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Le cure palliative, il dolore e le domande dell’uomo

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L’11 novembre, festa di San Martino, ricorreva la Giornata delle cure palliative. Il termine “palliativo” prende il nome da “pallium”, cioè mantello, e si riferisce al famoso “mantello di San Martino”, di cui il Santo si sarebbe privato per “rivestire” un povero, sofferente, incontrato per strada. Le cure palliative hanno proprio il significato di “ricoprire”, “prendersi cura” della persona sofferente, accogliendo tutti i suoi bisogni, fisici, psicologici, sociali, spirituali. Più che curare la malattia, le Cure Palliative si prendono cura della “persona malata”, nella sua globalità, accogliendo entro questo ampio mantello anche la sua famiglia, altrettanto ferita e malata.

La pandemia e lo scontro tragico con la malattia
Durante la pandemia abbiamo avuto modo di vedere, purtroppo in maniera tragica, cosa significhi curare la malattia e non la persona. C’è stata, e c’è tuttora, un’emergenza straordinaria, ma nella gestione di questo tempo le Cure Palliative sono state lasciate da parte, hanno avuto, tranne che in pochi casi, un ruolo marginale. Ci si è attrezzati e si è gestita l’organizzazione sanitaria con l’obiettivo di curare la malattia, non la persona malata. Per questo la pandemia sta lasciando dietro di sé una sofferenza enorme, che ha bisogno di consolazione, una consolazione che è mancata sia durante che dopo il percorso di malattia di tantissime persone.

Tenere la mano del malato
Mi hanno colpito, in questi giorni, le parole di un componente del complesso dei Pooh, che hanno recentemente perso il loro batterista, Stefano D’Orazio, a causa del COVID. Il dolore più grande, diceva, è il pensiero che Stefano se ne sia andato da solo, senza nessuno che gli potesse stare vicino, tenergli la mano, “accompagnarlo” in questo suo ultimo viaggio. Ecco, le cure palliative sono questo accompagnamento, sono questo “tenere la mano”, sono questa presenza, questa vicinanza. Il palliativista “vede”, riesce a cogliere la sofferenza del malato, apre le porte della relazione, della consolazione, vede prima di tutto la persona malata, e se ne fa carico.

Le cure palliative nella Lettera “Samaritanus Bonus”
Come riporta la recente e bellissima Lettera “Samaritanus Bonus” della Congregazione per la Dottrina della fede, “le cosiddette cure palliative sono l’espressione più autentica dell’azione umana e cristiana del prendersi cura, il simbolo tangibile del compassionevole stare accanto a chi soffre. Esse hanno l’obiettivo di alleviare le sofferenze nella fase finale di malattia e di assicurare al tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano, dignitoso, migliorando, per quanto possibile, la qualità della vita e il benessere complessivo”.


Il ruolo della famiglia e gli hospice
Nella cura della persona in fase avanzata di malattia è centrale il ruolo della famiglia, che va sostenuta ed aiutata, perché anch’essa profondamente sofferente. La famiglia, nelle cure palliative, costituisce un’unica “Unità di cura” con il malato. E, quando la famiglia non ce la fa più, sia per motivi sanitari, a causa di sintomi difficilmente gestibili a domicilio, sia per motivi sociali, per il gravoso carico assistenziale, ecco la necessità degli “Hospice”, luoghi dove accogliere i malati nella fase finale della vita assicurando loro una cura e un’attenzione dignitosa fino alla morte. Tali strutture, recita la “Samaritanus Bonus”, “si pongono come un esempio di umanità nella società, santuari di un dolore vissuto con pienezza di senso”.

Gli hospice e la Londra degli anni ‘60
Il movimento Hospice inizia a Londra, negli anni ’60, per l’illuminazione di una persona straordinaria, Dame Cicely Saunders, con una forte motivazione cristiana che sollecita una presenza che si fa carico del dolore, lo accompagna e lo apre ad una speranza affidabile. Nel primo Hospice aperto a Londra, il “Saint Christopher Hospice”, tutte le stanze erano progettate in modo circolare, e al centro c’era la Cappella, con la perenne presenza del Santissimo, come a significare che in questa Presenza, nel Mistero di Cristo morto e Risorto, era racchiuso il senso dell’umana sofferenza.

Le parole del cardinal Bassetti: l’eucaristia al centro della vita
A questo proposito mi ha colpito la lettera che il card. Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha inviato alla sua diocesi di Perugia poco prima di essere trasferito presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia, dove si trova attualmente ricoverato per aver contratto il COVID.
In questa lettera il Cardinale afferma: “Era necessaria questa esperienza di malattia per rendermi conto di quanto siano vere le parole dell’Apocalisse in cui Gesù dice all’angelo della Chiesa di Laodicea: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap3, 20). L’eucarestia, soprattutto in questo periodo difficile, non può essere lasciata ai margini delle nostre esistenze ma dev’essere rimessa, con ancora più forza, al centro della vita dei cristiani. Nell’eucarestia Gesù rinnova e riattualizza il suo sacrificio pasquale di morte e risurrezione, ma la Sua presenza non si limita a un piccolo pezzo di pane consacrato. Quel pane consacrato trascende dallo stesso altare, abbraccia tutto l’universo e stringe a sé tutti i problemi dell’umanità, perché il corpo di Gesù è strettamente unito al corpo mistico che è tutta la Chiesa. Non c’è situazione umana a cui non possa essere ricondotta l’Eucarestia…”

Le domande di fronte alla malattia
Un Hospice che si ispira ai valori cristiani deve avere un’attenzione costante al sostegno, alla cura, non solo dei sintomi fisici o psicologici, ma anche alla sofferenza spirituale, alla domanda di senso che sempre la malattia, e specialmente una malattia ad evoluzione infausta, porta con sé: “Perché a me?” Cosa ho fatto di male?” Che senso ha la vita? Perché esiste il dolore, la malattia, la morte?”
Ancora la “Samaritanus Bonus” dice: “di fronte alla sfida della malattia e in presenza di disagi emotivi e spirituali in colui che vive l’esperienza del dolore emerge, in maniera inesorabile, la necessità di saper dire una parola di conforto, attinta alla compassione piena di speranza di Gesù sulla Croce […] nella Croce di Cristo sono concentrati e riassunti tutti i mali e le sofferenze del mondo, male fisico, psicologico, morale, spirituale”. Coloro che “stanno” attorno al malato non sono, né “devono” essere solo testimoni, ma “segno vivente” di quegli affetti, di quei legami che permettono al sofferente di trovare su di sé uno sguardo umano capace di dare senso al tempo della malattia; perché, nell’esperienza del sentirsi amati, tutta la vita trova la sua giustificazione. L’esperienza “vivente” del Cristo sofferente significa consegnare agli uomini d’oggi una “speranza” che sappia dare senso al tempo della malattia e della morte, contro la “disperazione” che può assalire le persone sofferenti che si trovano davanti ad una prova così grande.

Il dolore è sopportabile se c’è la speranza
Il dolore è sopportabile esistenzialmente soltanto laddove c’è la speranza. Quindi, per quanto così importanti e cariche di valore, le cure palliative non bastano se non c’è nessuno capace di “stare” accanto al malato testimoniandogli questa speranza che egli ha profondamente maturato dentro di sé.
Dice infine ancora questa bellissima Lettera: “anche quando sembra che non ci sia più nulla da fare c’è ancora molto da fare, perché lo «stare» è uno dei segni dell’amore e della speranza che porta con sé. L’annuncio della vita dopo la morte non è un’illusione o una consolazione, ma una certezza che sta al centro dell’amore, che non si consuma con la morte”.
Per questo gli Hospice che si ispirano ai valori cristiani devono avere operatori capaci di essere testimoni “credibili” dell’amore che sa dare una speranza e un significato anche all’esperienza più terribile che un uomo possa fare, quella di una sofferenza di un dolore a cui non riesce ad attribuire un significato.

Roberto Franchi

Medico palliativista e componente dell’Ufficio diocesano per la Pastorale della salute

Pubblicato il 16 novembre 2020

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