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Il regista Sarti: «Basaglia ha rivoluzionato il sistema psichiatrico mondiale»

muri

I muri sono dentro la testa. Il manicomio è un insieme di schemi che abbiamo nella mente, da cui dobbiamo liberarci, sono quelli i muri che dobbiamo buttare giù. A questa conclusione arriva Mariuccia Giacomini, infermiera dell’ospedale psichiatrico di Trieste negli anni ‘70, dopo aver vissuto la rivoluzione di Franco Basaglia. La lettera che lei scrive, ripresa dal regista Renato Sarti che ne ha fatto un monologo teatrale, è il racconto di ciò che avveniva prima e ciò che avviene immediatamente dopo. Una sorta di diario che Sarti ha chiamato “Muri. Prima e dopo Basaglia”. A Piacenza, Paola Pedrazzini l’ha scelto per chiudere il dittico cinematografico e teatrale per ricordare lo psichiatra a cent’anni dalla nascita. Sul palco una sedia e un leggìo, la voce è quella dell’attrice Giulia Lazzarini. Lo spettacolo è andato in scena nella serata di martedì 16 aprile a Palazzo Xnl. Al termine, il dibattito con Lazzarini e Sarti moderato dal conduttore radiofonico Massimo Cirri.

La società e il “diverso”

Il racconto di Mariuccia oscilla fra il “prima” e il “dopo” la riforma. “Era arrivata all’ospedale psichiatrico due anni prima di Basaglia – spiega il regista Renato Sarti – e quindi aveva vissuto, e in qualche modo ritenuto anche normale, quel metodo fatto di violenze, che si manifestavano con dosi massicce di psicofarmaci, pestaggi, legature ai letti, elettroshock e lobotomie. Basaglia ha cambiato tutto ciò, dopo di lui si è passati a un atteggiamento fatto di rispetto, confronto, dialogo, comprensione e condivisione della sofferenza umana. Mariuccia vive questo cambiamento profondo non solo dal punto di vista psichiatrico ma anche personale, intimo e familiare”. Oggi, a distanza di oltre 45 anni (la legge è del 1978), il modello Basaglia si è consolidato. “In Friuli-Venezia Giulia funziona – dice Sarti – perché sono stati destinati i contributi doverosi, in altre regioni funziona meno. Ma il sistema è stato preso come modello in altri paesi come Turchia, Brasile, Australia e Svizzera: Basaglia ha rivoluzionato il sistema psichiatrico mondiale”. Il monologo arriva fino a noi perché “l’argomento è sempre attuale – commenta il regista –, noi come società non abbiamo sempre un atteggiamento rispettoso nei confronti del diverso”. La seconda ragione è legata più al processo interiore di Mariuccia. “La sua testimonianza ha in sé un percorso straordinario: lei è una donna umile, viene da uno dei quartieri più popolari della città, Servola, con uno dei dialetti più vivaci, e si ritrova in un altro mondo. Quindi, anche dal punto di vista del linguaggio, c’è un’evoluzione che emerge anche da una scrittura drammaturgicamente molto efficace”.

“Prima e dopo Basaglia”

Il racconto che si riceve da Giulia Lazzarini è profondo, a tratti ironico. In narrativa sarebbe un romanzo di formazione: lei, Mariuccia Giacomini, da donna del popolo acquisisce una consapevolezza nuova, che a quel tempo era innovativa, rivoluzionaria. E la percepisce, la vive, ci si immerge. Il reparto M, dove lavora Mariuccia, è l’ultima tappa del percorso delle pazienti (donne, perché i reparti erano divisi e le infermiere si occupavano di quello femminile). “Quelli che venivano qua erano corpi vuoti”, d’altronde, “dopo tutta la violenza degli elettroshock, cosa rimaneva?” si chiede Giulia Lazzarini dal palco di Xnl, constatando che quelle “avevano impressa nel volto la violenza delle istituzioni”. Ma poi, “dopo Basaglia”, si inizia ad ascoltare quelle pazienti e si scoprono i dubbi: “E se i nostri mariti ci hanno messe qui apposta, per un fatto economico o, forse, per stare tranquilli con l’amante?” si domandano alcune di loro. Certo è che, dopo la riforma, “cominciò il cambiamento personale e professionale”. “L’ospedale fu diviso in cinque settori, uno per ogni rione di Trieste. Il nostro orario – racconta l’infermiera interpretata da Lazzarini – si ridusse da 48 a 36 ore settimanali. Se prima ci dicevano di chiudere, ora ci dicono di aprire tutto”. La fortissima componente culturale e sociale dell’azione basagliana si potrebbe riassumere in un concetto basilare: “Bisogna lavorare là dove nasce il conflitto”. Combattere le cause della malattia, dunque, e non solo la malattia. E, dopo, rieducarsi. Perché “il rispetto è la prima cosa che impedisce la violenza”.

L’osteria, il vino e gli operai “poveracci”

Nel dibattito successivo allo spettacolo il regista Renato Sarti ha raccontato un fatto personale che lo lega alla realtà dei manicomi. “Mio zio lavorava alle acciaierie di Trieste – dice –: in quelle industrie si entrava con la paura e si usciva con la speranza di non aver preso malattie polmonari. Come tutti gli operai, alla sera andava a bere all’osteria. Il vino era la droga di tutti i poveracci. E all’osteria portava anche me e mio fratello, con mia madre disperata per l’ora tarda e la distanza da casa. Anche lui, a un certo punto, fu ricoverato nell’ospedale psichiatrico”. L’idea dello spettacolo nasce nel 2008, dopo un incontro organizzato da Massimo Cirri per il trentennale della Legge Basaglia in cui Renato Sarti conosce Mariuccia. La profondità del testo, poi, viene impreziosita dal talento di Giulia Lazzarini, che decide di porre la giusta enfasi e tenere le parti in dialetto triestino. “Strehler diceva sempre di pensare in dialetto – dice Lazzarini, che di Giorgio Strehler è stata allieva –, in Italia abbiamo dialetti meravigliosi”.

Francesco Petronzio

Nella foto, da sinistra, Paola Pedrazzini, Mario Magnelli, Elena Uber, Massimo Cirri, Giulia Lazzarini e Renato Sarti.

Pubblicato il 18 aprile 2024

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