Gli «invisibili»
Uomini, 50-55 anni, vivono coi genitori: i volti della solitudine
Sono stati 246 gli anziani soli seguiti nel 2016 dal Servizio di Quartiere del Comune. “È una modalità di accompagnamento che preserva le capacità di autonomia dell’anziano, è gratuita e riservata a chi non ha una rete familiare”, precisa Giulia Cagnolati coordinatrice degli interventi sociali e socio-sanitari rivolti agli anziani. I nuovi ingressi sono stati 90, con una distribuzione omogenea: a parte il Quartiere 4, con 25 persone, gli altri si attestano sui 44-46.
“Di casi di anziani completamente abbandonati che vengono scoperti solo dopo anni ne ricordo in passato – sottolinea Cagnolati –. Ormai c’è un sistema di allerta diffuso nella nostra città. Stiamo ricevendo una segnalazione ogni due o tre giorni”.
Ma le situazioni di fragilità che rischiano di portare alla solitudine non riguardano solo gli over 70. Elena Foletti, responsabile dell’Area promozione dell’integrazione sociale del Comune - si occupa di persone tra i 18 e i 64 anni; a rischio povertà e marginalità - parla di situazioni in cui il “bozzolo familiare” si trasforma in una gabbia. “È ricorrente il caso di 50-55enni, per lo più uomini, che vivono con i genitori anziani e per accudirli magari lasciano il lavoro. Sono degli invisibili, all’apparenza non c’è un disagio conclamato. È di solito la morte del genitore che fa emergere la solitudine sociale e relazionale”. Anche qui preziosa è l’attenzione dei vicini di casa. “L’humus solidale c’è, ma c’è il timore di essere invadenti”.
I volti estremi della solitudine nel mondo adulto anche a Piacenza sono quelli dei senza fissa dimora. “Sono i più diffidenti. Non hanno relazioni con la famiglia. Stare ai limiti è per loro una forma di difesa”, riflette Foletti. Nel 2016 al rifugio Segadelli in stazione ne sono passati 127, 62 italiani e 65 stranieri. Nelle casa di seconda accoglienza per uomini 16, 8 italiani e 8 stranieri. Nell’accoglienza femminile “Sant’Anna” 27, 15 italiane e 12 straniere.
E poi c’è il carcere, “il regno della solitudine”, lo definisce Foletti, in cui le relazioni familiari sono sottoposte a logorio continuo. Con tanti interrogativi sul “dopo”.
Leggi l’articolo a pagina 6 dell’edizione di giovedì 9 febbraio 2017