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Azione cattolica: impresa, sport, Chiesa e scuola a confronto sull'accoglienza

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Sempre sui temi di accoglienza e integrazione si è chiusa, il 26 marzo all’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano, la triade di appuntamenti de “La Città Giusta” promossi dall’Azione Cattolica diocesana. Questa volta, quattro i relatori presenti: quattro differenti mondi chiamati, ogni giorno, a interfacciarsi con le più disparate relazioni interpersonali e interculturali. Un confronto volto a dare voce a ricchezze e difficoltà dell’incontro quotidiano con persone provenienti da paesi diversi dal nostro.
Dal mondo dell’imprenditoria, Emanuela Rebecchi, una delle titolari del Rebecchi Group, azienda che ha sede amministrativa a Cadeo e che, da oltre 50 anni, si occupa di meccanica ed energia trasformabile. Portavoce della realtà sportiva, Marcello Sassi, allenatore e istruttore calcistico della Spes di Borgotrebbia dei bambini dai 6 anni a tutte le categorie giovanili (è anche volontario alla Casa circondariale di Novate). Dal mondo ecclesiale, suor Milva Caro, scalabriniana, da otto anni a Piacenza e superiora provinciale della sua congregazione dell’Europa. In rappresentanza della realtà scolastica, Elisabetta Menozzi, insegnante della scuola primaria “Caduti sul lavoro” di Piacenza.


Emanuela Rebecchi: l’esperienza di un’impresa
“È da più di 30 anni - inizia l’imprenditrice - che, in azienda, facciamo nostra l’esperienza dell’inserimento. Partendo dal presupposto che l’azienda sia innanzitutto un soggetto sociale che vive di collaborazione, crediamo che, così come riceviamo risorse dalla società, dobbiamo fornirle a nostra volta. Interazione e integrazione - prosegue - sono fondamentali per la crescita stessa dell’impresa. Noi cerchiamo di dare supporto, sia in termini formativi sia personali, affinché chi proviene da contesti altri e si trova dunque spaesato possa integrarsi al meglio nella società. Molti arrivano spesso completamente soli e senza conoscere la lingua e noi cerchiamo quindi di essere quel punto di riferimento, lavorativo e non solo, a loro mancante. Penso anche solo alla nostra scelta, oggi inusuale, di consegnare manualmente il cedolino o di aiutare i dipendenti ad aprirsi lo SPID. Sono momenti che ci ritagliamo per passare ad un rapporto personale. Si instaura confidenza e tanti raccontano anche di problemi privati che, nei limiti del possibile, cerchiamo di aiutare a risolvere. Tante le soddisfazioni personali, oltre che economiche. L’importante è non imporre mai i nostri usi e abitudini”.
Parlando poi di difficoltà nell’esperienza integrativa, cita la questione del nucleo familiare nella sua interezza e le disparità evidenti nei ruoli di marito e moglie, padre e madre. “Lo scarso o addirittura assente coinvolgimento della donna nell’integrazione - conclude - porta a disagi e problemi di sostentamento. Non va bene che spesso sia solo l’uomo a poter interagire”.


Marcello Sassi: nello sport lo straniero non esiste
“Nello sport, almeno in quello che vivo io e che non è quello professionistico, non ci sono categorie sociali e non esiste il termine straniero. Lo sport è metafora della vita e linguaggio universale che unisce” - esordisce. E proseguendo, “integrazione è fondersi, è far cioè giocare i carcerati, far giocare bimbi e bimbe che, diversamente dagli adulti, non hanno preconcetti. È bello vedere poi che i genitori conosciutisi a bordo campo si frequentano anche lontani da esso, diventando amici”.
Vedo tanto spirito di fratellanza e solidarietà tra i bambini - dice ricordando le parole di Nelson Mandela sullo sport. Parlando dell’esperienza del carcere, grande amalgama di etnie, Sassi sottolinea quanto essa sia per lui motivo di arricchimento personale, oltre che di divertimento. “Il punto critico - termina - oltre che i pregiudizi tra gli adulti, è la mancanza di un linguaggio comune per l’educazione in generale dei ragazzi, famiglie comprese. Pochi hanno capito che lo sport fa parte dei processi educativi. Ad esempio, punire un brutto voto col salto di un allenamento è un errore. È giusto invece trovare un accordo con il parroco in caso di sovrapposizione tra allenamento e catechismo, evitando che si debba scegliere tra le due cose. Insomma, c’è ancora strada da fare se non vogliamo creare fratture educative”.


Suor Milva Caro:
il confronto con l’altro è una risorsa
Figlia di italiani emigrati in Germania prima della sua nascita, suor Milva vive sulla propria pelle l’esperienza dell’integrazione. Per anni ha inoltre lavorato nella pastorale interculturale tedesca con tantissimi immigrati. “L’immigrato - inizia - resta sempre diverso. La diversità fortunatamente esiste. Io sarò sempre quella che non parla bene né l’italiano né il tedesco. Sono un cappuccino, latte e caffè ma pur sempre un’unica essenza. Vivo in due società diverse senza che nessuno si accorga che appartengo anche all’altra. Quello che dobbiamo capire è che non è il passaporto a farci diventare parte della società, ma il vivere quello che siamo. Vedo - prosegue -  una forte capacità di adattamento da parte dei giovani di seconda generazione ed è necessario fare il possibile affinché sia sempre così. Diverso è il caso dei loro genitori, i quali temono di integrarsi per paura di perdere ciò che li caratterizza”. La religiosa conclude l’intervento alludendo al problema dell’uso di un linguaggio ancora troppo discriminatorio, ostacolo alla costruzione di una nuova società.
“Bisogna evitare - aggiunge la religiosa - di creare ghetti che stigmatizzano. Dobbiamo metterci in testa che il confronto con l’altro è una risorsa in quanto costringe a riflettere sulla nostra identità, religione compresa. Ad esempio, il rispetto degli islamici verso il Ramadan a me fa pensare alla mia Quaresima. Vedo loro e rifletto su quel che sto/non sto facendo io”.


Elisabetta Menozzi: i ragazzi imparano a scuola a lavorare insieme
Insegno in una scuola che ha sempre accolto a braccia aperte bambini provenienti da altre parti, prima d’Italia e poi del mondo in generale - afferma Elisabetta Menozzi -. “Ogni giorno vedo quanto le differenze siano necessarie per cooperare, per fare cioè cose nuove insieme. Di mattina i nostri piccoli alunni si mettono in cerchio e si autogestiscono dibattiti, anche su temi emotivi. Non abbiamo banchi singoli, ma isole con materiale comune; questo per abituarli a lavorare insieme e per abbassare le differenze linguistiche”.
“Appese alle pareti - prosegue - ci sono tante carte geografiche e spesso vediamo i bambini indicare tra di loro, incuriositi, i vari luoghi di provenienza. Abbiamo anche un’orchestra in cui si suona di tutto. La musica, un po’come lo sport, è un linguaggio universale e suonare insieme crea armonia oltre che essere una modalità alternativa di comunicare. Attraverso l’orchestra, diamo la possibilità a tutti di imparare a suonare, cosa costosa in Italia, ed educhiamo alla cura, a partire dalla cura per gli strumenti” - continua. L’insegnante termina sottolineando il bisogno di creare progetti in comune e di avere la curiosità di andare a conoscere. “Dobbiamo ascoltarci e conoscerci con lo sguardo pulito, come i bambini”.

Elena Iervoglini

Nella foto, i relatori durante il convegno alla Fondazione di Piacenza e Vigevano.

Pubblicato il 27 marzo 2022

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