Educhiamoci alla speranza
L'insicurezza non ci piace. Non ci piace l'ambiguità. Le sfumature di grigio tra il bianco e il nero spesso ci mettono in crisi. Eppure il bianco e il nero, che tanto ci rassicurano sono rari nel nostro quotidiano. Il bene e il male li troviamo spesso mescolati tra loro.
Lo vediamo nei grandi temi su cui ci troviamo a riflettere ogni giorno. Lo vediamo quando ci troviamo a giudicare il comportamento nostro e delle persone che abbiamo intorno.
Tutti noi abbiamo la tentazione di bollare frettolosamente gli eventi e le persone con l'etichetta di “buoni” e “cattivi”. Ci rassicura, perché così facendo ci sembra di mettere ordine nel mondo spesso caotico che ci sta davanti.
Dio e la complessità
L'atteggiamento di Dio di fronte alla complessità invece è decisamente diverso.
Quando Gesù racconta la parabola del grano e della zizzania (Mt 13,24-30), spiega che a un certo punto i servitori del padrone, che è Dio e che ha seminato nel campo del seme buono, si rendono conto che con il grano sta crescendo anche la zizzania: con “i figli del Regno” stanno crescendo anche “i figli del Maligno”.
È quello che vediamo anche noi ogni giorno. Accanto ai buoni vediamo i cattivi operare impunemente: quelli che si arricchiscono sfruttando la povera gente, i violenti, i ladri, gli omicidi...
La prima proposta dei servitori del padrone è quella che probabilmente faremmo anche noi: “vuoi che andiamo a raccoglierla?”. Il nostro pensiero è il loro: vuoi che dividiamo i buoni dai cattivi? Il bianco dal nero? I giusti dagli ingiusti? Il mondo sarebbe decisamente più bello, no?
Perché Dio li fa stare al mondo? Perché Dio non fa qualcosa? Perché Dio permette questo?
Sospendere il giudizio
La risposta di Dio ci fa capire che il suo modo di pensare è totalmente diverso dal nostro: «No, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura» (Mt 13, 29-30).
A Dio la complessità non fa paura. Quello che a Lui fa paura è che qualcuno dei suoi figli si perda.
Il suo è il cuore innamorato di un Padre, che fino all'ultimo crede e spera nella bontà di ogni sua creatura. Come quelle mamme di figli, che noi non esiteremmo a definire “disgraziati”, che di fronte all'evidenza dei loro misfatti, non riescono a far altro che parlarne ancora bene: “sì, ha sbagliato, ma lui non è così. Ha il cuore buono il mio Luigi...”.
Se non abbiamo questa misericordia verso chi abbiamo davanti allora, come ci dice Gesù, è meglio sospendere il giudizio (Mt 7,1).
Uno sguardo nuovo sull'altro
Ma come è possibile? Un'idea delle persone ce la dovremo anche fare, no? È questione di sopravvivenza. Di fronte alla persona “pericolosa” dovrò pur prendere dei provvedimenti!
Certo. Quando i primi cristiani sentivano nominare Saulo di Tarso, persecutore spietato della Chiesa, sentivano i brividi correre su per la schiena. E avevano ragione! Se lo vedevano arrivare giustamente scappavano.
Però alla fine il feroce Saulo di Tarso, con la grazia di Dio, diventa San Paolo. Quest'uomo, che aveva decisamente addosso il bollino di “cattivo”, inaspettatamente diventa buono. Tutti ne restano sorpresi. Paolo sarebbe stato uno di quegli steli di grano, scambiati per zizzania, che i servi, se avessero potuto, avrebbero strappato e gettato nel fuoco.
Da qui l'invito di Dio a lasciar perdere: meglio non bollare le persone e lasciare il giudizio a Lui.
Leggendo la parabola, ci rendiamo conto inoltre che il compito di dividere le persone in “buoni” e “cattivi” non è nemmeno nostro. I mietitori, a cui a Dio affida il compito di dividere il grano dalla zizzania, infatti non sono i servi, ma gli angeli (Mt 13,39). Il giudizio sulle persone proprio non ci riguarda.
Allora possiamo metterci davvero l'anima in pace, e prenderci la parte migliore che è quella dell'amare tutti, educandoci a rimanere aperti alla possibilità di cambiamento, nostro e anche altrui.
È un educarsi alla speranza, a uno sguardo positivo sull'altro. Uno sguardo sempre più simile a quello di Dio che contemplando la sua creatura, amata indipendentemente da ciò che fa, non può far altro che esclamare con amore: è “cosa molto buona” (Gn 1,31).
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L'Autore
Letizia Capezzali è pedagogista. Laureata presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con una specializzazione in Pedagogia Clinica, lavora da oltre 15 anni in ambito educativo. |
Pubblicato il 7 dicembre 2020
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20. Mettere in sicurezza il cuore
24. "Io mi arrabbio perché io..."
25. Le nostre "spie" interiori
30. Il diritto di vivere le emozioni
33. Quando i sentimenti cercano di dirci qualcosa
35. La libertà nostra e degli altri