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«Sabati della comunicazione»: un buon giornalista ricerca il nucleo profondo dell'esistenza

carla chiappini 1

Nel Seminario Vescovile di Piacenza si è svolto, sabato 7 maggio, il terzo incontro dei Sabati della Comunicazione. L'iniziativa rivolta a coloro che si occupano di comunicazione all'interno della realtà pastorale ed ecclesiale, questa volta ha visto intervenire la giornalista Carla Chiappini. "Come raccontare una storia di vita", il tema della mattinata.
Partendo dal presupposto che raccogliere e riportare le storie altrui sia un'impresa tutt'altro che facile, la Chiappini ha cercato di delineare l'atteggiamento ideale di chi - epiteto da lei scelto per la figura del giornalista - desidera cogliere la vita.

Ascolto con gli occhi

“Cosa c’è di tanto interessante nella mia storia al punto che valga la pena raccontarla?” viene chiesto spesso a un giornalista. La risposta? Incoraggiare l’intervistato – dice la Chiappini – con la profonda convinzione che ogni vita, nella sua unicità, è importante e pedagogicamente interessante. Dire all’intervistato che, qualunque cosa dirà, andrà ad aggiungere un tassello al mosaico e che – continua – non può avere la presunzione di conoscere a priori l’utilità effettiva del suo raccontarsi. Vinta questa eventuale resistenza e dichiarato, nella trasparenza, motivo e obiettivo dell’intervista, resta da capire come raccogliere la storia. Innanzitutto – spiega Carla – occorre sempre una traccia, di domande aperte alla riflessione e mai giudicanti. Una traccia pronta ad essere tradita, con digressioni e porte inaspettatamente spalancate. Un invito all’elasticità mentale e alla rinuncia, talvolta, della propria progettualità.
“Il giornalista è colui che guida, che riporta alla retta via, ma che non forza mai pur tentando di scavare a fondo” ribadisce. Cautela, coscienza del potenziale d’urto, delicatezza, attenzione, empatia, conoscenza delle carte deontologiche sono, assieme alla pazienza e all’eliminazione di fretta e nervosismo, gli elementi etichettati dalla giornalista come imprescindibili per una raccolta di storia di vita. Significa – precisa – ricercare il nucleo profondo dell’esistenza della persona. L’obiettivo non è né pratico, né comunicativo, né seduttivo.

Verità

I detenuti – prosegue l’esperta – tendono a fare giri di parole quando si raccontano. Usano eufemismi per attutire la verità della propria condizione perché, si sa, la verità fa male. Il giornalista dunque, certamente deve preoccuparsi di ripulire le parole ma, deve ricordarsi che la verità non ha bisogno di una grande aggettivazione. Essa – dice la Chiappini – si deduce senza calcare la mano e senza metterci troppo del nostro.

Etica delle parole

È fondamentale non dare mai nulla per scontato. Ciò significa – cerca di spiegare la giornalista – chiedere ragione del senso delle parole, soprattutto di quelle ripetute frequentemente nel corso dell’intervista. Consci del fatto che nelle pieghe delle parole si nascondono pezzi di storie, bisogna sempre definire il codice che la persona assegna a un termine, codice che può essere diverso da quello di chi intervista.

Silenzio

Restando in tema di parole, ci sono volte in cui esse non vanno pronunciate. Molte volte, davanti al dolore, a una lacrima, a una voce franta, il giornalista deve optare per il silenzio ed evitare di fare domande. Inoltre, le storie – afferma – appartengono alle persone. Di conseguenza, vanno difese dalla tentazione di usarle ed interpretarle, tentazione fortissima coi lavori autobiografici in scuole e carceri. Il giornalismo serio, che non è mai neutro, è un continuo dialogo con la propria coscienza.

Sguardo pulito

Il coraggio di mantenere le lenti il più pulite possibile è una delle premure che deve avere chi fa questo tipo di mestiere. Cosa vuol dire? Non cedere alla vanità giornalistica – spiega in soldoni Carla. Si scrive per essere letti quindi si cerca di scrivere bene per poter essere apprezzati ma ciò non deve essere l’unico fine esplicitamente perseguito. Quello che cerca di dire l’esperta di autobiografia, è che l’autocompiacimento del giornalista non può essere palese all’intervistato. Molte storie sono particolarmente suggestive e per questo appetibili; attenzione quindi perché il confine è labile.

Si può dire NO

A manipolare può essere il giornalista, così come può essere invece la persona che racconta. Capita – dice in conclusione la Chiappini – che il primo abbia l’impressione di sentirsi raccontare menzogne ed essere così in disaccordo. Presa in giro e perdita di tempo a cui il giornalista ha il diritto di rispondere “no”. Gli è lecito, in questo caso, dichiarare la propria opinione ed eventualmente decidere drasticamente di non riportare la storia.

Chi è Carla Chiappini

Giornalista, esperta in metodologia autobiografica e ricerca biografica, è stata vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti dell'Emilia Romagna e ha fatto parte del Consiglio di disciplina dello stesso. Docente presso la Libera Università dell'Autobiografia di Anghiari, da oltre 20 anni è impegnata in diverse carceri italiane dove coordina percorsi di scrittura utilizzando la pratica autobiografica come strumento di aiuto. Lavora con un gruppo di detenuti della sezione di alta sicurezza del carcere di Parma alla redazione del giornale "Ristretti Orizzonti" e dirige "Sosta Forzata. Itinerari della giustizia", il giornale della Casa Circondariale di Piacenza.

Elena Iervoglini

Pubblicato l'8 maggio 2022

 Nella foto, Carla Chiappini ai "Sabati della Comunicazione".

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