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Val d'Arda, le balene al Museo Cortesi

A Castell'Arquato fossili del Pliocene e vertebrati ritrovati nel territorio piacentino. A settembre il meeting su paleontologia e natura

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È un bellissimo edificio del ‘500, l’Ospedale Santo Spirito, a custodire a Castell’Arquato reperti fossili di oltre 2 milioni di anni fa.
Qui ha sede il Museo geologico intitolato a Giuseppe Cortesi, un giudice criminale con la passione per i fossili che agli inizi dell’800 nella Castell’Arquato del tempo si dedicò alla raccolta di reperti, raccogliendo nel corso degli anni due importanti collezioni.

“A lui, vero pioniere della ricerca piacentina, è intitolato il nostro museo geologico - spiega Carlo Francou, direttore della struttura -, anche se purtroppo nessuna delle sue collezioni è rimasta a Piacenza: la prima finì a Milano e fu distrutta durante un bombardamento nella seconda Guerra Mondiale, l’altra fu acquistata da Maria Luisa d’Austria e si trova a Parma. La sua opera ha comunque dato un grande impulso al settore, specialmente nella nostra zona”.

Il museo geologico “G. Cortesi” nasce come istituzione nel 1961, ma già esisteva a Castell’Arquato “una collezione civica di fossili, il cui primo registro di visitatori segna la data del maggio 1927”.
Un nucleo originario che si è via via trasformato ed arricchito anche perché “dalla metà degli anni ’30, con lo storico ritrovamento di uno scheletro di cetaceo a Monte Falcone, il materiale rinvenuto nel piacentino è rimasto in loco, compresa l’ultima scoperta del 2009, i resti di un delfino il cui cranio è ancora sotto esame da parte di alcuni paleontologi toscani: sembra appartenere ad una specie scomparsa e può avere circa due milioni e mezzo di anni. In quel tempo a Piacenza c’era solo il mare”.
Il nostro territorio è ricco di fossili e conchiglie utili per avere informazioni sulle variazioni climatiche tanto che un piano geologico internazionale porta il nome di Piacenziano: “in pratica chi vuole studiare quest’epoca del mondo, compresa tra i 3 milioni e 600mila e i 2 milioni e 500mila anni fa, deve studiare i fossili di Piacenza”.
Il museo ospita i resti “degli organismi, soprattutto molluschi, che vivevano nel mare pliocenico che occupava la Pianura Padana fino a un milione e 800 mila anni fa; abbiamo grandi vertebrati come delfini e balene”.
“Negli ultimi 20 anni poi si sono aggiunti alla collezione resti provenienti dalla zona del torrente Arda che riguardano i primi animali della neoformata Pianura Padana come rinoceronti, elefanti, orsi e bisonti.

Il materiale dagli Urali

C’è una sezione dedicata alla storia della vita sul pianeta allestita con materiali recuperati durante quattro spedizioni tra Tibet, Ladakh e Urali grazie alla collaborazione dell’allora istituto francese di geologia Albert de Lapparent”.
Dagli Urali sono arrivati fossili di stromatoliti, “alghe di centinaia di milioni di anni fa, tra i più antichi esseri viventi in assoluto, mentre in Tibet e in Ladakh abbiamo trovato rocce, dette serpentiniti, interessanti non solo perché testimoniano la passata esistenza di un oceano tra l’India e il continente asiatico o perché sono arrivate a costituire parte della catena himalayana: rocce simili a queste si trovano sull’Appennino piacentino sulla Pietra Parcellara. Volevamo fare paragoni tra i materiali e abbiamo organizzato la spedizione, ripercorrendo le orme dell’esploratore piacentino Cesare Calciati che era stato in quelle terre ai primi del ‘900. In circa 80 anni, un ghiacciaio che Calciati aveva cartografato e che noi abbiamo rimisurato si è ritirato di 800 metri a causa dei cambiamenti climatici”.

Le balene tornano a Castell’Arquato

“2020, le balene tornano a Castell’Arquato”: è il tema del convegno in programma domenica 27 settembre al Palazzo del Podestà di Castell’Arquato in occasione di “Pliocenica”, tradizionale meeting internazionale su paleontologia, natura e aree protette.
Si parlerà dei più recenti e significativi ritrovamenti di resti fossili di cetacei sul territorio italiano con riferimenti anche alle scoperte effettuate dalla fine del Settecento. Verranno presi in esame anche aspetti legati ai cetacei che oggi popolano i nostri mari.
Contestualmente, nella Sala d’onore del Museo geologico “G. Cortesi” verrà esposta la copia del cranio di delfino scoperto da Cortesi nel 1793 in Val Chiavenna e andato distrutto durante il secondo conflitto mondiale.

Paolo Pizzamiglio

Pubblicato il 21 luglio 2020

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