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Don Pagniello alla Caritas: «Non viviamo nel tempo delle facili soluzioni»

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“Essere creativi è fare nuove tutte le cose, in modo consono ai tempi che viviamo”. In occasione dei 50 anni di Caritas Italiana, nel giugno 2021, papa Francesco ha indicato tre vie per continuare la missione: partire dagli ultimi, custodire lo stile del Vangelo e sviluppare la creatività. Su queste parole si è concentrato il discorso di don Marco Pagniello, direttore di Caritas italiana, intervenuto al Convegno delle Caritas parrocchiali di sabato 19 novembre al centro Caritas “Il Samaritano” di via Giordani a Piacenza. Il primo a parlare è stato don Umberto Ciullo, parroco di Santa Teresa Benedetta della Croce a Roveleto di Cadeo, che ha sottolineato come la creazione sia una prerogativa di Dio, che è unico Creatore. “L’uomo – ha spiegato – può inventare, cioè trovare qualcosa che c’è: è inventando che siamo fedeli a Dio perché osserviamo, meditiamo, sviluppiamo e decidiamo di agire”. Le conclusioni del convegno sono state affidate al vescovo mons. Adriano Cevolotto.

“La carità non si delega”
“Il grande compito di discernimento comunitario che ci viene chiesto è quello di leggere l’oggi per progettare il futuro”, don Marco Pagniello parte ricordando un concetto fondamentale, cioè che “la carità non si delega”, tutti sono chiamati ad aiutare il prossimo in difficoltà e nessuno può chiedere a un’altra persona di amare al proprio posto. “Partire dagli ultimi” è la prima via dettata da papa Francesco. “I poveri – ha detto Pagniello – non sono soltanto persone da servire, ma fratelli e sorelle con cui condividere un cammino; non sono solo portatori di bisogni ma di diritti, di risorse. È nostro compito dunque guardarli in maniera diversa, non solo nella loro povertà ma per ciò che sono realmente. Il nostro vero servizio di amore non è dar loro una monetina o un pasto caldo, ma fare in modo che mettano in gioco le proprie risorse. È così che riconosciamo la dignità di queste persone, non con l’assistenzialismo”.

“Siamo chiamati a sentirci deboli”
“Essere operatore Caritas – ha ricordato – significa rispondere a una chiamata. Caritas è Chiesa, al centro del suo servizio ci sono l’ascolto, la pedagogia dell’accompagnamento, un’azione sociale corale. Il fatto di essere delegati dalla comunità cristiana a prenderci cura dei poveri è una responsabilità molto forte, ma se è vero che nessuno può delegare l’amore, allora c’è qualcosa che non va. Spetta a tutti farsi carico delle persone in difficoltà”. Di fronte alla povertà educativa dilagante nel mondo e alle disuguaglianze presenti anche in Italia “siamo tutti chiamati – afferma Pagniello – a cambiare stile di vita per sentirci deboli, perché se un debole incontra un altro debole è più facile instaurare una relazione di fraternità”.

Povertà multidimensionale
Nel rapporto Caritas 2022 “L’anello debole”, presentato a Piacenza lo scorso 18 ottobre, emerge che i minori sono la parte della “famiglia umana” che oggi rischia di pagare il prezzo più caro. “A chi ha bisogno di cibo noi diamo sempre i soliti prodotti – ha analizzato il direttore di Caritas italiana – ma spesso i minori, e anche gli anziani, non riescono ad accedere a ciò che avrebbero diritto di avere. Poi ci sono i ‘working poor’: una volta lavorare garantiva automaticamente una stabilità, oggi il lavoro ha smesso di essere un fattore di tutela e protezione. La povertà che abbiamo di fronte è multidimensionale: le persone non vengono da noi soltanto con la ‘bolletta da pagare’, dietro ci sono tante altre miserie. Pensiamo ad esempio alla violenza sulle donne, una delle piaghe più gravi del nostro tempo. Oggi non è il tempo delle facili soluzioni e degli slogan. Un altro problema è l’emergenza abitativa, una povertà dimenticata. In Italia la spesa per l’edilizia pubblica è ferma a 30 anni fa, molte famiglie che prima erano in povertà abitativa sono rimaste così. L’ascensore sociale non funziona più: se nasco in una famiglia povera rischio di ereditare anche la povertà”.

Comunità generative
“Un lavoro di accompagnamento svolto nel modo giusto e una corretta indicazione delle priorità agli amministratori pubblici locali è importante, per una Caritas diocesana, tanto quanto offrire un pasto caldo. Segnaliamo se c’è un palazzo non ben illuminato, se vediamo qualcosa che non va, altrimenti rischiamo di essere ‘le stampelle’ di uno stato che non fa la sua parte. Non siamo operatori sociali, siamo quelli che il Signore ha chiamato a fare la propria parte camminando con i poveri. Essere creativi è fare nuove tutte le cose, in modo consono ai tempi che viviamo. La povertà è cambiata, sono nate necessità nuove. Dobbiamo cancellare dal nostro vocabolario la frase “Abbiamo fatto sempre così”: essere creativi vuol dire dare spazio al tempo. La creatività è qualcosa che si sviluppa dentro una visione che guarda la realtà in un tempo ampio, oltre le questioni del momento, i problemi contingenti. Smettiamo di avere l’ansia del ‘tutto e subito’. Siamo piuttosto dei “custodi del bello”. Alle persone che serviamo stiamo chiedendo “puoi fare anche tu qualcosa di bello per la tua città?”. Sentendosi protagoniste, le persone scoprono la bellezza di ripartire da loro stessi. È questo il senso dell’’inventare’, passare dalla semplice erogazione di cibo e vestiti al prendersi cura. Per raggiungere l’obiettivo, però, Caritas deve uscire dall’autoreferenzialità e mettersi a lavorare con gli altri: solo insieme riusciamo a fare le cose. Siamo chiamati a essere costruttori di comunità prima che di assistenza ai poveri: costruiamo comunità generative, che sappiano poi prendersi cura al meglio dei poveri, guardando loro come nostri fratelli e sorelle”.

Francesco Petronzio

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Nelle foto: sopra, da sinistra, don Umberto Ciullo, mons. Adriano Cevolotto, don Marco Pagniello; sopra, il pubblico presente al Convegno delle caritas parrocchiali, in primo piano, da sinistra, Massimo Magnaschi e Mario Idda.

Pubblicato il 19 novembre 2022

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