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«Settimana del dono»: il Sermig protagonista in Cattolica

sermig alla giornata del dono

All’interno della Settimana del dono, che l’Università Cattolica di Piacenza realizza ormai da cinque anni, si è tenuto il 4 ottobre, nella sede locale dell’Ateneo, un seminario dedicato al Sermig (Servizio Missionario Giovani) di Torino, di cui ha parlato un suo attivo esponente, Mattia Cignolo, incontrando l’interesse e l’attenzione di studenti e docenti.

Il Sermig è stato fondato a Torino nel 1964 da Ernesto Olivero assieme ad un gruppo di giovani cattolici, con l’ambizioso obiettivo di risolvere il problema della fame nel mondo. Un grande sogno non facile da realizzare, soprattutto a causa del numero ridotto di persone, mezzi e risorse che all’inizio c’erano a disposizione. L’associazione è nata quindi col compito di sostenere missionari e associazioni a distanza. Nel 1983 il numero di volontari era notevolmente aumentato e così il 2 agosto dello stesso anno è stata inaugurata la prima sede ufficiale del Sermig. Una sede insolita, che necessitava di essere ristrutturata: si trattava, infatti, di un vecchio arsenale attivo durante la prima guerra mondiale che produceva armi utilizzate dall’esercito italiano. Un luogo paradossale se si considera che lo scopo dei fondatori del Sermig è quello di contribuire a costruire la pace. Il Sermig di Torino ha preso vita dunque da una grande sfida: trasformare quel vecchio arsenale bellico in un arsenale di pace. Inaspettato il numero di persone che fornirono il loro aiuto, sia in termini di risorse che di lavoro fisico, che fu sicuramente di fondamentale importanza. Grazie all’impegno di quelle persone e alla loro testimonianza questa realtà è diventata sempre più conosciuta. Gli eventi presero poi il sopravvento sui progetti dei fondatori, e così, invece di una grande biblioteca che doveva contenere una raccolta di volumi dedicati al tema della pace, i volontari si trovarono a dover rispondere a centinaia, migliaia di persone che lì si rivolgevano in cerca di aiuto.
Ad oggi la realtà del Sermig è attiva su vari fronti per aiutare chi ha bisogno, le persone vengono accolte nelle loro differenze, viste non come un elemento di disunione e di scontro ma come un punto di forza. La pace è un valore universale e all’interno dell’associazione si costruisce nell’idea che “nessuno cammina da solo”.

Particolarmente interessante è stata la testimonianza di Mattia Cignolo, membro volontario attivo dal 2006 che si occupa della formazione di giovani volontari e che ha deciso di dedicare tutta la sua vita impegnandosi nell’associazione.
Nell’incontro in Cattolica gli sono state rivolte dagli studenti alcune domande:

Vi siete mai trovati nella condizione di dover dire di no a qualcuno che ha bussato alla vostra porta in cerca di aiuto?
Tutti i giorni, tantissime volte. Per tanti motivi diversi: non sempre abbiamo le risorse e le energie per dire di sì, spesso si presentano problemi per i quali non possediamo competenze per poterli risolvere, quindi a volte si è costretti a dire di no anche per senso di responsabilità. La vita è difficile per tutti, anche per chi fa delle cose belle. Difficile è stato soprattutto il periodo legato al Covid, che ci ha costretti a limitare l’attività.

Le persone a cui dite di no le aiutate indirizzandole verso un’associazione che possa assisterle?
Questo avviene sempre anche con le persone a cui diciamo di sì. Se una persona ha un problema specifico va indirizzata nel modo corretto. Questo vuol dire credere nelle istituzioni anche quando scopri che non funzionano; le istituzioni sono necessarie e attraverso il contributo di altri possono sicuramente migliorare.

Seguite anche direttamente attraverso dei volontari presenti sul posto i Paesi che aiutate? 
Abbiamo 3 centri: uno a Torino, uno in Brasile e uno in Giordania. I progetti che al momento sono stati realizzati sono più di 3600, messi in opera grazie alla collaborazione con altre realtà con cui siamo diventati amici. Ed è questa rete di amicizie che ci ha permesso di raggiungere tutto il mondo. Ci tengo inoltre a specificare che nessuno di noi è pagato né riceve compensi economici di alcun tipo e che tutte le donazioni vengono destinate completamente all’aiuto delle persone bisognose.

Ha detto che non avete uno stipendio, come fate quindi a vivere di questo lavoro?
Ognuno di noi deve trovarsi delle risorse per vivere, alcuni lavorano anche altrove. Io sono assunto dal Sermig ma tutti i soldi che mi arrivano li riverso come offerta. Chiedo aiuto ai miei amici per pagare le spese di vita normali. Ci vuole umiltà ma questo ti permette di rimanere con i pedi per terra. Qui si pone la nostra sfida, ovvero quella di tramandare questa mentalità.

Lei come singolo ha mai dubitato della scelta che ha fatto?

È stato un crescendo. Quando sono andato a vivere all’arsenale della pace mi sono sentito attratto, chiamato e mi sono buttato senza sapere bene dove andavo a parare. Ai tempi non ero inserito in modo particolare nel mondo cattolico ma decisi comunque di scrivere
al Sermig perché attirato da quello che facevano. La risposta che ricevetti mi invitava ad un incontro di preghiera. All’inizio lasciai perdere, poi in seguito decisi di andare a questo incontro. Non ci capii granché ma era stato ugualmente bello e piacevole. Dopo qualche tempo mi chiedono di andare a Vercelli in una parrocchia a sostituire un sacerdote che aveva aperto una comunità. Non era proprio il tipo di proposta che mi aspettavo e la voglia di mollare era tanta, ma dopo quasi un anno capii che anche se l’ambiente non era quello che avevo immaginato, questa sarebbe stata la mia strada. Da quel momento, tutti i dubbi che nascevano si sono dissolti con la prosecuzione del percorso.”

Mi ha colpito in modo particolare una frase che ripetete nella vostra comunità: “fare bene il bene. Cosa significa?
Per la guerra si investe sempre il meglio del meglio, perché la guerra è una cosa seria. Se noi investiamo nella pace gli scarti, quello che avanza, sarà competitiva la pace? No. La pace è più difficile da costruire rispetto alla guerra. Solo se il bene diventa competitivo rispetto al male può essere più attraente, è quindi un nostro obiettivo lavorare con la stessa dedizione di chi lavora per fare le armi o il male. Quindi il bene va fatto bene perché possa dare luogo a un bene attraente e non a un bene di serie B.

Siete voi a scegliere o sono i progetti, le persone e le associazioni che vi scelgono?
Molto spesso sono le persone o i progetti che ci hanno coinvolto. Molte associazioni ci chiedono aiuto e noi ci mettiamo a disposizione.

Altea Migliorini, studentessa della Facoltà
di Scienze della formazione

Pubblicato il 6 ottobre 2022

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