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Mons. Perego: con i migranti, oltre la logica dell’emergenza

Perego

Serve un intervento di tutta l’Europa, l’Italia come gli altri Paesi del Mediterraneo non può essere lasciata sola nell’affrontare la questione emigrazione. Lo ha ribadito papa Francesco nella conferenza stampa sull’aereo che da Budapest, dopo il viaggio apostolico in Ungheria, lo ha ricondotto in Italia.
Come contributo al dibattito su questo tema, incontriamo mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente della Fondazione Migrantes, organismo pastorale della Conferenza episcopale italiana.

Mons. Perego, partiamo dalla famosa frase del Santo Vescovo di Piacenza, Giovanni Battista Scalabrini, che diceva: “Emigrano i semi sulle ali del vento, emigrano le piante, gli uccelli, gli animali, e più di tutti emigra l’uomo”. Quindi, la migrazione è una dimensione che fa parte dell’umanità e della storia del mondo. Oggi si affronta in diversi modi: chi erige muri, fili spinati, chi cerca di regolare i flussi, chi offre corridoi umanitari. È un tema molto complesso.

Eccellenza, qual è la strada migliore?
La frase di Scalabrini ricorda sostanzialmente che il diritto di migrare è insito nell’uomo e questo diritto ha bisogno di essere regolato, ma non fermato.
I 30 muri che si sono alzati nel mondo in questi anni, 18 muri eretti dal 1990 ad oggi in Europa, stanno a dire che si vuole fermare questo diritto anziché governarlo.
La politica, in questi anni, ha trovato varie soluzioni per chi si muove in cerca di migliori condizioni vita. Una delle risposte politiche, adottata in vari paesi europei, è quella di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro. Un’altra, come quella italiana, ha stabilito di default, una volta all’anno, con un decreto flussi, la quota di persone da far entrare nel paese.
Per quanto riguarda questi due modelli, quello italiano ha dimostrato la sua problematicità perché non è andato incontro alle esigenze del mondo del lavoro che, con agricoltura, turismo, industria e lavoro domestico, hanno chiesto molta manodopera in più. Quindi ha generato molta irregolarità. Infatti metà dei lavoratori immigrati oggi in Italia si sono regolarizzati grazie alle diverse sanatorie che, nel corso degli anni, i vari governi hanno dovuto fare. Nel frattempo molti lavoratori sono stati sfruttati, non hanno avuto un contratto degno di questo nome a tutela dei loro diritti. Quindi il primo elemento importante, che la storia ci consegna, è quello di valorizzare l’incontro tra offerta e domanda di lavoro.
Poi c’è chi emigra in fuga da situazioni drammatiche, 34 guerre sono in atto nel mondo, disastri ambientali, persecuzioni politiche e religiose, discriminazioni nei confronti delle donne, tratta di esseri umani. È tutto un mondo che si sposta sulla terra. Lo scorso anno 100 milioni di persone sono emigrate. Si tratta di numero enorme di uomini, donne, bambini in movimento, regolato dalle convenzioni di Ginevra che dovrebbero garantire il diritto di asilo per chi è in fuga da situazioni di guerra e di persecuzioni, e che negli ultimi anni si è ampliato, con la protezione umanitaria o la protezione speciale.

Che cosa accadrebbe se venisse meno questa protezione speciale?
C’è il rischio che alcune persone che non rientrano nei profughi di guerra rischino di essere lasciati fuori o rimandati indietro magari in situazioni drammatiche di vita nei loro paesi. Penso a chi fugge dal Pakistan dove le alluvioni hanno fatto perdere tutto, a chi è vittima di violenza religiosa sotto il regime di Boko Haram in Nigeria o altri contesti di questo genere, a chi fugge dall’Iran dove mancano dei diritti fondamentali. L’evoluzione della protezione internazionale, che include anche la protezione speciale, è molto importante, purtroppo sembra che oggi si voglia fermare.

Il tema migrazioni è davvero complesso. Come si sta muovendo l’Italia secondo Lei?
Resta determinante favorire la conversione dei permessi di soggiorno di carattere di asilo, di protezione speciale o sussidiari in un permesso di lavoro o di studio. L’ultimo decreto a cui pensa il governo - a mio parere - vuole limitare queste conversioni che invece possono dare, ad una persona rifugiata, la possibilità di costruirsi una vita nel nostro paese e di avere una dignità. Questa opportunità, che esiste negli altri Stati, in Italia vieni quindi molto limitata, mentre sarebbe importante averla proprio per valorizzare il contributo, tante volte di alta professionalità, di questo mondo che fugge da situazioni gravi in paesi che non permettono loro di rimanere.

Che cosa occorrerebbe fare in Italia secondo Lei?
Come mondo associativo ed ecclesiale abbiamo sempre sottolineato che l’elemento debole in Italia è il sistema di accoglienza. Purtroppo anche questo decreto accentua il discorso sui CPR, i Centri di permanenza per il rimpatrio, che si vorrebbero in ogni regione. In realtà, la cosa più seria sarebbe quella di ampliare la capacità di accoglienza con un sistema diffuso.
L’Italia è al 14° posto in Europa per l’accoglienza dei rifugiati, 0,9 ogni mille abitanti, quindi neanche uno ogni mille abitanti.
La problematicità nasce in alcuni luoghi di arrivo come Lampedusa, per cui abbiamo sempre segnalato la necessità di una legge apposita per favorire maggiormente la cura di chi arriva dal punto di vista sanitario, e la ripartenza sia dall’aeroporto che dal porto con l’aiuto della marina e dell’aeronautica militare.
La vera emergenza è su questi sbarchi, sul primo pezzo dell’Italia che i migranti incontrano, perciò hanno bisogno da qui di raggiungere il territorio italiano in maniera allargata. Credo che l’accoglienza diffusa sia quella che maggiormente non crea grossi agglomerati, infatti un accompagnamento personalizzato aiuta maggiormente le persone migranti.

In concreto Lei che cosa propone?
Gli ultimi decreti del governo sulla questione - quelli già approvati sulle Ong, sull’emergenza migranti e l’ultimo chiamato “Cutro” in via di approvazione – sono, a mio parere, figli di una concezione securitaria nei confronti dei migranti, alimentano ancora la paura e il concetto di una emergenza che non termina mai.
Bisogna affrontare in maniera seria l’accoglienza nei luoghi d’arrivo per un’Italia che, con l’isola di Lampedusa, è frontiera d’Europa, attraverso un accompagnamento ed un sostegno all’arrivo delle persone e non da risorse aggiuntive in ordine all’accoglienza. Risorse che sono state definite in 5 milioni di euro che significa accogliere circa 600 persone in un anno. Se si pensa che in questi giorni sono sbarcati a Lampedusa 2400 persone, si capisce che questi decreti non danno una risposta.
L’altro aspetto importante è che i nostri servizi devono garantire la prima accoglienza per chi ha intenzione di continuare il viaggio perché l’Italia è un luogo di sbarco. E garantire, per chi rimane, un percorso di accompagnamento, di tutela, di promozione e di integrazione. È per questo che sarebbe importante un’accoglienza diffusa leggendo anche i curriculum, le competenze e le capacità di ciascuno.

Come Fondazione Migrantes qual è il vostro rapporto con le istituzioni?
Noi abbiamo due momenti specifici di rapporto con le istituzioni, il primo è il Tavolo Asilo in cui il mondo associativo italiano si confronta con il Ministero dell’Interno e fa delle proposte. L’altra occasione sono le audizioni. Come presidente Migrantes, ho fatto l’audizione sia per il decreto ONG alla Commissione Diritti Umani e alla Commissione Lavoro del Senato. Inoltre ho fatto anche l’audizione per il “Decreto Cutro”, indicando quali sono, secondo noi, gli aspetti su cui si deve lavorare anche sulla base dell’esperienza, perché moltissime delle nostre realtà ecclesiali stanno accogliendo. In Italia sono 25mila le persone che sono ospitate nelle diverse diocesi.
Siamo continuamente sollecitati dalle prefetture a mettere a disposizioni dei posti per i migranti. L’esperienza di accoglienza, maturata in questi anni, è molto profonda, quindi è importante che il governo abbia dalle nostre realtà, una interlocuzione per comprendere realmente quali sono i problemi.

Come prosegue a suo parere il dialogo con il governo su questi temi?
Su queste tematiche il governo ha continuato sulla sua strada e non ha molto recepito le nostre proposte. Ci sono state però dichiarazioni, come quella del sottosegretario alla presidenza Alfredo Mantovano, che hanno messo in evidenza il fatto che la legge italiana, la Bossi-Fini, sia da cambiare. Questo fa sperare in bene, affinché si possa mettere in atto, dopo 20 anni, in un contesto completamente cambiato di realtà migratoria, una riformulazione di questa legge, con dei tavoli di lavoro che possano vedere presenti tutte le forze politiche in campo, per dare veramente una risposta alla gestione delle migrazioni. In questi ultimi anni si sono fatte alcune modifiche della legge, ma non si è preso in mano un nuovo progetto di politica migratoria che invece è l’esigenza vera in questo momento.
In un Paese come il nostro, che ormai ha il 10% di immigrati nel territorio, una componente giovanile significativa, una componente scolastica di un milione di ragazzi, serve una legge che legga soprattutto questi volti nuovi dei migranti e favorisca la loro dignità.

Certo, anche la burocrazia ha il suo peso…
Si, perché gli strumenti di controllo e di riconoscimento dei migranti sono le questure e siamo passati da 50mila a 5 milioni di persone, ma gli uffici sono sempre gli stessi e le file nelle questure in tutta Italia le vediamo coi nostri occhi. Quindi, certamente ci deve essere un’attenzione diversa anche nella risoluzione del tema del rinnovo dei permessi di soggiorno.
Già dieci anni fa chiedevamo che il primo permesso di soggiorno, che riconosce la persona, sia dato dalla questura, ma il secondo e gli altri siano affidati al Comune che è più sul territorio, che conosce le famiglie e i problemi delle persone, che stabilisce una continuità di presenza e non al corpo di polizia, facendo fare delle file interminabili.

Dal suo confronto con papa Francesco e i vertici della Chiesa su questo tema cosa sta emergendo?
Uno degli strumenti che abbiamo realizzato insieme al mondo associativo, è la Cattedra dell’Accoglienza, aperta dal Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin. Questa iniziativa mette insieme tutte le maggiori organizzazioni cattoliche per capire, riflettere e quali strumenti nuovi avere per gestire l’accoglienza delle persone. Inoltre, non è riferita soltanto all’accoglienza dei migranti, ma anche a quella dei senza fissa dimora, delle persone che sono vittime di tratta o altro.
Il termine accoglienza è una parola chiave, dentro il programma del magistero sociale di papa Francesco, unita alle altre parole che sono la tutela, la promozione delle capacità e l’integrazione di ogni persona. Cioè fare in modo che ognuno si senta a casa in ogni paese e sia riconosciuta la sua dignità. Il tema dell’integrazione porta con sé anche quello dei diritti civili e politici come la cittadinanza, un altro aspetto importante che ha bisogno di revisione. Il pensiero di papa Francesco insomma è quello di valorizzare le diversità e di costruire ponti anziché muri.

Un futuro insieme
Nell’incontro con mons. Perego è emersa, nel complesso, l’importanza di comprendere la migrazione come una situazione che fa parte della storia dell’umanità, quindi non è un fenomeno nuovo, ma è sempre stato presente e continuerà ad esserlo. Il dialogo con il Presidente della Migrantes è stato un momento di grande riflessione e di approfondimento su uno dei temi più importanti e complessi del nostro tempo. Mons. Perego, nelle sue considerazioni, si è collegato con evidenza alle ultime parole di papa Francesco in Ungheria che, sul tema dell’accoglienza, ha richiamato l’Europa all’urgenza di “lavorare a vie sicure e legali” per i migranti, “a meccanismi condivisi di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà”.    

Riccardo Tonna

Nella foto, mons. Gian Carlo Perego.

Pubblicato il 2 maggio 2023

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