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Riscoprire la pietà. Qui comincia la vita

carit

Entra in scena nella lettura di oggi David, il più grande dei re di Israele, celebrato in tutti i tempi per forza, intelligenza, generosità, vena poetica, dalla cui famiglia discende Giuseppe, sposo di Maria.
Parallelo all’ascesa di David è il declino di Saul che, dominato da superbia e passione, tradita per avidità l’alleanza con il Signore è invaso da uno “spirito cattivo”, in preda ad attacchi di gelosia omicida nei confronti del giovane David. Saul non riesce a gioire, non può vedere la bellezza e l’ascesa di David che da ogni battaglia torna vittorioso col favore del popolo .
La superbia, cioè il nostro “Io” ferito e l’invidia travisano gli occhi del nostro cuore. Invece di saper godere quando prevale il bene comune anche attraverso l’opera degli altri, è più facile trovare la pagliuzza negli occhi altrui, avere sempre qualcosa da ridire e così porre un ostacolo alla gloria di Dio nell’operato dei fratelli.
Il nostro cuore non è ancora libero e anche verso Dio proviamo quest’atteggiamento di sfiducia e sospetto. Dobbiamo ammettere di non avere sguardo limpido e occhi di fede nel leggere le vicende del mondo. Saul abita dentro di noi.
Possiamo rimediare e riconoscere che per orgoglio ferito siamo più inclini a giudicare che a rallegrarci dei doni presenti negli altri.
La superbia, madre di tutte le passioni, fa sì che l’amico appaia come nemico; penetra nelle azioni più buone ed è capace di travisarle a tal punto da far scoppiare le relazioni.

 

La persona che non vive la pace e ha in sé un “Io” ferito, vive in perenne competizione. Saul misura il numero di nemici che David è riuscito a battere, non pensa che questa vittoria ha salvato il popolo di Israele. Non c’è uno sguardo sul bene.
Competizione e paragoni: chiediamo al Signore di essere liberati da questa prigione che nega libertà e pace.
Si può uscire da questo circolo vizioso solo con la carità. Quando manca l’approvazione a quello che facciamo, quando gli altri non ci riconoscono, il nostro tono diventa acido e risentito ma uscendo da noi stessi, grazie anche all’intervento di un amico che ci è stato posto accanto, la carità regala un’apertura nuova.
Gionata aiuta suo padre a non diffidare delle azioni altrui e riesce con il bene a far ravvedere il padre su David.
Quante volte invece usiamo la forza per influenzare e correggere gli altri.
La carità è nel sospendere il giudizio, il sospetto, riscoprire la pietà.
Il male è male per tutti. Siamo noi che dobbiamo lasciare penetrare la grazia nel nostro cuore.

Estratto dalla Lectio mattutina
di madre Maria Emmanuel Corradini,
abbadessa del Monastero benedettino di San Raimondo,
del 23 gennaio 2020, 1Sam 18,6-9; 19,1-7

a cura di
Gaia Leonardi


Pubblicato il 31 gennaio 2020

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