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Tragedia di Calendasco: abbandonarsi al mistero

misero


La nebbia. Avvolge, confonde, nasconde. Mischia i confini delle cose, della vita, della morte. Terra, acqua, cielo, vita, morte, gioia, dolore. Ci siamo persi nella nebbia. Come quelle sere in cui si fa fatica a riconoscere la strada di casa. Non si vede chiaro. La nebbia elimina i confini, confonde le coordinate, l’istinto ci tradisce. L’intuito, quello che non ha bisogno delle mappe, perché ha i suoi punti di riferimento: una casa, un bar, un ponte, anche quello si ferma. Giro a destra, salgo, scendo e mi ritrovo, eppure quella volta mi sono perso, per sempre. Li abbiamo persi per sempre i quattro ragazzi, quella notte.

Alla notizia sono rimasta attonita

Qualcuno li conosceva, io ne conoscevo uno, poco per la verità, conosco i suoi genitori. Suo padre era un amico d’infanzia. A un certo punto ci si perde, un saluto fugace per strada e poi si soffre terribilmente in momenti come questi che non riesci ad esprimere tutto il dolore che ti prende, come una morsa. Alla notizia sono rimasta attonita, brividi mi hanno attraversato il corpo e si sono fermati nell’anima, un tremore che non è ancora passato. Quando le tragedie sono vicine, perché quasi ti toccano, anche solo passare davanti alla casa delle persone che sono state travolte, ti sembra di compiere un gesto sbagliato, di sfiorare un luogo inaccessibile. La realtà è che nella vita può succedere di morire, a vent’anni, in compagnia, in modo così drammatico che si fa fatica a crederci. Può capitare che la vita di quattro famiglie, con le loro storie, la loro felicità, le loro mancanze, i progetti, i desideri, i ricordi, tutto si metta a girare vorticosamente, in una specie di irrealtà che è, invece, drammaticamente vera.


Ragazzi, dove siete? Vi vorremmo con noi

Dove sei Elisa? Dove sei Costantino? Dove sei William? Dove sei Domenico? Dove siete tutti? Vi vorremmo con noi, vorremmo vedere il vostro futuro, ascoltare la vostra musica, gioire dei vostri successi e sgridarvi per certi imperdonabili errori. Perché noi genitori facciamo così: per amore vi diamo raccomandazioni, per amore vi impartiamo lezioni, per amore vi avvisiamo del pericolo, per amore vi preghiamo di stare attenti, ma voi avete la vostra vita, sapete la vostra vita e noi… no. Concentrati a tenere stretti i ricordi, i sorrisi, i volti, le mani, i capelli adesso non sentiamo più niente. Come avere i tappi nelle orecchie: non si sente, si avverte una eco in lontananza, come un suono in sordina. Ma è un suono che viene da dentro, un tremore che scuote la carne. Come se un’esplosione avesse modificato la capacità di sentire. Quali parole potremo usare con voi? Quali gesti? È tutto tremendamente difficile, solo il silenzio, solo lacrime e preghiere. Ma anche la preghiera fa fatica a prendere forma, esce nel pianto, scomposta e umida, diventa racconto continuo degli ultimi momenti vissuti, che per tutta la vita sarà ripetuto ai parenti, agli amici, ad altri bambini. Oppure bisognerà abbandonarsi al rosario, ai suoi misteri che comprendono tutto, il dolore, la gioia, la gloria. Ma oggi capiamo solo il mistero del dolore, anzi non capiamo, ci affidiamo al ritmo di un’Ave Maria, una dopo l’altra, nella speranza di trovare quiete, come quando tenevamo in braccio quei quattro piccoli, e per farli addormentare la sera, ripetevamo all’infinito un canto, anche se stonato, per togliere la paura della notte.

Maria, tu sei madre

Dio abbi pietà di loro, abbi pietà di noi. Maria, tu che sei madre prendici in braccio e cullaci, perché possiamo trovare quiete. Perché in questo momento siamo troppo impauriti per chiudere gli occhi, troppo agitati per capire, troppo desolati per sentirci vivi. Accompagnaci Madre, non lasciare quelle mamme e quei papà, le sorelle, i fratelli, i nonni, i cugini, gli amici, i vicini di casa, gli abitanti dei loro paesi senza un cenno di speranza. Rendici capaci di abbracciarli non solo domani, ma ogni volta che sarà necessario, dacci l’umiltà del silenzio e il coraggio dell’amore. Quei genitori sono figli nostri, aiutaci a ridare loro quel cuore che adesso si è spezzato.

Itala Orlando

Pubblicato il 13 gennaio 2022

(Foto SIR/Marco Calvarese)

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