Rispettiamo la libertà
Un figlio decide di lasciare casa. Se ne vuole andare e lo fa sbattendo la porta, manifestando disprezzo verso le persone con cui è cresciuto e che si sono prese cura di lui.
Potrebbe essere una delle tante storie che accadono ogni giorno, una di quelle che ci racconta la nostra vicina di casa, quella che sa tutto di tutti:
“Hai sentito cosa è successo ai Bianchi? Marco alla fine se ne è andato. Povera Giovanna! Pensare che Alberto, il primo figlio, è un ragazzo così affidabile...
Con Marco però hanno sempre dovuto penare... Comunque adesso se n'è andato. Pietro, suo padre è distrutto. Non si meritavano un trattamento di questo genere, dopo tutto quello che hanno fatto per lui...”.
Come reagiremmo noi a un figlio ormai grande che decidesse di andarsene?
Lo lasceremmo libero o gli sbarreremmo la porta di casa impedendogli di uscire?
Gli diremmo che per lui ci saremo sempre o gli chiuderemmo alle spalle, oltre che la porta, anche il nostro cuore?
“Tu per me sei come morto”
Confrontarsi con la libertà altrui non è semplice. Siamo legati gli uni agli altri in reti di relazioni più o meno fitte, e quando qualcuno decide per sé, può accadere che le conseguenze delle sue scelte finiscano per toccare parzialmente anche noi. È un problema che riguarda l'uomo di ogni tempo.
Anche Gesù ne parla (Lc 15, 11-32) e lo fa raccontando proprio quella che potrebbe essere la storia di Marco e della sua famiglia. Gesù però nel suo racconto aggiunge particolari che rendono ancora più drammatica la situazione. Il figlio in questione, per esempio, non si limita ad andarsene, ma lo fa sbattendo in faccia al padre una richiesta che ai tempi era considerata la peggior offesa che un figlio potesse fare a chi lo aveva generato: “Dammi la mia parte di eredità”, gli chiede.
Per gli ebrei contemporanei di Gesù questo era considerato un affronto gravissimo perché era come dire al proprio padre: “tu per me sei come morto”.
Gesù presenta dunque una situazione drammatica, che probabilmente non ci troveremo mai ad affrontare; tuttavia, può essere rappresentativa di tutte quelle situazioni, meno estreme, in cui qualcuno che amiamo decide di fare qualcosa che noi non condividiamo.
In questa parabola si parla infatti di libertà: di come Dio, che nel racconto è rappresentato dal padre, tratta la nostra libertà, e di come anche noi siamo chiamati a rispettare la libertà altrui.
Liberi, anche di sbagliare
È chiaro che qui stiamo parlando di adulti e non di bambini o ragazzi. Nei confronti dei piccoli noi abbiamo la responsabilità di guidarli nelle loro scelte, talvolta anche sbarrando loro decisamente la strada.
Invece ogni adulto, in condizioni normali, ha sempre il diritto di scegliere per quel che riguarda la sua vita: è una responsabilità che gli appartiene ed è una libertà inviolabile.
Quando noi impariamo a rispettare la nostra stessa libertà, cercando di vivere autenticamente, esprimendo i nostri desideri e bisogni in modo appropriato e rispettoso, è probabile che saremo più disponibili ad accettare il fatto che anche gli altri godono delle nostre stesse prerogative.
Rispettare noi stessi e la nostra libertà ci aiuta ad accettare che anche gli altri rispettino se stessi e la loro libertà, anche quando questo si traduce nell'opporci un rifiuto o nel prendere decisioni che noi non condividiamo.
Il padre del racconto di Gesù, di fronte all'affronto e alla decisione del figlio di lasciar casa, si comporta in maniera sorprendente: non fa e non dice nulla. Non so quanti di noi sarebbero in grado di comportarsi in quel modo. Non grida, non sbraita, non minaccia, non implora: rispetta totalmente la decisione del figlio, anche se sa bene che essa non porterà a nulla di buono.
Tanto è il rispetto di Dio per la nostra libertà e la sua fiducia in noi, da lasciarci completamente liberi, anche di sbagliare.
Allora, parlando di amore per gli altri, un primo passo non potrebbe essere proprio quello di provare a lasciarli liberi?
Magari potremmo anche condividere con loro le nostre perplessità e manifestare loro i nostri dubbi sulle loro scelte, per poi però farci da parte.
Potremmo provare ad amare lasciando nelle mani di chi ci sta accanto il timone della sua vita, proprio come fa Dio con ciascuno di noi.
36 - Continua
La prossima tappa sarà online giovedì 5 novembre
![]() |
L'Autore
Letizia Capezzali è pedagogista. Laureata presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con una specializzazione in Pedagogia Clinica, lavora da oltre 15 anni in ambito educativo. |
Pubblicato il 2 novembre 2020
Ascolta l'audio
Le tappe già pubblicate
1. Un percorso per scoprire come imparare ad amare
3. «Non sei abbastanza», una grande bugia
4. «Mio padre è il padrone del mondo»
5. Amàti sempre. Così come siamo
11. Profugo e ricercato a 2 anni
12. Tu sei prezioso
15. Amàti nelle nostre miserie
16. Trovare il bene anche nelle difficoltà
19. Amare sé per amare gli altri
20. Mettere in sicurezza il cuore
24. "Io mi arrabbio perché io..."
25. Le nostre "spie" interiori
30. Il diritto di vivere le emozioni