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Beatificazione don Beotti. Don Campisi: facciamoci innamorare della sua storia

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“Don Giuseppe Beotti è stato qui con noi, a Borgonovo, negli anni ’40 solo per quindici mesi. Ma in quel breve periodo ha battezzato tantissimi bambini: questo è un segno importante per il nostro paese. Don Giuseppe ha celebrato qua, in questa chiesa, e la sua presenza per noi è stata una grazia”. Così don Gianni Bergomi, parroco di Borgonovo, ha introdotto la celebrazione eucaristica di domenica 16 luglio, nella chiesa di S. Maria Assunta, presieduta dall’attuale parroco di Castel San Giovanni don Andrea Campisi. Questa messa costituisce il primo passo ufficiale nel cammino che porterà alla beatificazione di don Giuseppe Beotti, sacerdote piacentino ucciso nel 1944 dalla crudeltà dei nazisti: di fronte alle loro minacce di uccidere tutti i sacerdoti che avrebbero trovato lungo la strada, don Giuseppe rifiutò con decisione di lasciare Sidolo, il paesino di montagna in cui era stato mandato, rifiutò di abbandonare i suoi parrocchiani, e per questo fu fucilato.

La relazione vitale di don Beotti con Gesù
Tra le navate gremite della chiesa c’erano anche molti fedeli provenienti da Gragnano, terra d’origine di don Giuseppe Beotti. “Sono davvero grato di poter celebrare l’eucarestia in questa occasione – ha esordito don Campisi nell’omelia – proprio qui a Borgonovo dove ho vissuto anni importantissimi per la mia vita, e dove anche don Giuseppe aveva vissuto i primi mesi del suo sacerdozio. Sono anche grato di aver potuto conoscere la vita di don Beotti anni fa, appena arrivato a Gragnano come parroco: in quel paese lui era nato e aveva le sue radici. Don Giuseppe in quei primi mesi di presbiterato mi ha aiutato molto nel mio ministero, soprattutto durante il periodo molto difficile della pandemia: è stato per me non solo fonte di ispirazione, ma una presenza attiva che mi ha guidato. E credo che le letture, oggi, ci aiutino a gioire per la testimonianza di questo giovane prete martire della nostra diocesi.
Innanzitutto, ciò che emerge subito ascoltando la parabola del seminatore è che noi non siamo creatori della vita, ma piuttosto destinatari di vita: essa non viene da noi ma è dono di Dio, scende dal cielo, viene dall’alto. Noi dunque siamo terreno in cui Dio può deporre un seme perché germogli la sua stessa vita, come è accaduto prima nella Vergine Madre e poi nella vita dei santi, che sono un segno dell’iniziativa mirabile del suo amore: il seminatore è Cristo, il seme è la sua parola che è vita, e noi siamo il terreno. L’uomo si realizza ascoltando e accogliendo la Parola che viene da Dio, il suo soffio: solo quando la parola scende e penetra nella nostra umanità allora la nostra vita porta frutto. Quindi non si tratta di magnificare le qualità umane di don Giuseppe e il suo eroismo come se fossero frutto della sua bravura innata, ma di riconoscere l’iniziativa di Dio in lui e in noi: le sue scelte coraggiose non sono il risultato della coerenza a un ideale, dell’osservanza di una legge, dell’adesione a valori esterni, ma sono il frutto di una relazione vitale e costante con Gesù e la sua parola, vissuta dentro alla comunità cristiana che la fede gli ha trasmesso e testimoniato.
Fin dai primi anni del suo ministero qui a Borgonovo, don Beotti ebbe la chiarezza che il suo ministero dovesse essere eroico. D’altra parte, non esiste una vita cristiana “normale”, tiepida e accomodante: è dentro l’essenza stessa della vita cristiana lo straordinario, almeno come tensione costante, chiamata, appello che continuamente ti spinge e ti muove. C’è nel cuore dell’uomo un’apertura al meraviglioso, al grande, all’impossibile.

La carità di don Beotti
Così possiamo dire che, secondo il metro umano, la carità di don Giuseppe era esagerata, come è esagerato e generoso il seminatore che getta il seme ovunque: don Giuseppe è nato povero e povero è rimasto anche da prete, libero da ogni attaccamento ai beni. Riguardo alla sua carità materiale ci vorrebbe un volume e sarebbe impossibile enumerare tutte le sue opere, perché era molto attento a farle nascostamente e tante volte si serviva di seconda persona a patto che non dicesse la provenienza. Diceva che quando compiva questi atti si sentiva così leggero e diceva di avere una pace del cuore così profonda che nessuno poteva capire. Dunque davvero quel seme che nel Battesimo era stato posto nella sua vita non è stato soffocato dalla preoccupazione del mondo e dall’inganno della ricchezza.
Il suo agire era mosso dall’ascolto del Signore e della sua parola: in questa relazione con Gesù don Giuseppe è vissuto e questa ha voluto comunicare e testimoniare a coloro che incontrava. Mi sembra di intuire e di poter dire che il suo martirio è stato il compimento della sua esistenza, il punto d’arrivo della vita che ha vissuto: per don Giuseppe era chiaro che seguire Cristo comportava l’offerta della propria vita. Quindi, nonostante sapesse benissimo cosa sarebbe accaduto, decise di non fuggire.
C’è qualcosa di grande e misterioso in questa decisione. Tutti noi gli avremmo consigliato di andare via. Potremmo anche chiederci: cosa ha cambiato, nelle sorti del mondo, la sua morte? Quei nazisti che lo hanno ucciso erano ubriachi e se ne sono andati sghignazzando. Davvero l’offerta della sua vita è stata preziosa? In fondo, se ci pensiamo, è come la morte di Gesù: agli occhi del mondo, per la mentalità del mondo, una morte ignominiosa e inutile, motivo di derisione e di scherno. Eppure sembra proprio, come diceva una scrittrice dell’800, che il bene crescente nel mondo dipende in parte da azioni ignorate dalla storia. Esiste cioè una rete misteriosa del bene che sorregge il mondo: ogni tanto può accadere che questa rete affiori e si mostri, facendosi per un attimo visibile. Spesso essa si dipana e opera nell’oscurità, al contrario del male che è sempre fragoroso e ha bisogno del clamore, ma poi finisce per non resistere e si consuma nel momento stesso in cui si mostra. È una rete tessuta d’atti di amore come il martirio di don Giuseppe, nascosti, non apprezzati e riconosciuti. Tre corpi dilaniati dai colpi contro un muretto di sassi di montagna sono il ghigno beffardo della vittoria della morte sul mondo, sull’uomo e su Dio o sono il segno dell’appartenenza a Cristo che vince il male dando la vita? È la vittoria dell’agnello di cui parla l’Apocalisse, che è sgozzato ma è ritto in piedi. È questa vittoria della fede che noi celebriamo nella testimonianza di don Giuseppe.
L’augurio che ci facciamo è che questi mesi precedenti la beatificazione ci facciano innamorare della sua storia e ci rendano desiderosi di vivere anche noi come lui, una vita bella e colma di silenziosa carità. Che questa vita, questa bellezza e questa beatitudine possano attirare anche noi”.

Signore prendi me! Le prossime celebrazioni

Prosegue l'iniziativa promossa dalla diocesi di Piacenza - Bobbio in preparazione alla beatificazione di don Beotti in Cattedrale a Piacenza il 30 settembre:

Domenica 23 luglio ore 16.30 messa a Sidolo presieduta da don Giuseppe Basini;
domenica 30 luglio ore 11.30 messa a Campremoldo Sotto presieduta da don Claudio Carbeni;
domenica 13 agosto ore 10 messa a Bedonia in santuario presieduta da mons. Massimo Cassola;
martedì 15 agosto ore 18 messa a Bobbio in Concattedrale presieduta dal vescovo mons. Adriano Cevolotto;
domenica 20 agosto ore 11 messa a Borgotaro in S.Antonino presieduta da mons. Massimo Cassola.

Paolo Prazzoli

Pubblicato il 16 luglio 2023

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