Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Ricordare la Resistenza è un messaggio di speranza

FotoDELPAPA 5

Il 25 aprile ricorre il 75° anniversario della Liberazione dell’Italia dalle forze nazifasciste e l’avvio del percorso che avrebbe condotto alla Repubblica e alla Costituzione. Oggi più che mai è importante ricordare questo evento che rappresentò la rinascita del popolo italiano, da lì nacque la speranza che un nuovo avvenire felice avrebbe potuto prendere l’avvio, e oggi, che riviviamo nuovi eventi tragici, perché la tragedia sanitaria in cui ci siamo abbattuti ha ora, come allora fu per il fascismo ed i disastri della guerra, avvilito le coscienze, turbato gli animi e generato paura e dolore, è importante ripartire con nuova speranza e il desiderio di una vita che possa riprendere senza l’enorme angoscia e timore che alberga in tutti noi.

Dai momenti tragici di ieri al dolore di oggi
Una nuova speranza che ci viene dall’esempio di tante persone che nell’emergenza sanitaria stanno compiendo opere straordinarie, ben al di là dei propri doveri, per assistere, aiutare, sostenere chi più ha bisogno e soffre. Fu così anche allora, nei momenti tragici della guerra di Liberazione, ed è per questo che, innanzitutto, è doveroso fare memoria di tutti quei coraggiosi, uomini e donne, che in vari modi e forme, combatterono e anche morirono per costruire un’Italia libera e democratica, ai tanti partigiani che furono privati della vita, per il loro impegno e per la loro scelta a favore della libertà e della democrazia, e i cui nomi sono scritti, a imperitura memoria sui tanti cippi, marmi e monumenti sparsi nelle nostre campagne e sulle nostre montagne.

Un esercito di testimoni per la libertà
Un numeroso esercito di volontari della libertà tra i quali permettetemi di ricordare l’esempio che nel nostro territorio portarono i cattolici della diocesi di Piacenza:
Francesco Daveri, avvocato, capo del Comitato di Liberazione Nazionale di Piacenza, cattolico praticante e convinto, morto di stenti il 13 aprile 1945 all’età di 42 anni in un campo secondario di Mauthausen.
 don Giuseppe Beotti, sacerdote, aveva 32 anni il 20 luglio 1944 quando i nazi-fascisti lo fucilarono al muro di sostegno della strada davanti alla chiesa di Sidolo in Comune di Bardi nella parte della montagna parmense della diocesi piacentina, insieme a due suoi ospiti:
 don Francesco Delnevo, parroco di Porcigatone (in Comune di Borgo Val di taro, provincia di Parma) aveva 57 anni; nella sua parrocchia aveva impedito ai nazi-fascisti di violentare un gruppo di donne, nascondendole in chiesa, e il chierico:
Italo Subacchi, del Seminario di Parma, aveva 23 anni; stava preparandosi a cantare la prima Messa, poi sarebbe andato missionario.
don Umberto Bracchi, della Congregazione dei Preti della Missione, e
don Alessandro Sozzi, parroco di Strela (in Comune di Compiano, provincia di Parma) entrambi fucilati dai nazi- fascisti il 19 luglio 1944 davanti al cimitero di Strela, dopo aver appiccato fuoco all’intero paesino e, per prima, proprio alla canonica ed alla Chiesa.
- Giuseppe Berti, classe 1899, insegnante di filosofia, promotore e animatore dell’Azione Cattolica piacentina, partecipò alla fondazione del Partito Popolare e si impegnò strenuamente nella difesa della libertà, subendo anche violenze fisiche dai fascisti fin dal 1923. Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla Resistenza nel cremonese, seguendo i suoi giovani arruolati nelle formazioni partigiane. Morto nel 1979, per lui, come per don Beotti, è in corso il processo di beatificazione.
- don Giuseppe Borea, era anche stato seminarista presso il seminario vescovile di Fidenza, poi parroco di Obolo, una piccola frazione nella montagna piacentina in Comune di Gropparello. Cappellano della Divisione Valdarda, il 9 febbraio 1945 all’età di 34 anni viene fucilato davanti al muro del cimitero di Piacenza.
Il vescovo mons. Gianni Ambrosio ricorderà questi testimoni di libertà alla messa a porte chiuse in Cattedrale domencia 26 aprile alle ore 11 (diretta streaming sul sito della diocesi e su Telelibertà).

Due Resistenze, entrambe di grande importanza
A ricordo dell’importanza della partecipazione dei cattolici alla guerra di Liberazione, spiegava il prof. Giorgio Campanini, intervenendo nel 2011 a Piacenza al Convegno dal titolo: “La diocesi piacentina tra l’Altare e la Storia” nel periodo resistenziale: “Vi fu in primo luogo l’opposizione silenziosa di vescovi e parroci che rifiutarono ogni legittimazione di quel potere costituito, rifiutarono ogni compromissione, si chiusero in un silenzio tuttavia operoso perché si espresse nel sostegno dato da monasteri, conventi e parrocchie ai partigiani. Si espresse con l’ospitalità accordata spesso a rischio della vita ad ebrei e a prigionieri di guerra. […] C’è stata la Resistenza maggiore, quella armata, e quella minore, la passiva e silenziosa? […] Certamente la Resistenza armata è accompagnata dall’azione della Resistenza passiva che è stata non meno importante e, forse, decisiva nel favorire la presa di distanza definitiva degli italiani, non soltanto della parte più attiva del cattolicesimo, dalle ideologie totalitarie. […] Questa Resistenza silenziosa dei cattolici ha contribuito in modo determinante a svuotare di ogni possibile legittimazione popolare la violenza del potere. Ha dato luogo conseguentemente ad un progressivo e sempre più marcato isolamento cui furono costretti gli occupanti tedeschi e i loro servi italiani”.

Tante anime in un’unica Costituzione
Il 25 Aprile dunque come festa di tutti gli italiani che, pur di diversa provenienza politica, culturale o religiosa, hanno creduto e combattuto per un’Italia nuova, libera e democratica. Celebrare il 25 Aprile è celebrare la Resistenza e celebrare la Resistenza significa onorare la Costituzione: non vi sarebbe stata la Repubblica, non vi sarebbe stata la Costituzione, non vi sarebbe stata la Nuova Italia Democratica, senza la Resistenza.
La nostra Carta Fondamentale, entrata in vigore il primo gennaio 1948, 70 anni fa, nacque da una commistione feconda tra le culture che Giuseppe Dossetti (capo del CNL di Reggio Emilia, poi deputato, in seguito divenuto sacerdote), componente della Costituente, definiva: liberale, cattolica e socialcomunista. Una Carta capace di riportare pace e libertà in una comunità umana che aveva perso i modi, le ragioni e le motivazioni per stare insieme. Essa non fu soltanto frutto di un accordo politico, ma la rifondazione risorgimentale di una nuova unità. Senza l’esperienza della collaborazione nella Resistenza questa unità non avrebbe potuto avvenire. Essa fu voluta, condivisa e approvata da schieramenti e forze ideologiche manifestamente contrapposte ma unite da un collante misterioso, silente ma efficace: quel collante che Oscar Luigi Scalfaro, nel 1946 giovane membro dell’Assemblea Costituente, definisce: “ ….la grande pagina della sofferenza, del dolore, del martirio nella lotta per la libertà. Una sofferenza vissuta da chi credeva nei valori dello Spirito e da chi non vi credeva, da chi apriva la speranza in una visione trascendente e da chi questa luce non aveva, ma sempre sofferenza, umano incredibile patrimonio che divenne anima della Carta Costituzionale”. La nostra Costituzione dunque è frutto dell’Unità nella diversità. Ricordare la Resistenza significa anche offrire un messaggio di speranza per il futuro.

Che cosa ne abbiamo fatto dei valori della Resistenza?
Un messaggio di speranza che, anche ora come allora, ci serve per una nuova ripartenza che dalle difficoltà dell’emergenza sanitaria ci permetta di recuperare valori fortemente condivisi e aggreganti intorno ai quali riconoscersi, soprattutto una nuova fase politica che sappia riappropriarsi di una seria dialettica democratica esercitata all’interno delle Istituzioni democraticamente elette, invece che dalle frasi urlate tendenti a contrapporre la piazza al Parlamento; un populismo i cui effetti devastanti, i nostri padri, hanno già avuto modo di verificare durante il ventennio fascista.  Ed è proprio dall’esempio antico e nuovo di tante oneste persone ci viene ricordato che ai valori siamo chiamati a dare testimonianza, tutti noi, ogni giorno, nelle nostre occupazioni quotidiane, nel nostro impegno politico e civile. Per cui oggi in occasione del 75° anniversario della Liberazione, dobbiamo interrogarci su come, ai vari livelli, viviamo e sosteniamo i valori propugnati dalle persone che commemoriamo, su come, ognuno di noi personalmente vive e si comporta, non solo reclamando diritti ma ricordandosi anche dei doveri che ha nei confronti della comunità. Al contrario è per noi facile convenire che ricordare oggi i nostri Resistenti non è esercizio ne superato ne retorico, ma necessità. Necessità di recuperare modelli di uomini veri, reali, impegnati, coraggiosi, a cui ispirarci. Testimoni, di cui abbiamo bisogno, e che spetta a noi non solo ricordare le gesta ma far rivivere con l’esempio nostro personale.

Mai abituarsi al comodo quotidiano
È per questo che voglio concludere queste mie riflessioni con le parole di Felice Fortunato “Nato” Ziliani, comandante partigiano col nome di battaglia “Griso”, storico alfiere dei Partigiani Cristiani anche di questa diocesi: “La Resistenza che continua deve preservarci dall’abitudine del comodo quotidiano, dell’indifferenza verso i problemi degli altri, come se non fossero anche i nostri. Di questi sentimenti devono essere permeate le nostre azioni, dobbiamo essere ancora una volta con un solo spirito: quello del bene comune. Ciò è vivere, non sognare”.
Anche a nome loro viva la Resistenza, viva la Repubblica, viva la Patria.

Pubblicato il 24 aprile 2020


Mario Spezia
Presidente Provinciale Associazione Nazionale Partigiani Cristiani

Ascolta l'audio   

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente