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In piazza a Piacenza per dire no al ddl omotransfobia

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In silenzio, per un’ora, a distanza di due metri l’uno dall’altro, chi con il bavaglio rosso sulla bocca, chi leggendo un libro, così in molti hanno manifestato a Piacenza, nel pomeriggio di sabato 11 luglio, sul Pubblico Passeggio nell’angolo di piazzale Libertà, per dire no al ddl in discussione in Parlamento (arriverà in aula il 27 luglio) che intende introdurre il reato di omotransfobia.  

Il flash mob con lo slogan “Restiamoliberi”, l’hashtag che in tutto il Paese ha accomunato le piazze della protesta, è stato organizzato da una cordata di realtà tra cui Associazione Pro Vita e Sentinelle in piedi, da anni impegnate nelle tematiche della vita e della famiglia. "L’obiettivo - per gli organizzatori - è porre un freno ad uno dei più gravi attacchi alla libertà di opinione ed espressione mai vissuto in tempi repubblicani. La proposta di legge viola gravemente il principio cardine di ogni società democratica, il principio di libertà, di parola e di libera manifestazione del pensiero, garantito dall’articolo 21 della nostra Costituzione”.

Come agisce il disegno di legge

Il disegno di legge - articolato in cinque proposte a firma di Boldrini, Zan, Scalfarotto, Perantoni, Bartolozzi - prevede un allargamento della cosiddetta legge Mancino (n.205 del 1993) con l’obiettivo “di estendere le sanzioni già individuate per i reati qualificati dalla discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi anche alle fattispecie connesse all’omofobia e alla transfobia”.

Si punta a modificare agli articoli 604-bis e 604-ter del codice penale, in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere. In sostanza, si prevede di punire, anche con la reclusione, atti discriminatori o di istigazione alla discriminazione motivati da omofobia o transfobia. “Punire atti omofobici o transfobici - secondo i manifestanti - senza definirli in modo preciso, significa demolire la certezza della legge penale e minacciare la libertà di tutti. Creare una specifica categoria di persone da tutelare in base al proprio comportamento sessuale costituisce una violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini”.

Si potrebbe quindi correre il rischio della reclusione o della denuncia nell’esprimere liberamente il proprio pensiero. Se passa la legge si vivrebbe tutti nella paura di essere dichiarati “omofobi o transfobici”. Per questo i promotori dell’iniziativa hanno manifestato un “no” deciso nei confronti del ddl in nome della libertà e dell’uguaglianza.

Perché questa legge non serve

“Un esame obiettivo delle disposizioni a tutela della persona, contenute nell’ordinamento giuridico del nostro Paese - precisa un comunicato della Conferenza episcopale italiana - fa concludere che esistono già adeguati presidi con cui prevenire e reprimere ogni comportamento violento o persecutorio”.

Il nostro codice già prevede sanzioni proporzionate alla gravità del reato per i delitti contro la vita (art. 575 e ss. cod. pen.), contro l’incolumità personale (art. 581 ss. cod. pen.), i delitti contro l’onore, come la diffamazione (art. 595 cod. pen.), i delitti contro la personalità individuale (art. 600 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà personale, come il sequestro di persona (art. 605 cod. pen.) o la violenza sessuale (art. 609 ss. cod. pen.), i delitti contro la libertà morale, come la violenza privata (art. 610 cod. pen.), la minaccia (art. 612 cod. pen.) e gli atti persecutori (art. 612-bis cod. pen.).

Nella linea di papa Francesco

L’obiettivo di lottare contro ogni discriminazione è ovviamente più che condivisibile visto che, come afferma papa Francesco nell’esortazione apostolica “Amoris laetitia” (n. 250), “nessun persona dev’essere discriminata sulla base al proprio orientamento sessuale”. Ma, come spiegano i Vescovi della presidenza della Cei, c’è il rischio concreto che queste proposte si traducano in confusione normativa e possibilità di nuove discriminazioni.

Sotto la lente, la complessa questione legata ai contenuti di espressioni come “identità di genere” e “orientamento sessuale”. Quando si parla di discriminazioni per motivi di razza, provenienza geografica, etnia, religione siamo di fronte a concetti largamente condivisi, che non offrono la possibilità di equivocare. Sull’orientamento sessuale e, soprattutto sull’identità di genere ci troviamo a confrontarci con concetti tutt’altro che definiti in modo stabile e univoco.

Cosa potrebbe succedere?

“In caso di approvazione del testo - si chiedono i promotori - sarà possibile per un genitore chiedere che il figlio non partecipi ad attività scolastiche inerenti temi sensibili sulla sessualità se sono realtà che gravitano nel mondo cosiddetto Lgbt? Sarà ancora possibile per un sacerdote insegnare la visione cristiana del matrimonio? Sarà possibile dire pubblicamente che la pratica dell’utero in affitto è un abominio? Nel nostro ordinamento non c’è alcun vuoto normativo che non consenta di reprimere e sanzionare atti discriminatori o violenti contro le persone di orientamento omosessuale: la pari dignità di tutti i cittadini è riconosciuta dall’articolo 3 della Costituzione e il codice penale prevede le aggravanti per futili motivi, ove necessarie per inasprire le pene”.

Si potrebbe così giungere a sanzionare, oltre che i fatti concreti, anche legittime opinioni. “Per essere più chiari – si chiede in un articolo il giornalista Luciano Moia del quotidiano Avvenire -: sostenere, per esempio, che le unioni omosessuali sono scelta ontologicamente e biologicamente diversa rispetto al matrimonio fondato sul matrimonio tra uomo e donna, potrebbe diventare opinione sanzionabile? E sottolineare che la tesi della “nessuna differenza” tra gli esiti psicologici-esistenziali mostrati dai figli che vivono all’interno di famiglie gay rispetto a quelli che vivono e crescono con i propri genitori biologici, eterosessuali, potrà diventare atto d’accusa? I sostenitori dei ddl in discussione alla Commissione Giustizia della Camera escludono queste derive. E speriamo che si tratti di convinzioni sincere”.

Moltiplicare l’impegno educativo

“Crediamo fermamente - concludono i Vescovi nel loro messaggio - che, oltre ad applicare in maniera oculata le disposizioni già in vigore, si debba innanzitutto promuovere l’impegno educativo nella direzione di una seria prevenzione, che contribuisca a scongiurare e contrastare ogni offesa alla persona. Su questo non servono polemiche o scomuniche reciproche, ma disponibilità a un confronto autentico e intellettualmente onesto. Nella misura in cui tale dialogo avviene nella libertà, ne trarranno beneficio tanto il rispetto della persona quanto la democraticità del Paese”.

R. T.

Pubblicato il 12 luglio 2020

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