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Don Goccini: «i giovani devono essere sostenuti dalla comunità»

goccini

"Ecco, il seminatore uscì a seminare…”: la parabola del seminatore, tratta dal Vangelo di Matteo, è stata il filo conduttore dell’incontro di formazione e confronto “Seme diVento”, organizzato per presentare il nuovo progetto della Pastorale Giovanile Vocazionale dedicato all’accompagnamento degli adolescenti.
Sabato 2 ottobre, nella suggestiva cornice del Centro pastorale La Bellotta, alcuni gruppi di sacerdoti ed educatori di ragazzi dai 13 ai 18 anni, provenienti da varie parrocchie della diocesi, si sono ritrovati per fare il punto sull’attuale situazione della Chiesa e iniziare a costruire nuove possibilità di percorsi educativi.
Dopo un momento iniziale di preghiera, don Alessandro Mazzoni ha inaugurato i lavori, lanciando una provocazione a tutti i presenti attraverso la lettura di una lettera collettiva, scritta dagli educatori di una comunità piacentina, in cui emergevano varie difficoltà relative alla sfida che si sono trovati ad affrontare nel corso di quest’anno. Si parlava, tra le altre criticità, di un “gap comunicativo” apparentemente incolmabile tra educatori e ragazzi.

Don Goccini : "Per i giovani un Dio che li facesse sentire al posto giusto"

Da qui ha preso le mosse l’intervento di don Giordano Goccini, parroco di Novellara nella diocesi di Reggio Emilia e impegnato da anni nella pastorale giovanile, che ha cercato di individuare i principali problemi dell’attività educativa di oggi, per poi proporre alcune possibilità di soluzione.

“Il problema fondamentale di oggi è la distanza abissale, l’incomunicabilità che separa la Chiesa e i giovani” ha esordito don Goccini. “Ai giovani interessa Dio, ma non nella forma in cui noi lo presentiamo a loro: quello è un Dio che a loro non serve per affrontare le sfide che si trovano davanti. È un Dio sì interessante e bello, ma che loro trovano inutile. I ragazzi non hanno più paura dell’inferno dopo la morte, ma temono un altro inferno che si trova già in questa vita: il fallimento, l’inadeguatezza, il sentirsi sbagliati. Ci vorrebbe un Dio che li facesse sentire al posto giusto, ma spesso non lo trovano, quindi si fanno da parte e cercano risposte altrove”. Come fare, allora, per toccare le corde giuste? “Partendo dalla loro vita, andando loro incontro: dobbiamo dire a ognuno: «c’è bisogno di te». Nelle esperienze comunitarie, soprattutto d’estate e in contesti di servizio, ci sono alcune occasioni, alcuni frammenti di tempo in cui loro si tuffano totalmente e con fiducia. Spesso però fatichiamo a trasformare questi frammenti in un percorso più strutturato”.
Date queste criticità, quali sono le possibili soluzioni? “Non esistono facili ricette per una situazione come questa. La soluzione, se c’è, è nel cuore della comunità cristiana, che deve accettare di non essere l’espressione piena e compiuta, perfetta, del Vangelo. Dobbiamo abbandonare l’idea che sia necessario oggi conservare qualcosa che c’era nel passato e ora ci sta sfuggendo. La Chiesa è sempre espressione imperfetta e in cammino della vita evangelica e, forse, la sua realizzazione perfetta non sta dietro, ma davanti a noi, nelle mani di questi giovani. È un cammino ecclesiale nuovo, che va compreso senza arroccarsi su posizioni fisse. Oggi più che mai, i giovani devono essere sostenuti da tutta la comunità, e da una comunità educante, che viva la liturgia con passione”.

bellotta

Nelle foto: in alto, l'incontro guidato da don Goccini al Centro pastorale della Bellotta; sopra, un gruppo al lavoro.

Essenziale la formazione degli educatori

Ecco allora una proposta inedita: “Qualcuno deve camminare con i ragazzi anche quando sono lontani dalla parrocchia, anche là dove si confrontano con le loro sfide. E a farlo dev’essere un’équipe di educatori diversificata, sia per genere, sia per età, sia in quanto a esperienze di Chiesa. Questa squadra educativa va a sua volta formata e accompagnata: tale ruolo può essere svolto dai coordinatori, figure adulte con adeguate capacità di accoglienza, rispetto e leadership leggera, non invadente. La formazione degli educatori è essenziale, perché sono loro che si troveranno poi a instaurare quel legame forte, quasi fisico come un corpo a corpo, con gli adolescenti e con le loro vite. È fondamentale, poi, che i ragazzi abbiano sempre un obiettivo. Questo è necessario perché, per esempio, è il pensiero della méta che tiene in cammino il pellegrino: avere uno scopo significa anche avere una sfida a cui rispondere. In questo caso, la méta simbolicamente più potente sono gli educatori giovani, che devono saper essere luminosi, belli, espressione di una vita sorridente che accetta le difficoltà. La méta e la sfida sono fondamentali perché attraverso di loro, si possono fornire ai ragazzi gli strumenti con cui manifestare quell’esperienza della fede che – ne sono convinto – è dentro ognuno di loro. Gesù realizzava tutto ciò tramite un linguaggio narrativo-simbolico: ogni suo gesto non era solo un atto, ma era anche simbolo di qualcos’altro di più grande. La sua vita non voleva spiegare ma coinvolgere in una narrazione che parlava al cuore di ciascuno: è difficile, ma anche noi possiamo provarci”.

Dopo il pranzo, nel pomeriggio i presenti sono stati divisi in tre gruppi e hanno lavorato, confrontandosi sulla propria esperienza educativa. Il confronto tra le varie esperienze è stato davvero fruttuoso e molti, in conclusione, hanno apprezzato la natura concreta, diretta e innovativa di questo progetto.

Paolo Prazzoli

Pubblicato il 3 ottobre 2021

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