Esserci per l'altro
“Ci insegnarono tante cose: a scrivere, leggere, parlare, cantare, amare; forse ci insegnarono persino ad insegnare; ma mai nessuno ci insegnò ad ascoltare, mai nessuno ci disse che regalare ascolto è un gesto di amore raffinato, che l’atteggiamento d’ascolto è tanto difficile quanto prezioso, così prezioso che può diventare dono” (“Dalle parole al dialogo” di G. Colombero)
Guardando alla nostra vita oggi, sembra impossibile pensare che qualcuno possa sentirsi solo: siamo costantemente “connessi” con il mondo, abbiamo a disposizione una tecnologia che potenzialmente ci può mettere in contatto con tantissime persone. Basta un “click”.
Abbiamo inventato nuovi modi di entrare in relazione con gli altri: il tempo e lo spazio, il qui e ora, sembrano non essere più condizione necessaria per vivere la relazione con l'altro.
E allora perché ci sentiamo ancora soli? Forse anche più di prima.
Mi colpiva l'immagine di una pubblicità dove si vedeva una famiglia, riunita in salotto: ciascuno aveva in mano un cellulare. Erano fisicamente vicini, seduti sul divano, ma nessuno era presente all'altro. Condividevano il luogo fisico, ma nessuno era realmente lì.
L'essere presente a sé e l'essere presente all'altro sono condizioni necessarie per vivere autenticamente le nostre relazioni.
I migliaia di “amici” sui social non sono in grado di rispondere al nostro bisogno profondo di amare ed essere amati, al nostro desiderio di vivere relazioni autentiche e significative con gli altri perché, in definitiva, non ci sono. La relazione si costruisce a partire da un esserci. Un esserci per l'altro.
Lasciare spazio all'altro
Esserci per l'altro è la prima forma di amore che possiamo offrire a chi ci sta accanto: essere presente rivolgendo all'altro la nostra attenzione. In una parola: ascoltarlo.
Infatti se è vero che ci può essere un ascolto senza amore, non può mai esserci amore senza ascolto.
Non è certamente facile ascoltare in profondità chi ci sta davanti. Il nostro “io” spesso scalpita per riguadagnarsi il centro del palcoscenico. Non lo facciamo neanche con cattiveria: partiamo con le migliori intenzioni, con la ferma volontà di lasciare alla persona tutto lo spazio di cui ha bisogno, e poi, senza che neanche ce ne rendiamo conto, ecco che il nostro interlocutore è lì in silenzio mentre noi lo consigliamo, lo incoraggiamo o gli raccontiamo magari di come anche noi abbiamo vissuto in passato quello che sta sperimentando lui.
Ascoltare, ascoltare davvero, non è per niente facile.
“Per la prima volta nella mia vita mi sono sentita veramente ascoltata”
Nella nostra Comunità Magnificat, ogni membro ha periodicamente un incontro con un “fratello di sostegno”, una persona con la quale prega e condivide in profondità di sé, con lo scopo di cercare di conformare sempre più la propria vita a quella di Gesù.
È un colloquio fatto di ascolto profondo, anche se non sempre siamo capaci di essere buoni ascoltatori. Quel giorno Giovanni, un mio fratello di comunità, lo divenne suo malgrado:
«Era stata una giornata difficilissima sul lavoro, preceduta da una notte insonne in cui ero stato male. Ero stanchissimo. Arrivato a casa, senza neanche scaldarmi il pranzo, mi ero buttato direttamente sul letto.
Non erano passati neanche 10 minuti che mi bussano alla porta: Anna! Ho il colloquio con Anna!. Me ne ero completamente dimenticato, ma era ormai troppo tardi per rimandare.
Ci mettiamo a sedere, e dopo un momento di preghiera, lei comincia a parlare.
Faticavo a tenere gli occhi aperti, e speravo che lei non se ne accorgesse. Non avevo la forza di intervenire. Rimasi zitto tutto il tempo. Ero mortificato, ma non riuscivo a fare altro.
Dopo un'ora circa, Anna smise di parlare. Rimanemmo per un attimo in silenzio. Poi mi guardò. E scoppiò a piangere.
Io balzai sulla sedia. In quel momento mi assalirono mille pensieri: l'ho ferita! Che razza di fratello sono? Avrei dovuto spostare l'incontro!
Stavo per iniziare a scusarmi, quando Anna riprese: “Ti ringrazio di cuore, Giovanni. Per la prima volta nella mia vita mi sono sentita veramente ascoltata”.
Rimasi senza parole. Quell'episodio fu per me un grande insegnamento».
42 - Continua
La prossima tappa sarà online giovedì 26 novembre
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L'Autore
Letizia Capezzali è pedagogista. Laureata presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e con una specializzazione in Pedagogia Clinica, lavora da oltre 15 anni in ambito educativo. |
Pubblicato il 23 novembre 2020
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Le tappe già pubblicate
1. Un percorso per scoprire come imparare ad amare
3. «Non sei abbastanza», una grande bugia
4. «Mio padre è il padrone del mondo»
5. Amàti sempre. Così come siamo
11. Profugo e ricercato a 2 anni
12. Tu sei prezioso
15. Amàti nelle nostre miserie
16. Trovare il bene anche nelle difficoltà
19. Amare sé per amare gli altri
20. Mettere in sicurezza il cuore
24. "Io mi arrabbio perché io..."
25. Le nostre "spie" interiori
30. Il diritto di vivere le emozioni
33. Quando i sentimenti cercano di dirci qualcosa