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Roberto Saviano: «Mostrando l’orrore fornisco gli strumenti per capire la criminalità e sconfiggerla»

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“Nessuno ammazza perché lo ha visto in un film, e nessuno diventa camorrista dopo aver visto Gomorra. Non è possibile sottrarsi al racconto del dolore se quel dolore lo vogliamo mutare. Tuttavia, siamo finiti in una spirale per cui se io racconto il male vengo accusato di diffonderlo. È una nuova forma di censura, un modo furbo di invitare all’omertà. Così come Émile Zola che, a causa del racconto dello sfruttamento nelle miniere, veniva accusato di infangare la Francia”. Roberto Saviano si difende così dagli attacchi “ingiustificati” – come li definisce Andrea Colamedici in apertura – a cui è frequentemente sottoposto. “Il livello di maturità di una società – aggiunge il direttore filosofico del Festival del Pensare contemporaneo – si vede da come essa tutela gli intellettuali, soprattutto quelli non conformi con il potere”.

L’orrore va mostrato se si vuole sconfiggerlo

Lo scrittore napoletano, noto per le sue denunce delle realtà mafiose e dei loro collegamenti con la politica, che gli hanno fatto guadagnare la scorta nel 2006 dopo le minacce da parte del clan dei Casalesi, è intervenuto al Teatro Municipale nell’ennesimo incontro da tutto esaurito. All’esterno, una folla nutrita ha assistito all’incontro trasmesso tramite un maxischermo installato in piazza Sant’Antonino. L’auto-apologia di Saviano è partita da un quadro di Caravaggio, “Incredulità di San Tommaso”. “Gesù dice a Tommaso che solo attraverso il dolore può rinascere – dice Saviano – e così anche noi, tramite il dolore, possiamo arrivare alla verità”. Lo scrittore è convinto che parlare dell’orrore e mostrarlo sia necessario per stimolare la consapevolezza. “Nel Napoletano la diffusione delle armi è enorme – dice – soprattutto dopo il Covid, quando i controlli portuali sono diminuiti per velocizzare i transiti. Il crimine di stampo camorristico lo conosciamo bene perché la serie tv ha saputo rappresentare una realtà che prima non si vedeva. Al contrario, c’è l’esempio della Svezia, il Paese europeo col più alto numero di omicidi per narcotraffico. Il dibattito non è arrivato nel Paese scandinavo perché non è arrivata la rappresentazione. Se le storie sono accessibili, la realtà si può guardare in faccia per quella che è: un fenomeno sociale, politico e culturale”.

Il codice mafioso: la concezione della violenza

Archiviati i chiarimenti sull’esibizione dell’orrore, Saviano ha ripercorso, attraverso alcuni filmati proiettati, alcuni momenti del maxiprocesso di Palermo iniziato nel febbraio del 1986. Con l’aiuto dei documenti video, lo scrittore ha evidenziato la visione della violenza secondo il codice mafioso. “Michele Greco, «capo dei capi» di Cosa Nostra (dal 1978 al 1986, nda), dichiarò che la violenza non faceva parte della sua dignità. Un’affermazione che può apparire assurda – osserva Saviano – se pronunciata da un mafioso. Ma in realtà Greco non stava mentendo, la sua interpretazione di violenza lo faceva sentire sincero: la violenza, per lui, si limitava a uccidere gli innocenti. Era convinto che ammazzare i traditori e gli altri mafiosi non lo rendesse un violento. Secondo la stessa regola, Matteo Messina Denaro si definiva un «criminale onesto», un ossimoro”.

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Nella foto, il pubblico al Teatro Muncipale.

Il codice mafioso: far arrivare i messaggi attraverso i processi

Un’altra pratica usuale per i boss di Cosa Nostra era usare i processi come strategia per far recapitare i messaggi. Perciò “Michele Greco, quando fu arrestato, dichiarò di essere un’altra persona, con tanto di documenti falsi. In realtà lui sapeva benissimo di essere stato riconosciuto, il suo obiettivo non era ingannare i carabinieri, ma prendere tempo affinché la voce arrivasse al suo amico politico democristiano Salvo Lima”. Un altro esempio portato dallo scrittore riguarda Salvatore Riina che, dopo aver dichiarato di non sapere cosa fosse Cosa Nostra se non per notizie sparse apprese dai giornali ed essersi rifiutato di parlare con Tommaso Buscetta, “reo” di avere “più mogli”, scelse il silenzio. “Ormai il suo messaggio lo aveva lanciato – spiega Saviano –. Inoltre, nelle parole di Riina c’è anche un altro aspetto: lui non parla con Buscetta perché «ha tante mogli». Nel codice mafioso, infatti, c’era scritto che era vietato entrare in Cosa Nostra a chi era stato iscritto al Partito fascista, al Partito comunista, agli alcolisti, ai ludopatici e a chi tradiva la moglie. Dopo il maxiprocesso, Cosa Nostra ammazzò prima chi aveva tradito, fra cui Salvo Lima, sebbene fosse il numero uno della DC in Sicilia, e poi i nemici Falcone e Borsellino”.

“Curiosità non significa non considerare l’orrore”

“Il funzionamento della mafia, con i vari codici d’onore, è affascinante – ammette Saviano – ma conoscerlo dovrebbe spingere a chiedersi come sia possibile che esista ancora una convinzione per cui quella strada consenta di sentirsi uomini. Il mio interesse non è vincere, ma convincere, fornendo strumenti. Questo fa paura a chi mi trascina in tribunale o mi censura i programmi in televisione. Le storie danno la chiave per capire. Il fatto che siamo incuriositi non significa che non consideriamo l’orrore”.

Francesco Petronzio

Panoramica senza titolo1 dimensioni grandi

Nelle foto: in alto, Roberto Saviano e sopra, una folta folla segue l'intervento di Saviano dal maxischermo montato in piazza Sant'Antonino.

Pubblicato il 25 settembre 2023

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