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Tamponi sì, tamponi no. Uno studio

tamponi

“Ho alcuni bambini febbrili. Le strutture preposte fanno pochi tamponi per la ricerca del Coronavirus in casi simili. Mi sento in gabbia”. Così si esprime il dottor Antonio Belluzzi, pediatra, che assieme a tre amici ha realizzato uno studio matematico su quanto sta accadendo in Lombardia, in Veneto e in Emilia Romagna in merito alla battaglia da condurre contro il Covid-19. Con Belluzzi hanno lavorato alla ricerca Sergio Brasini, docente di statistica economica all’Università di Bologna, Marco Fabbri, già servizio statistica dell’Unione dei Comuni della Valle del Savio e l’operation manager alla Righi group, l’ingegnere Michele Navacchia.

L’analisi del problema
“Andiamo a vedere perché c’è una differenza così evidente tra i deceduti di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Proviamo a capire con i numeri messi a disposizione dalla Protezione Civile”, si è chiesto il dottore. “A parità di altre condizioni, la percentuale dei decessi sulla popolazione in Lombardia e in Emilia-Romagna, rispetto al Veneto, è rispettivamente 8,4 e 4,5 volte superiore, in rapporto alla popolazione residente. Fino al 27 marzo - aggiunge il medico - Emilia-Romagna e Lombardia hanno effettuato tanti tamponi in meno rispetto al Veneto, sempre in rapporto alla popolazione residente”.
Qual è il fattore che incide in questa grande differenza tra le tre regioni, si sono chiesti i ricercatori? La percentuale del numero dei tamponi in Italia, sulla popolazione, è dello 0,65. In Lombardia dello 0,95, in Emilia-Romagna del 1,07 e in Veneto del 1,7.
“Questo comportamento – si è chiesto il gruppo di lavoro - ha influito sull’individuazione dei casi positivi e sul numero dei decessi? Sarebbe variata la mortalità con un maggior numero di tamponi effettuati? Ovviamente al netto di tutte le altre variabili come demografia, comportamenti, distribuzione di età”.
In Lombardia e in Emilia-Romagna, dimostra lo studio svolto, i casi positivi rispetto ai tamponi sono rispettivamente 4,3 e 2,7 volte più alti che in Veneto. “Se i tamponi vengono effettuati ai casi sintomatici e con fattori di rischio epidemiologico - dice ancora Belluzzi - a quelli, per intenderci, che hanno la diagnosi scritta in fronte, si ha probabilità più alta di trovare casi positivi. Facendo pochi tamponi aumentano in percentuale i decessi. Questi ultimi, infatti, sui sintomatici che avevano fatto il tampone in Lombardia ed Emilia-Romagna sono rispettivamente 15 e 7 volte superiori al numero dei deceduti in Veneto”.

L’operazione eseguita in Veneto
Ora, proseguendo nell’analisi, dicono i ricercatori, “applicando in modo perfettamente proporzionale la percentuale di tamponi eseguiti in Veneto (pari all’1,7 per cento dell’intera popolazione) a Lombardia ed Emilia-Romagna che invece hanno rispettivamente lo 0,95 per cento e l’1,07 per cento dei tamponi sull’intera loro popolazione, pari circa al 40 per cento in meno del Veneto, cosa accadrebbe?
Al netto di tutte le altre variabili non inserite nel modello e ipotizzando di riscontrare lo stesso tasso di decesso riscontrato in Veneto (0,006 per cento della popolazione), si avrebbero 642 decessi in Lombardia e 285 in Emilia-Romagna, contro gli effettivi 5.402 in Lombardia e 1.267 attuali in Emilia-Romagna, pari rispettivamente all’88 per cento e 78 per cento dei decessi in meno”.

Il modello coreano
“Il Veneto ha seguito il modello coreano - aggiunge il dottore - cioè tamponi a tutti i positivi e a tutti i loro contatti. Si tratta del cosiddetto «modello segugio» con il quale si fiutano tutti i contatti del contagiato. Un’operazione ovviamente «bestiale», ma che paga tanto in termini di decessi, come abbiamo appena visto dai numeri esposti. In Corea hanno controllato i movimenti delle persone guardando i cellulari e le posizioni su google. Questo modello presuppone una squadra che fa solo quello. Può essere troppo tardi per noi? I buoi sono già scappati dalla stalla?”.
“Ora le due regioni Lombardia ed Emilia-Romagna - conclude il pediatra - stanno inseguendo il Veneto in fatto di tamponi eseguiti. La Lombardia più velocemente, la nostra regione un po’ meno. Se facessimo più tamponi si potrebbe ridurre la mortalità, in particolare nelle province di Ferrara, Ravenna e Forlì-Cesena, dove i casi sono ancora contenuti e i comportamenti virtuosi pare abbiano pagato. Certo, bisogna continuare con le misure di distanziamento sociale, misure che hanno portato tanti buoni frutti anche se con il sacrificio di tutti noi”.

Pubblicato il 30 aprile 2020

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