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La forza del battesimo: perché il figlio non diventi un’ossessione

stoppa

Il bambino non arriva in famiglia per confermare le attese, ma per rompere gli equilibri e disattendere le aspettative. Questo è il primo ruolo del bambino secondo lo psicoanalista Francesco Stoppa che ha tenuto il 22 novembre al Seminario vescovile di Piacenza una conferenza dal titolo: “Cos’è un bambino? La situazione infantile oggi”. L’incontro è stato organizzato dall’AC diocesana e rientra nelle iniziative per i festeggiamenti dei 50 anni di ACR.

Rottura di equilibri e nuova vitalità Il figlio è l’inatteso, ma è anche colui che diventa il centro della vita dei genitori. “Una volta il bambino era considerato come una sorta di adulto mancato - dice Francesco Stoppa -, oggi invece siamo arrivati all’eccesso opposto: il bambino è diventato il centro della vita della famiglia, quello che spesso dà un senso alla vita dei genitori”. Secondo la mentalità moderna, sottolinea Stoppa, si vive nell’ossessione della sicurezza e si pensa che il bambino sia quel qualcosa che manca a completare la nostra felicità; il bambino ha invece una portata dirompente: “Questa nuova presenza che viene al mondo - dice lo psicoanalista - ha la capacità di inquietare, di mettere alla prova gli equilibri esistenti, ogni nuovo venuto rappresenta sempre un elemento critico; ma è questa la condizione esistenziale per cui una società può sopravvivere a se stessa e rivitalizzarsi; altrimenti si crea una sorta di automatismo, di stabilità mortifera, e la vitalità si spegne nella ricerca dell’omeostasi, dell’equilibrio”. La società moderna ha anche la forte tendenza a privatizzare la famiglia. La famiglia deve ricordarsi di essere un’istituzione che ha il compito di mettere i figli al servizio del mondo, ogni genitore dovrebbe considerarsi come un genitore adottivo: “D’altronde - precisa Stoppa - il battesimo stesso ci ricorda che il figlio non è nostro, ma di un altro, di Dio, e la stessa religione cristiana è la religione del Figlio, quella che ci dice che è la trasmissione che conta, non l’adorazione in sé”. I genitori hanno rispettivamente due compiti diversi verso il bambino, sottolinea Stoppa: la madre aiuta il bambino a riconoscere se stesso, a far convergere in un insieme unitario le varie parti disordinate di sé; durante la fase dello specchio, quella dai 6 ai 12 mesi, il bambino per la prima volta, grazie all’aiuto della madre, capisce che ciò che è riflesso nello specchio è lui e che insieme a lui è riflessa anche la realtà. Il compito del padre è invece quello della trasmissione, di aiutare il figlio a riconoscere la fiamma che brilla dentro di sé e a farla uscire, un buon padre è colui che accetta, a un certo punto, di mettersi da parte e lasciare che il figlio continui per la sua strada, fidandosi di lui ciecamente, senza nessuna certezza.

Figli tra libertà vigilata e affermazione di se stessi. Assolvere al compito non è però sempre facile, la famiglia è un’istituzione che è sempre attraversata dal lutto, perché i figli non corrispondono al desiderio dei genitori, perché si creano conflitti e perché si cerca di trattenerli impedendo loro di crescere: “I bambini oggi godono di una libertà vigilata, - considera Francesco Stoppa - sono sempre al centro. I figli non devono farsi del male, devono essere protetti. Questa deresponsabilizzazione non giova al bambino e non giova all’adolescente. I genitori di oggi hanno paura dell’angoscia dei figli. Questo destabilizza i bambini perché da un lato si chiede loro di non crescere mentre, dall’altro, di crescere troppo in fretta, in quanto i figli diventano l’ago della stabilità emotiva dei genitori”. La paura più grande dei genitori, aggiunge Stoppa, è quella di essere superati dai figli, d’invecchiare; non c’è più la visione dell’anziano come “auctoritas”, ma lo si vede spesso solo in senso negativo. Ma il bambino, come poi l’adolescente, sa affermare se stesso oltre le paure del genitore e cerca di costruire la sua identità ricercandola in qualcosa che esuli dal dominio familiare: “Il bambino ha bisogno di darsi un’identità che sfugga all’area protocollata dell’adulto e spesso lo trova nel pre-umano, nella natura silvestre, nei sassolini, negli animali. È uguale poi, più avanti, per l’adolescente, che va a cercare se stesso fuori dai legami familiari, in qualcosa che lo renda vivo”. Perché è necessario mantenere sempre dentro di sé qualcosa che tenga accesa la vita: “L’essere umano - conclude lo psicoanalista - si deve strutturare nell’adesione al campo sociale, ma deve mantenere anche qualcosa di dissidente. La società ha bisogno di rottura per evolvere”.

Pubblicato il 28 novembre 2019

Mariachiara Lunati

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