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Dalla Cattolica un progetto per l’Africa: «Il cambiamento parte dal basso»

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Otto miliardi di persone abitano il mondo, una varietà di caratteristiche, situazioni, opportunità. Ciò che è sostenibile per noi europei spesso non lo è a livello globale: un caso su tutti è quello degli allevamenti. “Se in Occidente la produzione animale cala, crescerà in altre zone dove l’efficienza è minore, con conseguenze anche disastrose per l’ambiente come, ad esempio, la deforestazione in Amazzonia”.
Paolo Ajmone Marsan è professore ordinario di Miglioramento genetico animale presso la Facoltà di Agraria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, coordinatore della scuola di dottorato “Agrisystem” e del Centro di ricerca “Romeo ed Enrica Invernizzi” per le produzioni lattiero-casearie sostenibili (Crei) dell’Università Cattolica.

“Non si può abbandonare l’agricoltura intensiva”

Le parole chiave di Agrisystem sono “sostenibilità” ed “efficienza” delle produzioni, con una visione globale sul problema dell’alimentazione: l’obiettivo è ridurre la fame nel mondo, oggi e per le generazioni future. “L’agricoltura – dice Ajmone Marsan – ha di fronte sfide epocali: dobbiamo dare da mangiare a tantissima gente e rendere più equo il diritto a un’alimentazione sufficiente ed equilibrata, che vuol dire favorire uno sviluppo umano e cognitivo adeguato”. In questa direzione si muove Agrisystem. “Il nostro impegno – afferma – va nella stessa direzione della «Laudato Si’», ma da un punto di vista tecnico e pragmatico, la necessità è sfamare miliardi di persone. Per questo, non è pensabile abbandonare l’agricoltura intensiva, piuttosto, trasformarla in un’intensificazione sostenibile. Un punto, questo, su cui anche la Fao è d’accordo. Dunque, ci saranno più agricolture: una, intensiva, che sfama il mondo, e un’altra, estensiva, che avrà il compito di conservare la biodiversità anche nel settore agricolo e zootecnico. L’autarchia alimentare, cioè la teoria secondo cui ognuno debba produrre il cibo di cui ha bisogno, è un’utopia: può essere applicabile in zone ricche e scarsamente popolate, ma non è un modello esportabile ovunque”.

Sostenibilità globale

“Diminuire la quantità da noi, a fronte di una richiesta del mercato, determinerà che molti animali verranno comunque prodotti in altre zone del mondo, in maniera non efficiente. In Europa, grazie alle tecnologie avanzate, una vacca può arrivare a produrre 60 litri di latte al giorno. In Etiopia, un animale ne produce tre o quattro. La carne verrà prodotta ad esempio in Brasile, deforestando ancora di più l’Amazzonia. Spesso le soluzioni che noi percepiamo come sostenibili non sono sostenibili per il pianeta”. La domanda di prodotti animali, dice il prof. Ajmone Marsan, è in forte crescita nel mondo. “Una prima causa è l’aumento della popolazione, e poi lo sviluppo economico, che fa schizzare la richiesta: quando la disponibilità di denaro aumenta, la prima cosa che accade è un cambiamento della dieta”.

Come si cambia il modello africano? “Sono andato a osservare i progetti dei centri di ricerca della Cgiar per valutare la progettazione – riferisce Ajmone Marsan – molti progetti finanziati in Africa, nel tempo, sono falliti: quando termina il finanziamento e la collaborazione con le popolazioni locali gli occidentali tornano a casa e i progetti governativi restano nelle aziende governative. Un programma di miglioramento genetico di animali o piante viene fatto a livello del governo ma poi non arriva ad allevatori e agricoltori”.

Il progresso parte dal basso

Un occhio di riguardo non può non essere dedicato all’Africa, “il continente che subirà più seriamente gli effetti dei cambiamenti climatici”: l’obiettivo, dice Ajmone Marsan, è arrivare a una “intensificazione sostenibile dell’agricoltura”, seguendo le indicazioni della Fao. Una soluzione può essere il “community-based breeding”, un programma di miglioramento genetico fatto dalla comunità. “Sarà necessaria anche una trasformazione sociale – afferma il docente – ma non possiamo esportare il nostro modello. Bisognerà trovare una soluzione insieme alle popolazioni locali”.

Il rischio per la sostenibilità è dato dal fatto che “nel mondo, appena c’è una maggiore disponibilità economica, le persone cambiano la propria dieta, prediligendo prodotti di origine animale”. Il modello virtuoso citato da Ajmone Marsan è stato applicato in due zone dell’Etiopia con le pecore Menz e Bonga. “Prima, le famiglie allevavano due o tre animali per poi vendere il migliore, che rendeva di più a livello economico. Questo dimostra la totale assenza di un programma di miglioramento genetico. Con una strategia organizzata, le persone hanno collaborato fra loro e hanno ottenuto un miglioramento delle produzioni e quindi una maggior ricchezza. Sono stati acquistati animali di alto valore genetico per ripartire con un programma di miglioramento: questo sistema ha allargato la base genetica della popolazione e ha permesso un miglioramento delle produzioni, con un conseguente aumento dei guadagni. Essendo un’iniziativa nata «dal basso», i villaggi vicini hanno iniziato a imitarla”.

Il mondo intero a Piacenza

Agrisystem è una Scuola di dottorato interdisciplinare, che abbraccia le facoltà di Agraria, Economia e Giurisprudenza, e internazionale, con corsi in inglese e docenti e studenti di diversa provenienza. “Dal 2006 – osserva Ajmone Marsan – abbiamo avuto dottorandi provenienti da 27 Paesi diversi del mondo, solo nell’ultimo anno contiamo dieci nazionalità. Quest’anno circa 30 studenti frequentano il dottorato”.

Un progetto di sviluppo con il contributo della Cei

La Conferenza episcopale italiana finanzia un progetto in collaborazione con Università Cattolica, Fondazione E4Impact e Uganda Martyrs University che prevede due dottorati “executive”: il primo corrisponde ad Agrisystem, il secondo mira alla preparazione dei giovani imprenditori. Otto docenti dell’ateneo africano sono stati affiancati per 20 giorni da due tutor di Agrisystem, con cui hanno condiviso il programma di ricerca da svolgere nel proprio Paese. “È uno scambio vicendevole: da un lato trasferiamo le nostre conoscenze scientifiche e tecniche, dall’altro riusciamo a capire meglio i problemi locali”.

L’attenzione per i Paesi in via di sviluppo

Il prof. Paolo Ajmone Marsan collabora, inoltre, col centro di ricerca C3S (Cibo sufficiente, sicuro, sostenibile), finanziato dalla Fondazione “Romeo ed Enrica Invernizzi” e coordinato da prof. Giuseppe Bertoni, che fa ricerche sulla sostenibilità dell’alimentazione umana in collaborazione con le parrocchie di Congo e India. “Due obiettivi sono: creare sistemi efficaci per la conservazione delle derrate alimentari e – spiega – aumentare la consapevolezza delle popolazioni locali sulla necessità di seguire una dieta più bilanciata possibile”.

Più produttività, meno concimi chimici

Uno studio interessante e innovativo di Agrisystem è la valutazione delle interazioni fra la pianta e tutti i microrganismi – batteri e funghi – del terreno. “Le leguminose – spiega il prof. Ajmone Marsan – hanno una sorta di simbiosi con batteri capaci di fissare l’azoto che prendono dall’aria, indispensabile al metabolismo della pianta. Il nostro studio è finalizzato all’aumento della produttività delle piante usando la microflora anziché i concimi chimici”.

Francesco Petronzio

Nella foto, il prof. Paolo Ajmone.

Pubblicato il 9 giugno 2023

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