Inutili rivendicazioni
Le persone intorno si asciugano gli occhi mentre Paolo, il genero, intona un canto con una tenerezza e una profondità che non gli avevo mai visto prima.
La chiesa è piena, come succede per i funerali di persone importanti, anche se personalmente di Antonio, il novantaduenne nella bara lì davanti, non ho mai neanche sentito parlare.
Sono capitata lì per caso; tuttavia man mano che ascolto i racconti delle persone che alla fine della celebrazione condividono il ricordo di lui, rimpiango di non aver avuto l'opportunità di conoscere io stessa quest'uomo.
Apprendo che Antonio era una persona davvero speciale, pieno di interessi e passioni. Curioso ed eclettico, amava il canto e il teatro, si perdeva nella musica e scriveva poesie; gli piaceva dipingere e immergersi nella natura.
Anche sul lavoro si era distinto: entrato giovane come operaio semplice in una fabbrica di stoffe, negli anni era arrivato a dirigere il suo dipartimento. Aveva perfino ricevuto l'onorificenza di Cavaliere del Lavoro consegnata personalmente dal Presidente della Repubblica.
Una persona sicuramente brillante e fuori dal comune.
Tutti concordavano nel riconoscere nei suoi modi e nel suo stile una sorta di dignità nobiliare, ma nessuno, neanche Antonio, avrebbe potuto dire se si trattasse di genetica o altro: i suoi genitori lui non li aveva mai conosciuti. Da piccolo era stato abbandonato in un orfanotrofio e lì era cresciuto.
Raggiunta la maggior età era andato a costruirsi la sua fortuna, trovandosi un lavoro e conquistandosi più tardi l'amore di Agnese con la quale aveva messo su la sua bella famiglia.
Inutili rivendicazioni
Tutti quanti abbiamo qualcosa di più o meno grave da rimproverare ai nostri genitori: non ci hanno amato adeguatamente, non sono stati attenti ai nostri bisogni; magari ci hanno abbandonato, come è successo ad Antonio, o ci hanno inflitto ferite mortali; in alcuni casi possono essere proprio loro all'origine delle sofferenze più grandi che ci portiamo dentro.
Di fronte alle fatiche della vita, quando ci sembra che il nostro oggi sia tutto in salita, la tentazione è quella di focalizzarci su ciò che manca, sugli strumenti che non abbiamo ricevuto, le ingiustizie che abbiamo subito, e sentirci in diritto di incolpare dei nostri fallimenti chi, a nostro parere, non ci ha sostenuto come avrebbe dovuto: quante le discussioni in cui figli adulti continuano ad accusare a distanza di anni gli ormai anziani genitori incolpandoli dei loro fallimenti: “Se mi sono separato da mia moglie è perché voi non mi avete mai mostrato come ci si ama in famiglia!”; “Se oggi non ho un lavoro è perché tu non mi hai mai incoraggiato!”; “Non ci sei mai stato per me! Mi hai fatto crescere da solo!”.
Nessuno mette in dubbio la legittimità delle rivendicazioni: spesso i motivi per cui accusiamo chi ci ha cresciuto sono effettivamente veri, ma continuare a incolpare i nostri genitori di tutto a cosa serve?
Diventare genitori di noi stessi
Gesù ci ha chiamato a libertà: che senso ha perdere il tempo prezioso che abbiamo, continuando a pretendere dagli altri ciò che oggi siamo finalmente in grado di fare noi?
Arriva un momento nella vita in cui, indipendentemente dalla famiglia che abbiamo avuto, bella o brutta che sia, bisogna che impariamo a diventare genitori di noi stessi. Da adulti, le responsabilità educative che i nostri genitori avevano verso di noi devono diventare nostre e abbiamo l'opportunità di fare verso noi stessi quello che farebbe un buon genitore: proteggerci, accudirci e sostenerci.
Serve a qualcosa continuare ad accusare i nostri genitori di situazioni passate che non si possono cambiare?
Hanno fatto quello che hanno potuto con ciò che avevano a disposizione.
Ora tocca a noi fare ciò che possiamo con ciò che abbiamo a disposizione.
Si tratta di assumerci finalmente la responsabilità di quello che siamo, smettendo di guardare il passato per focalizzarci sulle risorse e opportunità che ci sono nel nostro presente.
E questa è anche la logica del Vangelo: che tu abbia ricevuto 10 talenti o 1 solo, hai sempre l'opportunità di metterti in gioco, di ripartire ogni giorno, e in questa avventura non sei solo, ma hai un Padre che ti sostiene e tifa per te.
17 - Continua
La prossima tappa sarà online giovedì 27 agosto
![]() |
L'Autore
Letizia Capezzali è pedagogista. Laureata presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con una specializzazione in Pedagogia Clinica, lavora da oltre 15 anni in ambito educativo. |
Pubblicato il 24 agosto 2020
Ascolta l'audio
Le tappe già pubblicate
1. Un percorso per scoprire come imparare ad amare
3. «Non sei abbastanza», una grande bugia
4. «Mio padre è il padrone del mondo»
5. Amàti sempre. Così come siamo
11. Profugo e ricercato a 2 anni
12. Tu sei prezioso