essere un giorno festivo per far capire che quello è un giorno per tutti; un seggio unico alle Nazioni Unite. I simboli e le riforme fanno vedere che c'è un'Europa forte e vicina ai cittadini.

– È tipico solo dell'Italia che la campagna elettorale delle Europee sia una battaglia interna o è così anche nel resto dei Paesi membri?
Questa volta c'è più Europa nella campagna elettorale, ma c'è anche molto più dibattito interno. Non solo in Italia. Per esempio in Francia le difficoltà di Macron e le questioni dei gillet gialli. Così vale per l'Ungheria, per la Grecia, per la Polonia. Ci sono Paesi in cui si parla molto di più della prospettiva europea, di quanto può aiutare i Paesi membri a essere al passo con i tempi, Penso a Paesi Bassi, Germania, Paesi baltici, Paesi scandinavi, Spagna, Portogallo. Ci sono Stati in cui si è giocata una vera campagna elettorale europea.

– Sul piano etico ci sono battaglie importanti?
Credo che non ci sia scelta politica che non abbia un risvolto etico. Faccio un esempio: come cristiani siamo assenti nel dibattito per la definizione del bilancio europeo. Ci sono in gioco 140 miliardi di investimenti all'anno. C'è in gioco il sostegno ai territori, il sostegno possibile alle famiglie, ai lavoratori, agli studenti, alle piccole e medie imprese. Quella non è etica?

– Quali sono i politici emergenti?
A me non dispiacciono figure anche in contrasto tra di loro. Tusk, polacco, come presidente del Consiglio Europeo credo che abbia fatto bene. Weber, candidato del Ppe alla presidenza della Commissione, così come l'olandese Timmermans, sono due buone alte figure di politici al passo con i tempi. Ha fatto bene la Mogherini, ha fatto bene il nostro Tajani come presidente del Parlamento. Draghi è molto stimato più all'estero che in Italia. Se dovessi dire altre figure che un po' mi affascinano e un po' mi impensieriscono direi il britannico Farage che si è inventato la Brexit e che stravincerà le elezioni nel Regno Unito. Mi convince poco e un po' mi spaventa Orbán degli ungheresi. Mi interessano le mosse di Sánchez, il socialista spagnolo, che si sta inventando un linguaggio nuovo che potrebbe tenere insieme il suo Paese in una fase in cui ha bisogno di stare unito; si sta muovendo con intelligenza, deve riuscire a farsi appoggiare da Podemos, ma soprattutto da Ciudadanos e dai Popolari, fare una grande coalizione come è stata capace la Merkel in Germania.

– Della Brexit che idea ti sei fatto?
Penso sia un Paese che ha sbagliato completamente mira. Nel referendum si è votato sulla base di slogan, di promesse. Ora gli inglesi si sono resi conto di non essere in grado di gestire da soli l'uscita perché il Paese è integrato pienamente nel mercato unico, nell'idea di Europa. Si trovano di fronte a un Paese diviso, a una politica divisa. Con il rischio dell'Irlanda, dove è tornata la guerra civile. Dovrebbero semplicemente riconoscere che hanno bisogno di un nuovo referendum. Se poi sono convinti dell’uscita la facciano pure, ma spieghino qual è oggi il costo della non-Europa per gli inglesi.

– “Nonna Europa”, l’aveva definita papa Francesco.
È un problema grossissimo. Da un punto di vista positivo, significa che l'Europa è forse il posto migliore al mondo in cui oggi vivere: siamo curati, mangiamo meglio, facciamo lavori che non distruggono il nostro corpo, se siamo malati abbiamo un welfare. Abbiamo però due problemi. Il primo è la scarsa natalità. Tutti i governi dei Paesi membri dovrebbero avere politiche fortemente a sostegno della natalità, dei giovani che vogliono metter su famiglia, buoni contratti di lavoro che consentano o al papà o alla mamma di stare a casa a curare i propri figli, asili che non costino uno stipendio. Politiche di natalità come ad esempio hanno fatto Francia e Svezia. Dall'altro punto di vista, abbiamo un problema concreto: cioè che i sistemi previdenziali e sistemi sanitari stanno esplodendo. Abbiamo bisogno di gente giovane, di tante nascite e anche di accogliere i giovani migranti che arrivano, integrandoli, insegnando loro le nostre regole. La nostra Europa è vecchia; ora abbiamo bisogno di figli di fratelli di altri Paesi che ci diano una ventata di giovinezza.

– Il Belgio si è rivelato una culla del terrorismo di matrice islamica. Come si vive l’integrazione in Europa?
La presenza islamica, pur significativa in diversi Paesi, tende ad adeguarsi al vissuto; sono le cellule impazzite che danno problemi. Ma in realtà c'è un islam europeo che si sta integrando, con famiglie che lavorano, che hanno voglia di mandare i figli a scuola, persone che dovremmo accogliere e integrare, evitando che si marginalizzino, come in qualche caso è avvenuto, penso appunto al caso belga.

– Crisi economica: il colpevole è l’euro?
L'euro è la moneta che ci ha salvati. Sento ancora qualche sporadica voce che dice che ha aumentato i prezzi. Vuol dire che non conosciamo la storia economica del nostro Paese. I prezzi sono aumentati solo in due Stati che hanno assunto l'euro: Italia e Grecia. Sono gli unici due Stati dove non abbiamo controllato il sistema commerciale. In realtà l'euro è una moneta forte con le spalle larghe. Semmai dobbiamo fare in modo che ci sia una vera banca centrale, come è la Federal Reserve negli Usa, che controlla il sistema finanziario, e una maggior integrazione economica, che vuol dire concorrenza leale al nostro interno, più regole e armonizzazione fiscale. Se non riusciamo ad arrivare a una vera armonizzazione fiscale, le nostre imprese scapperanno in Bulgaria, dove pagano un quarto di tasse e un terzo di energia.
Le tasse sono da sempre un'arma degli Stati membri. Quindi dobbiamo stare attenti a muoverci in questo campo: con delicatezza, con progressività. Ma se non avremo una tassazione media che va armonizzandosi, avremo di fatto una concorrenza sleale: chi farà pagare meno tasse alle imprese, chi pagherà meno contributi ai suoi lavoratori e quindi anche salari molto differenti. Se siamo in un mercato comune, dobbiamo avere regole comuni.

– Cosa può far scattare la volontà di realizzare questi cambiamenti?
Dopo la Guerra, le necessità che portarono al processo unitario erano la pace e la ricostruzione materiale dei Paesi. Oggi abbiamo almeno tre grossi segnali che chiedono un’Europa unita, capace di solidarietà e sussidiarietà: la crisi economica e finanziaria, l'immigrazione e il terrorismo. Se nemmeno queste tre grandissime spie ci fanno comprendere che da soli non ce la facciamo, non mi capacito di cos'altro debba accadere

– Le Chiese in generale come valutano l’Europa di oggi?
Le Chiese sono molto prudenti, ma aperte alla costruzione europea. E la Chiesa più attenta a questo è quella cattolica, con il Papa, con gli organismi ecclesiali europei - il Ccee (Consiglio delle conferenze episcopali in Europa), la Comece (Commissione degli Episcopati europei), con moltissime Conferenze Episcopali nazionali che proprio in questo periodo elettorale sono intervenute con grande slancio europeista. Hanno evidenziato i limiti, ma ribadito che l’Europa ci vuole. Senza negare la necessità di istituzioni politiche locali, regionali, nazionali, bisogna guardare oltre i confini. Europa vuol dire due cose: integrazione concreta – e la Dottrina sociale della Chiesa è concretissima – e capacità di guardare oltre i confini. L'universalismo cattolico ci dice che siamo tutti fratelli e l'Europa guarda in quella direzione. Ci guardava 70 anni fa e ci deve guardare ancora oggi.

Questa è solo una parte della lunga intervista a Gianni Borsa. Potete leggere il resto sull’edizione del Nuovo Giornale di questa settimana, in edicola da oggi.

Pubblicato il 23 maggio 2019.

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