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Per educare bisogna accompagnare

edugiovani

Il buon educatore è colui che sa ascoltare e accompagnare. È quanto emerso durante l’incontro di formazione per educatori di Piacenza che si è tenuto il 21 febbraio all’oratorio di Santa Franca.
Il corso di formazione, promosso dalla Pastorale giovanile vocazionale, è organizzato su tre zone del territorio: Piacenza, Val d’Arda e Val Tidone e prevede tre incontri per ogni area.

I prossimi incontri per Piacenza saranno: giovedì 7 marzo alle ore 20 all’oratorio del Preziosissimo Sangue e giovedì 21 marzo, sempre alle ore 20, nella parrocchia di Gossolengo.
In Val d’Arda il primo incontro si è svolto il 15 febbraio e i successivi sono in programma il 1° marzo nel salone parrocchiale di Carpaneto e il 7 marzo all'oratorio di Fiorenzuola d'Arda. Per quanto riguarda la Val Tidone, gli incontri si svolgono il 27 febbraio, e il 14 e 20 marzo all'oratorio di Castel San Giovanni.

Ascoltare non solo con le orecchie

Questo primo incontro, intitolato “Dall’educatore all’accompagnatore” e volto a capire come progettare un cammino in chiave vocazionale e a comprendere l’importanza del servizio come strumento pedagogico per i ragazzi, è stato guidato da don Alessandro Mazzoni, responsabile della Pastorale giovanile-vocazionale, che ha preso spunto per la riflessione dal testo di San Luca (At. 8, 26-40) in cui Filippo battezza l’eunuco.
Don Alessandro ha ripreso le varie tappe del testo ponendo l’accento sulle varie azioni che Filippo, che rappresenterebbe la figura dell’educatore, deve compiere rispetto all’eunuco, l’educando: “Per prima cosa - ha detto don Alessandro - Filippo deve ascoltare, e così deve fare anche l’educatore. C’è sempre tra gli educatori l’ansia di dover per forza dire qualcosa ai ragazzi, ma un buon educatore deve prima essere un buon ascoltatore e deve saper ascoltare non solo con le orecchie, ma con tutti i sensi: bisogna saper percepire qual è la domanda reale che viene dai giovani. A volte diamo risposte a domande che loro non ci hanno mai fatto”.

Nel testo di San Luca poi l’angelo di Dio manda Filippo nel deserto, a mezzogiorno. È esattamente questo il compito dell’educatore, ha sottolineato don Alessandro: battere sentieri mai battuti, strade deserte nell’orario peggiore. Generalmente un educatore è scoraggiato dai numeri perché i ragazzi sono pochi, sempre meno, e questo lo fa sentire inadeguato, ma da qui bisogna partire.

Filippo – sintetizziamo le parole di don Mazzoni - poi deve salire sul carro dell’eunuco in corsa, non è invitato da lui a prendere posto, lo deve rincorrere. Ancora una volta è ciò che un educatore deve fare con i giovani: correre loro dietro. Le offerte al di fuori della parrocchia sono tantissime e apparentemente più allettanti: l’educatore deve avere l’umiltà di “salire sul carro dei giovani”, gli è richiesta una conversione per avvicinarsi di più a loro, una conversione che sta anche nel cercare di parlare, o almeno di capire, la loro lingua, perché come l’eunuco è etiope, viene da un Paese lontano e parla una lingua sconosciuta, così i giovani non parlano la lingua degli educatori, anzi, il più delle volte non parlano proprio e allora bisogna trovare altri modi per capire, osservando i loro gesti, i loro atteggiamenti.

L’eunuco – ha aggiunto - è anche colui che porta una ferita, colui che non genera vita, esattamente come i ragazzi che oggi fanno fatica a diffondere la vita e anche ad afferrarla. Ma l’eunuco è anche colui che già stava leggendo Isaia, seduto sul suo carro, e non ha avuto bisogno che Filippo glielo presentasse, ma solo che lo aiutasse a capire.
“Come educatori - ha concluso don Alessandro - ci immaginiamo di dover essere noi a dare la vita ai nostri ragazzi, ma loro sono già stati battezzati, lo Spirito Santo ha già agito su di loro, possiedono già le domande «alte», noi dobbiamo solo aiutarli a riconoscerle, a discernere e non c’è una formula per farlo perché non lavoriamo con la matematica, ma con la vita. Dobbiamo pensare che non stiamo riempiendo un contenitore vuoto, ma che stiamo cercando di tirare fuori qualcosa dai ragazzi, in modo che possano riconoscerlo. E non dobbiamo limitarci a cercare di tirare fuori il bello che hanno dentro, ma tirare proprio fuori i ragazzi dalla parrocchia, fornire loro gli strumenti perché possano vivere il Vangelo anche nella loro quotidianità. Per fare tutto questo è importante l’approccio: dobbiamo tener loro una mano sulla spalla e fare un passo indietro, in modo che loro siano comunque liberi di allontanarsi da noi e di scegliere la loro strada, seguire i propri passi: perché educare non significa tracciare un percorso che devono seguire o preservarli dagli errori e proteggerli sempre, ma lasciare anche che sbaglino e poi esserci per aiutarli. È fondamentale però avere un obiettivo e il nostro obiettivo deve essere quello di far capire ai ragazzi che devono mettere la loro vita nelle mani di qualcun altro. Dobbiamo portarli al discernimento vocazionale”.


Educatori al lavoro per pensare il percorso dei gruppi

La seconda parte del corso di formazione si è svolta in gruppi, attraverso il confronto tra i diversi educatori, per cercare di capire quali siano gli obiettivi generali da perseguire nei vari gruppi a seconda delle fasce d’età e quali possano essere i metodi più utili per raggiungerli.
I ragazzi di III media e I superiore hanno bisogno di creare il gruppo e di sentirsene parte. Sono gli anni in cui si formano identità personale e di gruppo che poi s’intrecciano. Bisognerebbe quindi individuare temi, eventi, appuntamenti che permettano di riunirsi e di condividere esperienze che restino: feste d’inizio anno, uscite che permettano di conoscersi meglio, partecipazione agli eventi organizzate dalla diocesi in modo da poter entrare a contatto, oltre che con persone del proprio gruppo, anche con altri gruppi.
Per il biennio II-III superiore l’obiettivo è quello di scoprire la dimensione relazione del proprio essere uomini e cristiani, si approfondiscono le relazioni e ci si potrebbe calare più direttamente in situazioni concrete attraverso esperienze di servizio: è la fase in cui i giovani devono approfondire anche la conoscenza di se stessi per capire cosa possono offrire al gruppo e agli altri, il momento di lavorare su sogni e bisogni (che non sempre coincidono).

Il metodo per avvicinarsi a loro in questo frangente potrebbe essere parlare con il loro linguaggio: presentare loro tematiche attraverso filmati, musica e animazione. L’animazione è uno strumento fondamentale soprattutto alla fine dell’anno quando i ragazzi di quest’età si preparano a diventare animatori del Grest. Fondamentali per rafforzare i legami sono le esperienze di convivenza e i campeggi estivi e l’avvicinamento a luoghi in cui i ragazzi possano sperimentare in prima persona il servizio come Sermig, Caritas o altre esperienze affini. Bisognerebbe dedicare del tempo anche all’ascolto della Parola di Dio.
I gruppi di IV e V superiore sono invece chiamati a compiere il passo decisivo: scelgono di diventare discepoli di Cristo e si avviano alla ricerca della propria vocazione. In questo frangente ci si potrebbe dedicare (all’inizio della IV superiore) alla riscrittura del Credo. Fondamentali sono le testimonianze di persone che hanno vissuto il Credo. Importante è anche riuscire a trattare di questioni sociali che riguardano da vicino i ragazzi e poi dedicarsi a esercizi spirituali, vivere dei momenti di convivenza, servizio e ascolto della Parola.

Mariachiara Lunati

Pubblicato il 25 febbraio 2019

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