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«Per sempre»

longaretti

Francesca Longaretti, classe 1975, è laureata in scienze dei processi formativi e culturali e in progettazione pedagogica nei servizi per i minori.
Pedagogista, idrochinesiologa per l’infanzia e insegnante di massaggio neonatale, si occupa di consulenza pedagogica.
Sposata, mamma di due bambini, ha da poco pubblicato il libro “Per sempre” in cui racconta il percorso della sua vita a partire dall’incontro fondamentale, quello con Dio, avvenuto a 31 anni il 19 novembre 2006.

— “Per sempre”: perché questo titolo?
Me lo ha ispirato mio figlio Carlos di cinque anni quando ha attraversato una fase in cui mi domandava continuamente se ciò che gli accadeva durante la giornata sarebbe durato per sempre.
Capitava che dicendogli ti voglio bene mi domandasse: ma per sempre?
Oppure acquistando un fiore o una pianta mi chiedesse: ma vivrà per sempre?

Durante una discussione tra me e mio marito lui ci ha interrotti per chiedermi: ma tu mamma ami il papà? Sì! ma per sempre?
E lì ho compreso ancora più seriamente che il nostro cuore desidera l’eternità. Che noi siamo fatti per l’eternità e che questa ricerca di Infinito inizia già da piccoli.

Noi siamo stati chiamati alla vita e come ha detto Chiara Corbella Petrillo “siamo nati e non moriremo mai più!”. Ed è proprio così!
La vita e l’amore sono per l’eternità! E questo libro racconta un incontro grande, un incontro d’amore. Un incontro “Per sempre”.

— L’immagine di copertina sono due scarponi da montagna. Come mai?
Io non sono una scrittrice e nella mia testa non c’era alcuna intenzione di scrivere un libro.
Questo racconto è stato scritto totalmente di notte ed è il risultato del mio tentativo di convogliare la sofferenza che stavo provando in un momento preciso della mia vita causato dal ricovero improvviso di un carissimo amico, don Pietro e dei suoi genitori ammalati di Covid.

L’angoscia di morte che mi assaliva in quei giorni era così pervasiva che mi aveva tolto appetito e sonno; dovevo trovare un modo per evitare di rimanere schiacciata e paralizzata dalla tribolazione.
In copertina è riportato un versetto del profeta Isaia che ho trovato in un testo in francese che stavo leggendo proprio in quei giorni la cui traduzione è: “Come sono belli sui monti i piedi di colui che porta la buona novella”.
La sera quando mio marito rientrava dal lavoro gliela facevo leggere in francese. Lui parla cinque lingue correttamente ed il francese è in assoluto la lingua che ama di più.
Una sera mentre l’ascoltavo leggere mi sono ricordata di una foto che avevo trovato anni fa in un armadio nella segreteria parrocchiale mentre catalogavo il materiale che don Pietro mi aveva chiesto di riordinare: due scarponi da montagna in una foto in bianco e nero scattata dal don durante una delle sue camminate.

Non poteva che essere quella la copertina più adatta per un libro che racconta la storia di una rinascita... di un nuovo inizio, di un cammino di salvezza.
Nella Bibbia i piedi sono citati 321 volte e in ebraico la parola Bere’shit (inizio) rappresenta i piedi ed il primo libro delle sacre scritture: la Genesi; come tutto è cominciato.

— Il libro inizia con il “ritorno” alla Chiesa a 31 anni, dopo anni di cosiddetta “lontananza”. Era il 19 novembre 2006. Come rivedi oggi i fatti di quei giorni?
Di quei giorni non ricordo solamente le date ma anche le ore in cui accadono le situazioni che descrivo.
Sono passati quindici anni ed io mi ricordo precisamente tutto.
Questo è il motivo per cui gli eventi narrati sono tutti al presente come se la storia descritta accadesse in questo momento, in questo istante.
Scriverla per me è stato rivivere nel qui ed ora ogni incontro. È stato bellissimo!
Perché ho potuto, ricordandolo, rivivere in pienezza l’incontro decisivo, determinante per la mia salvezza non solo spirituale ma anche fisica e psicologica.

— Il tuo incontro con un sacerdote, don Pietro Cesena nella parrocchia dei santi Angeli Custodi a Borgotrebbia, è nato dall’insistenza della donna delle pulizie della piscina in cui lavoravi. I cristiani evangelizzano ancora?
Ad accompagnarmi alla Chiesa è stata una donna che di mestiere faceva le pulizie.
Non so perché lei e non un prete o una suora, non lo so e non me lo sono mai domandato. Ciò che conta è che l’incontro sia avvenuto, ciò che conta è che mi sia stata data questa opportunità ed io l’abbia colta.

Riguardo alla domanda se i cristiani evangelizzano ancora mi sento di dire che l’incontro con Cristo è un incontro radicale.
Se accade, ti sconvolge la vita o meglio, te la ribalta proprio; non riesci più a vivere come vivevi prima: le persone che ti stanno intorno e con cui ti relazioni se ne accorgono, si incuriosiscono e iniziano a farti domande. Io credo che chi davvero incontra Cristo evangelizzi senza nemmeno rendersene conto.
Con il suo modo di vivere la quotidianità diventa segno dell’amore di Dio, non servono grandi discorsi o gesti eclatanti.

Il cristiano non può non evangelizzare.
Dice san Paolo: “guai a me se non annunciassi il Vangelo!”. La parrocchia dei Santi Angeli Custodi che mi accoglie vive l’evangelizzazione come una missione tant’è che anche in questo tempo di emergenza sanitaria le catechesi per adulti, i gruppi giovanili, i gruppi famiglia, il catechismo e i corsi per fidanzati sono attivissimi e in presenza (nel rispetto di tutte le norme di sicurezza anticovid).

— Tu sei stata “lontana” per tanto tempo. Che cosa più ti ha colpito nel ritrovare la comunità cristiana?
Inizialmente mi ha colpito il modo in cui sono stata accolta. Persone che mi salutavano e sorridevano senza sapere chi fossi.
Mi ha colpito la gratuità con cui venivo aiutata e sostenuta da gente che mi era “sconosciuta” e l’aver visto come la comunità sia fatta da persone che si vogliono bene nella loro precarietà.
Ho potuto veramente fare esperienza di una Chiesa che è sacramento universale di salvezza, vale a dire relazioni che ti salvano la vita come direbbe don Luigi Maria Epicoco.

— Oggi sono più i “lontani” che i “vicini”. Che cosa è chiamata secondo te a fare la Chiesa per portare a loro il Vangelo?
Credo che nella Chiesa ognuno abbia il proprio compito in base al posto che occupa. Io da moglie ho il compito di amare mio marito nella dimensione della Croce e di gareggiare nello stimarci a vicenda.
Da madre il dovere di educare i miei figli alla fede testimoniando con la mia vita che Dio è Padre e che tutto è stato creato per amore. Poi forse anche scrivere, posto che sia un talento che può diventare strumento per l’evangelizzazione.

Per quanto riguarda i sacerdoti, li inviterei a prendere sul serio la loro vocazione e a diventare virili come diceva santa Caterina da Siena, incarnando le parole di papa Francesco che pronunciò nella sua prima messa crismale come Pontefice: “Questo vi chiedo: di essere pastori con «l’odore delle pecore», pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini”.
Abbiamo bisogno di consacrati che stiano vicini alla gente e che non abbiano paura di lasciarsi coinvolgere nelle loro vite perché sono l’amore e la tenerezza a salvare e a convertire; il sentirsi voluti bene per quel che si è!
Diceva don Milani: a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca!

Adesso che vivo in campagna e ho avuto modo di incontrare allevatori e pastori vi posso assicurare che... nessuno di loro ha mani pulite. Nessuno.
Il mio amico Pietro dice sempre che il cristiano non può essere inodore, insapore, incolore perché si diventa cristiani per contagio.

— Che cosa muoveva la tua vita di prima?
La paura della morte. Era una vita disordinata, confusa e inconcludente proprio perché la paura mi spingeva a fare le cose a caso e senza un orizzonte di senso.
La mia vita era una battaglia quotidiana contro le angosce e il disordine alimentare. Era una vita sofferente, senza progettualità, senza futuro, senza speranza.

— La prima operazione che hai compiuto nella tua “ripartenza” è stata la pulizia di casa. Un gesto simbolico. Da cosa nasceva?
Fu la prima cosa che mi ordinò don Pietro di fare. Ed io la feci.
Io sono una disobbediente, una che le cose le pensa e le fa secondo la propria testa ma in quella situazione sentii che dietro a quell’ordine c’era un’intenzione di bene per me e per la mia vita, intuivo che quel sacerdote desiderava il mio bene. Lo voleva più lui di me.
In quel momento la mia vita, che ai miei occhi valeva ben poco, era preziosissima per Pietro. Gli ho dato fiducia.

— Tina la mamma di don Pietro è salita al Cielo pochi mesi fa. Che cosa ha rappresentato per te?
Per me è molto complicato rendere con le parole la grandezza di questo incontro.
Nel libro scrivo che lei è stata la persona che mi ha accompagnato a scegliere l’abito da sposa e questo può suggerire quanto fosse grande la stima e l’affetto che provavo per Tina.

Era capace di dirmi la verità, di rimproverarmi e di spronarmi senza farmi male, beh, a volte era un po’ troppo dura ma con una come me era necessario. Aveva capito che tipo ero, sapeva prendermi. Tant’è che dopo il matrimonio non andavo più in ufficio da Pietro a confessarmi ma salivo dalla Tina in cucina a parlare.
Tra donne ci si capiva molto meglio, chiaramente non poteva darmi l’assoluzione quindi poi passavo dal don.
Era per me una grande psicoterapeuta. Sempre mi diceva: “Franci non devi pensare... devi fare!” e mi mandava a lavare piatti, pulire pentole, scopare per terra ecc... e per me questa sua modalità è stato fortemente terapeutica.

Grazie alle sue polpette, cotolette e sugo sono riuscita a risolvere gran parte dei miei squilibri alimentari. Ogni boccone che mi scendeva nello stomaco aveva l’effetto di un caldo abbraccio.
Lei faceva tutto con Amore. Era capace di donarsi: per lei non era un sacrificio tutto ciò che faceva per tutti. Infaticabile!
L’ultima volta che le ho parlato è stato qualche giorno prima del suo ricovero. Eravamo in cucina a preparare la merenda per i bambini del “Brrr... est” un campo giochi invernale che si svolge nelle giornate della novena di Natale.

Al termine di quel pomeriggio rimaneva della pizza in avanzo e lei mi chiede se la può prendere per portarsela a casa e mangiarla perché le piace tantissimo. Mi saluta e si allontana con il sacchetto della pizza; dopo poco la vedo tornare a mani vuote, le domando se avesse già mangiato tutto e lei mi dice che aveva incontrato una persona che le aveva detto che aveva fame e le aveva lasciato il sacchetto di pizza. Era tornata per vedere se ce n’era altra ma purtroppo era finita.
La Tina era questo, si donava senza paura, sempre!
Sempre al servizio, sempre discreta, sempre nell’ombra. Ricordo ancora le sue parole quando le dissi che volevo farmi monaca e andare in monastero: “una come te impazzisce dopo una settimana! Vorrai mica diventare matta, perché tu lo diventi davvero. Stai qua con noi Franci stai qua che c’è bisogno qua, non lo vedi?”.
E ancora quando le dissi che mi sarei sposata: “Cara Franci ti dico solamente una cosa, il matrimonio è per sempre, sappi che se dici sì non puoi più cambiare idea, quel sì è «per sempre», mi hai capito?”.

— Alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid nel 2011 hai risposto alla chiamata vocazionale di Kiko Arguello ma poi ti sei accorta che fare la suora non era la tua strada. Scrivi che la prima vocazione è la chiamata alla vita. Cosa intendi?
Intendo dire che abbiamo il dovere di “vivere” perché la vita è un dono, una Grazia, noi siamo stati strappati dal nulla alla vita ed è la possibilità che ci viene data per poter amare.
La vita ci dà la possibilità di ricominciare ogni giorno come persone nuove perché nulla è impossibile a Dio; Lui fa nuove tutte le cose e per questo va vissuta sempre e fino in fondo.

— A un certo punto della tua vita è arrivato Matteo. Un incontro inatteso. Che cosa ha rappresentato per te?
Non era proprio il mio tipo. Eppure era tutto quello che volevo.
Matteo è stato un segno della benevolenza di Dio nella mia vita che ho accolto nella fede.
L’incontro con Matteo è avvenuto in un momento e in un modo nel quale non ho potuto non riconoscere la volontà di Dio nella mia vita.
Non dico altro, leggete il libro per saperne di più.

Il libro si può richiedere alla segreteria della parrocchia dei Santi Angeli Custodi a Borgotrebbia (Piacenza) o contattando l’autrice all’indirizzo e-mail: .

Pubblicato il 6 maggio 2021

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