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Il prefetto Semeraro: «Il virus non ha frenato le opere di misericordia»

papa francesco

“Se per ragioni sanitarie delle limitazioni sono sopravvenute per noi, e ovviamente non soltanto per noi, quanto all’esercizio di atti di culto e alle varie forme di incontro e formazione delle nostre comunità, nulla è riuscito a frenare l’esercizio delle opere di misericordia corporale e spirituale, che anzi sono state esaltate con gesti che sono stati e sono di grande testimonianza”.
È la prima solennità di tutti i Santi quella che mons. Marcello Semeraro ha festeggiato da prefetto della Congregazione per la Cause dei Santi, carica che ricopre dal 15 ottobre. E da appena una settimana ha ricevuto la nomina di Papa Francesco, che il prossimo 28 novembre terrà un Concistoro per crearlo cardinale insieme ad altre 12 nuove porpore.

 La sua nomina è arrivata cinque giorni dopo la beatificazione di Carlo Acutis e proprio lei ha celebrato la messa in occasione della chiusura della tomba. È una figura che può essere di ispirazione per i giovani?
Sono grato all’arcivescovo Domenico Sorrentino che mi ha invitato a concludere i festeggiamenti per la beatificazione di Carlo Acutis: un evento che, accaduto agli inizi di questo mio nuovo ministero, mi ha suggerito di scegliere questo giovane come compagno per il nuovo cammino. Il Papa ha scritto di lui nell’esortazione “Christus vivit” citando la sua efficace espressione “tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie”: una frase che potrebbe benissimo stare sulle labbra dello stesso Francesco. Ne ha parlato pure dopo avere guidato la preghiera dell’Angelus l’11 ottobre scorso. Ha chiamato Carlo “Beato millennial”, lo ha indicato quale “ragazzo quindicenne, innamorato dell’Eucaristia”, che “non si è adagiato in un comodo immobilismo, ma ha colto i bisogni del suo tempo, perché nei più deboli vedeva il volto di Cristo”. Ha concluso che “la sua testimonianza indica ai giovani di oggi che la vera felicità si trova mettendo Dio al primo posto e servendoLo nei fratelli, specialmente gli ultimi”. Un noto detto latino, conosciuto e ripreso anche da san Gregorio Magno, diceva che exempla trahunt: più che nelle parole, è nell'esempio che c'è una grande forza do attrazione.

C’è l’esigenza di ripensare il modo di raccontare i santi di oggi, rendendoli più vicini e comprensibili al popolo?
I “santi” (e non soltanto quelli canonizzati e per varie ragioni giunti agli onori degli altari) sono sempre in una Chiesa resa santa e purificata dal sangue di Cristo. La santità non è mai un fatto isolato. Non per nulla il Concilio ha parlato di una “vocazione universale alla santità” come pure ha ricordato che la santità è unica e polifonica, perché si manifesta “nei vari generi di vita e nei vari compiti” (“Lumen gentium”, n. 41). A volte è accaduto che una certa agiografia ha raccontato le sante e i santi come figure fuori dell’ordinario, vissute in contesti di eccezionalità. Nella lettera apostolica “Novo Millennio Ineunte” (2001) san Giovanni Paolo II ha scritto che “è ora di riproporre a tutti con convinzione questa ‘misura alta’ della vita cristiana ordinaria: tutta la vita della comunità ecclesiale e delle famiglie cristiane deve portare in questa direzione. È però anche evidente che i percorsi della santità sono personali, ed esigono una vera e propria pedagogia della santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole persone” (n. 31). La santità non sta nella eccezionalità, bensì nell’esercizio eroico delle virtù teologali e cardinali.

La pandemia che sta colpendo il mondo mette in luce tanti egoismi, ma anche la generosità e l’altruismo di tanti che non si arrendono di fronte al male. È anche questa una forma di santità quotidiana?
È quello che maggiormente mi ha confortato nei mesi passati e di nuovo in questi giorni nella recrudescenza del virus. Se per ragioni sanitarie – e la difesa della vita e il rispetto della salute delle persone sono valori universali – delle limitazioni sono sopravvenute per noi, e ovviamente non soltanto per noi, quanto all’esercizio di atti di culto e alle varie forme di incontro e formazione delle nostre comunità – e il peso lo avvertiamo – nulla è riuscito a frenare l’esercizio delle opere di misericordia corporale e spirituale, che anzi sono state esaltate con gesti che sono stati e sono di grande testimonianza.

La presenza della Chiesa nella società non si misura anzitutto con funzioni e riti sacri: questi sono veri e autentici se esprimono la vita. È la vita cristiana, vissuta nell’unica carità (come direbbe Agostino), il primo e fondamentale atto di culto gradito a Dio. È quello che il Vaticano II indica come esercizio del sacerdozio comune (ossia comune a tutti) dei battezzati. Se c’è stata (come c’è stata e c’è) la testimonianza della carità, la Chiesa è presente. La stessa Eucaristia è la celebrazione più alta e la fonte più pura della Carità.

Riccardo Benotti

Pubblicato il 4 novembre 2020

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