Il pedagogista Dotti parla di educazione partendo dalla figura biblica di San Giuseppe
Al Liceo Gioia di Piacenza, un gruppo di docenti, nel corso di aggiornamento, organizzato dall’Ufficio della Pastorale Scolastica diocesano, il 25 settembre, si è riunito per un incontro con Johnny Dotti, pedagogista e imprenditore sociale, noto in tutta Italia per la sua visione innovativa sull'educazione e il suo impegno a promuovere il benessere della comunità. Nato a Bergamo nel 1963, Dotti è sposato con Monica e ha quattro figli. Oltre al suo ruolo di docente a contratto all'Università Cattolica di Milano, ricopre la carica di presidente di "È.one Abitarègenerativo" e di amministratore delegato di "On impresa sociale". In passato, ha anche servito come consigliere delegato e presidente di Cgm e di Welfare Italia, e ha scritto numerosi libri che hanno influenzato il pensiero educativo contemporaneo.
Educare: un atto di speranza
Durante l'incontro, Dotti ha affrontato il tema dell'educazione, prendendo spunto dalla figura biblica di San Giuseppe. Ha sottolineato che l'educazione non può essere ridotta semplicemente all'istruzione, né può essere circoscritta al mero funzionamento delle cose. Secondo lui, viviamo in un'epoca in cui siamo tutti vittime di ciò che ha definito il "Tecno scientismo", una sorta di nuova religione capitalista gnostica dalla quale dobbiamo cercare di fuggire.
Per Dotti, educare è un atto di speranza nella capacità concreta di una comunità di impegnarsi nell'educazione dei suoi membri. Ha sottolineato che la prima postura educativa che dobbiamo adottare è quella di "benedire la nostra fragilità", ossia parlare positivamente di ciò che non riusciamo a fare e delle sfide che incontriamo nel nostro percorso. In altre parole, l'educazione dovrebbe essere un processo di sostegno e di incoraggiamento, piuttosto che di giudizio o valutazione.
Un punto chiave sollevato da Dotti è che gli educatori, secondo i due codici di paternità e maternità, devono prima di tutto identificarsi come persone singolari e plurali. Questo significa che devono comprendere e abbracciare la propria unicità e diversità prima di poter aiutare gli altri a fare lo stesso. L'educazione, secondo Dotti, dovrebbe essere un processo di crescita personale e collettiva, in cui sia gli educatori che gli educandi imparano e crescono insieme.
Il trauma, il sogno e l’azione
San Giuseppe, padre di Gesù, è stato al centro delle riflessioni di Dotti che ha evidenziato come i passaggi fondamentali della vicenda esistenziale e spirituale di Giuseppe sono: trauma, sogno, azione.
“Noi oggi - ha affermato il pedagogista - siamo tutt’ora immersi nel trauma. Il punto è che, dopo il trauma, nella vita di Giuseppe segue il sogno e, dopo il sogno, un’azione, un’azione trasformativa. Si potrebbe dire che quella di Giuseppe è proprio la dinamica della trasformazione. È la dinamica attraverso cui egli diventa padre. Perché padri lo si diventa, non lo si è automaticamente, solo perché si è genitori biologici. Non per nulla ci sono straordinarie storie di paternità generativa, che non passano per forza dalla strada della genitorialità biologica. La storia di Giuseppe - ha evidenziato Dotti - è il simbolo di tutte queste storie. Il primo trauma di Giuseppe è la gravidanza di Maria, che per lui è né più né meno che un tradimento bello e buono; un tradimento delle sue attese, dei suoi sogni, delle sue speranze. Nel trauma Giuseppe si addormenta, cioè si abbandona. Pare come accettare che ad arrovellarsi dentro il trauma…non ne viene fuori; una spiegazione non c’è. Si addormenta e sogna. Nel sogno - ha sottolineato Dotti - incontra l’angelo del Signore che non gli risolve il problema, non gli cambia la realtà, semplicemente gli chiede di guardare le cose da un altro punto di vista. Lì Giuseppe comincia già a diventare padre. Dopo il sogno, prendendo Maria “con sé”, Giuseppe cambia il suo rapporto con Dio e con la Legge. Era un uomo giusto, ma dopo il sogno la sua giustizia è oltre la legge. Diventa “giusto” non in nome della legge, ma in nome dell’amore. La vera giustizia è sempre una giustizia in nome dell’amore, quindi costringe costantemente il diritto, la legge a cambiare. Giuseppe non consegna il figlio al re. Così come prima non aveva consegnato l’amata Maria alla legge della Torah. Giuseppe abbandona la sua religione, la sua lingua, la sua cultura, il suo lavoro, le sue tradizioni per non consegnare il figlio ad Erode.
C’è un terzo trauma nella vita di Giuseppe, - ha continuato il pedagogista - dopo che si era “sistemato” in Egitto, il segnale ricevuto in sogno è: devi tornare a casa tua. Pensa di tornare a Gerusalemme, ma gli viene detto di tornare a Nazareth, dove Gesù vivrà la sua infanzia con il padre.
Lo smarrimento di Gesù
L’altro episodio fondamentale nella vita di Giuseppe - ha rimarcato Dotti - è quando Gesù dodicenne, in un pellegrinaggio a Gerusalemme, viene ritrovato nel tempio dopo tre giorni. Questo avvenimento ricorda a Giuseppe di avere un altro Padre. Perché tutti i padri sono adottivi ed affidatari: nessun figlio è proprietà del padre. Il vero padre è Dio, e per i non credenti, la vita, il mistero... La pagina dello smarrimento di Gesù e del suo ritrovamento è per noi sconvolgente. Giuseppe e Maria avevano perso Gesù e cominciano a cercarlo solo ventiquattro ore dopo, e lo trovano dopo tre giorni. Un po’ angosciati, è vero, ma tutto sommato sereni: erano in pellegrinaggio, in una carovana comunitaria, contavano sulla comunità. Qualcosa che oggi, purtroppo direi, è quasi impensabile.
La paternità nell’amore
Dentro questo percorso di riflessione a me è capitato di scoprire - ha affermato il pedagogista - la figura di Giuseppe di Nazareth che fino a qualche anno fa per me non significava granché. Credo che la figura di Giuseppe raccolga, nella sua avventura di padre, proprio ciò a cui un padre non può rinunciare, cioè all’amore. Noi oggi abbiamo dell’amore un’idea molto emotiva, molto sentimentaloide, direi da telenovela, legato ad elementi di istantaneità e di emotività. La paternità richiede la responsabilità di compiere la legge e di andare oltre la legge: la giustizia in termini umani non basta, non basterà mai. Non basta che ci nascondiamo dietro a delle regole, o che siamo obbedienti a delle regole: servono le regole, ma solo se indicano qualcosa che va oltre. Ci sono molti momenti nella vita dei padri e delle madri, nella vita familiare e coniugale, nella vita comunitaria in cui bisogna trasgredire le regole per custodire il mistero e il sogno del figlio.
Nella vita di Giuseppe - ha concluso Dotti - dopo ogni sonno, ogni sogno, c’è stato un risveglio, segnato da un nuovo cammino. Forse anche per noi, “transmillenari” come Giuseppe, che nei primi vent’anni di questo millennio abbiamo attraversato e stiamo attraversando flagelli e disgrazie che ci fanno pensare alle piaghe d’Egitto, questa è la sensazione che proviamo dentro il sussurro o il grido di una speranza tenace, di una voglia di vivere da uomini nuovi in un mondo nuovo”.
Nuove prospettive nell’insegnamento
L'incontro con Johnny Dotti ha ispirato i docenti presenti a riflettere sulla loro pratica educativa e a considerare nuove prospettive sulla formazione delle generazioni future. La sua visione ha messo in luce l'importanza di una comunità impegnata nell'educazione e di un approccio positivo e empatico verso le sfide che si affrontano nella vita di ogni giorno.
In un'epoca dominata dalla tecnologia e dalla corsa al successo, le parole di Johnny Dotti hanno ricordato ai docenti l'importanza di costruire relazioni significative, di abbracciare la propria umanità e di coltivare una visione più ampia dell'educazione che va oltre l'istruzione formale.
Riccardo Tonna
Nelle foto: in alto, da sinistra, Claudio Ferrari, Jonny Dotti e Francesco Luppi; sopra, i docenti presenti al'incontro promosso dalla Pastorale scolastica della diocesi.
Pubblicato il 26 settembre 2023
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