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Non solo la chiesa, ma anche il monastero

Verso la festa della Devota della Costa / 3

Devota3Ai primi di agosto la Val Ceno, in provincia di Parma ma diocesi di Piacenza-Bobbio, è in festa per la Devota della Costa, al secolo Margherita Antoniazzi, serva di Dio, religiosa del ‘500, ancora oggi nel cuore della popolazione della sua terra.
Vogliamo preparare le celebrazioni ripercorrendo grazie a Gaia Corrao la sua vicenda umana. Ecco la terza puntata.

Di prodigio in prodigio

Una domenica finiti i vespri, Margherita stava come al solito chiedendo offerte e aiuti per la chiesa a questo e a quello, quando un gruppetto di persone particolarmente agguerrite cominciò a prendersi gioco di lei, mettendola in ridicolo davanti alla folla radunata sul piazzale.
Per tutta risposta e senza affatto scomporsi, la ragazza entrò in chiesa e prese due candele, dopodiché assicurò con voce ferma ma serena che ciò cui avrebbero assistito di lì a poco li avrebbe convinti una volta per tutte che non era una fanatica visionaria.
Gli sguardi di tutti erano fissi su di lei.
Incuriositi da quelle parole, la seguirono.
La giovane si incamminò verso un laghetto chiamato il Roggione, non lontano dalla Costa in direzione di Bardi. Ora quello specchio d’acqua era stretto ma profondo, tanto che una leggenda lo voleva senza fondo e nessuno osava bagnarvisi, tanto meno tentare di attraversarlo a nuoto, per paura di annegarvi dentro.
Giunti sulla riva del laghetto, Margherita accese le due candele.
La folla attorno la osservava sbigottita, ammirata dalla sua imperturbabile serenità.

A questo punto Margherita esclamò: “Ecco, io mi metterò dentro a questo lago e se coll’aiuto del Signore mi verrà fatto di passar all’altra sponda sott’acqua senza punto bagnarmi e senza che si spengano le candele, ciò vorrà essere segno che le cose dette da me intorno alla chiesa non me le sono cavate io di mio capo, man che le mi vennero ordinate dall’alto. Che se per lo contrario resterò vittima della mia temerità, farete di me quel conto che si fa di una pazza”.
Poi senza indugio, fattosi il segno della croce, le due candele in mano e i vestiti addosso, si immerse nelle acque del Roggione, che subito la inghiottì tra i suoi gorghi oscuri.
Quanti l’avevano seguita erano in preda al panico, presagendo la tragedia che si sarebbe consumata. Un brusio confuso si levava dalle sponde del lago. I presenti erano in ansia.

Finalmente ogni dubbio venne fugato e tutti tirarono un sospiro di sollievo, quando videro Margherita riemergere dall’acqua illesa, completamente asciutta e con le due candele accese ancora in mano.

Dinanzi a quell’inspiegabile prodigio, anche i più restii a crederle furono costretti ad arrendersi e la diffidenza di prima si mutò in ammirazione, il timore in entusiasmo. Tutti gridavano a gran voce e battendo le mani acclamavano Margherita, assicurando aiuti per la costruzione della chiesa, perché veramente gliel’aveva chiesta la Madonna.
Anzi, accadde sempre in quel fatidico giorno che un tale, Lusino da Geminiano, salito su un grosso masso per seguire meglio la scena, cadesse improvvisamente fratturandosi il ginocchio.
Giaceva ancora a terra tra i lamenti, incapace di rialzarsi in piedi, quando la Devota appena riemersa dall’acqua del Roggione, gli si avvicinò e tracciò un segno di croce sull’arto offeso. Subito la ferita sparì e Lusino poté tornare a casa saltando e danzando dalla gioia, lodando Iddio per tanta grazia.

I testimoni raccontano che da quel giorno nessuno si permise più di prendersi gioco di lei, perché evidentemente il Cielo stava dalla sua parte.
Cominciarono così a piovere abbondanti elemosine da ogni parte e Margherita si rallegrava che finalmente il desiderio della Madonna fosse prossimo alla realizzazione.

Tuttavia si sa, gli uomini dimenticano presto i segni e i prodigi e preferiscono agire di testa loro e così nuovi dissensi sorsero a proposito del luogo esatto dove la chiesa si sarebbe dovuta costruire, finché un giorno uno stormo di uccellini con pagliuzze e pezzettini di legno nei becchi, si precipitò in mezzo al frastuono dei lavoratori che si agitavano qua e là, lasciando cadere il materiale custodito nel becco proprio nel punto che aveva indicato Margherita come quello su cui la Vergine desiderava si costruisse la chiesa.
Anche questa volta, i dissenzienti si arresero e le fondamenta della chiesetta furono finalmente gettate.

Gli ultimi ostacoli

Ormai tutto era deciso: la chiesa si sarebbe costruita sul colle di Caberra, tra Costa e Cantiga.
Tutti gli abitanti di quelle zone erano finalmente d’accordo e lieti di collaborare come potevano alla realizzazione di un’opera in precedenza tanto osteggiata.
Con ardore e fervore i buoni popolani si misero tutti a disposizione, lavorando con lena notte e giorno.
Margherita si rallegrava nel vedere finalmente premiate la sua costanza e la sua fede. Era una gioia guardare tutta quella gente che lavorava insieme in pace.
C’era però da superare un ultimo, inatteso ostacolo.

Questa volta l’opposizione giunse dal rettore stesso di Costa, don Ludovico.
Come si accennava, il parroco di San Bartolomeo temeva che una nuova chiesa così vicina alla parrocchiale avrebbe diminuito le sue già precarie entrate, riducendolo in miseria.
Armato pertanto delle sue buone ragioni, si presentò al conte Agostino Landi, signore di Bardi e di tutto quel territorio, e a lui si appellò, con forti lamentele e rimostranze. Il conte dal canto suo non trovò del tutto infondati i reclami di don Ludovico e mandò a chiamare Margherita.

Giunta che fu la giovane al castello, le proibì seduta stante di procedere con i lavori per l’edificazione della chiesa.
Le permise di costruire eventualmente solo un piccolo oratorio.

Margherita si sentì certamente mancare: proprio ora che tutto procedeva così bene... Ma la fede non le venne meno e nemmeno il coraggio di ribattere al conte con grande fermezza pur senza mancargli di rispetto, che se egli non avesse cambiato idea nel giro di tre giorni, l’edificio sarebbe comunque sorto, ma sul Monte Lana, fuori dalla sua giurisdizione.
Colpito da quelle parole semplici ma ispirate il conte Agostino, che stimava molto Margherita, cambiò immediatamente idea.
Non solo le concesse di edificare la chiesa ove ritenesse più opportuno, ma anche le offrì parte del materiale necessario - gli stipiti della porta, legname, pietre - recuperato dalla fortezza di Pietra Cervara, da poco atterrata.
Le assicurò inoltre che mai più le avrebbe procurato impedimenti, “se nostro Signore vuol fare miracoli sui miei stati”.

Margherita se ne tornò a casa felice e sollevata, lieta che il Cielo avesse spalancato anche l’ultima porta che sembrava chiusa.
Ormai era certo. La chiesa si sarebbe fatta e accanto ad essa si sarebbe costruito anche un piccolo monastero, all’interno del quale lei già meditava di vivere per dedicarsi a Dio e agli altri attraverso la preghiera, magari in compagnia di qualche altra ragazza di buona volontà.

Durante i lavori emerse però un altro problema di non poco conto: la mancanza di acqua o almeno la difficoltà nell’approvvigionamento.
Dal momento che l’edificio era stato costruito sulla dura roccia, non c’era possibilità di scavare un pozzo. Questo inconveniente avrebbe costretto le monache del futuro monastero ad uscire sovente per attingere acqua altrove e ciò con un certo disagio.

Margherita propose di costruire una cisterna per supplire almeno ai bisogni più urgenti, ma si trovò tutti contro, perché dicevano, lì sotto c’era solo roccia e non sarebbe stato possibile trarre neanche una stilla d’acqua da quei massi.
Illuminata da qualche arcana ispirazione, la ragazza non si smosse e ribadì di volere il serbatoio proprio nel punto che indicava.
Vinti dall’insistenza di Margherita, i lavoratori sia pure a malincuore, si lasciarono convincere e tra un lamento e l’altro, procedettero alla costruzione del pozzo.

Ancora una volta la perseveranza di Margherita non deluse.
Appena il pozzo fu terminato infatti, con grande sorpresa di tutti, lo videro riempirsi d’acqua fresca e zampillante, che sembrava scaturire da una pura vena.
Da allora, questa misteriosa sorgente sotterranea non è mai venuta meno e a tutt’oggi la fonte continua a zampillare abbondante dal profondo seno della montagna.

Alla fine, dopo tanto penare, il desiderio della Vergine era stato esaudito.
La chiesa stava finalmente in piedi semplice e bella e al suo fianco, piccolo e umile, sorgeva il monastero.
La costanza di Margherita era stata premiata e quello che inizialmente era apparso ai più il sogno ingenuo di una visionaria, era finalmente diventato realtà.
La costruzione del complesso monastico ebbe inizio nel 1525 e fu presumibilmente ultimata nel 1531.
La chiesa dedicata alla Santissima Annunziata fu consacrata il 21 maggio 1533.

La piccola comunità monastica

Lo stesso giorno dell’inaugurazione della chiesa fu aperto anche il monastero, anch’esso dedicato all’Annunziata.
Conclusi i festeggiamenti, sempre in quel memorabile 21 maggio 1533 Margherita Antoniazzi diede l’addio a tutto e a tutti e prese dimora tra quelle mura, insieme alla sua prima compagna di vita consacrata, Catella Capiani, una ragazzina semplice e buona, che le fu sempre fedele discepola.

Dopo appena qualche settimana di vita monastica “a due”, bussarono alla porta del convento di Margherita alcune ragazze che chiedevano di essere ammesse a quella vita ritirata e penitente nel piccolo nido di pace e di preghiera da poco ultimato.
Margherita le accolse di buon grado, ma per provare l’autenticità delle singole vocazioni chiese loro le corone del Rosario e le appese ad un albero.
Quindi si raccolse in preghiera, chiedendo a Dio un segno che le rivelasse quali tra le ragazze erano animate da vero spirito di preghiera e quali invece, erano semplicemente infatuate all’idea di quello stile di vita silenzioso e nascosto agli occhi del mondo.

Data poi una leggera scossa al tronco osservò alcune corone cadere, altre rimanere appese all’albero: quelle erano le corone delle ragazze che avrebbero perseverato fino in fondo nel difficile cammino che stavano per intraprendere.

Tra i nomi delle monache che formarono la prima comunità di “Margheritine” ricordiamo quelli di Maria Bracchi, nipote di Margherita in quanto figlia di sua sorella Antonina, Domeneghina Ghioni, detta la Tornola, perché proveniente da Tornolo e a cui fu affidato l’incarico di cuoca e Angelina Antoniazzi.
Col tempo a questo primo gruppetto di monache se ne aggiunsero altre, ma il loro numero non superò mai la decina.

La piccola comunità non era guidata da una regola particolare, seguiva i consigli e gli esempi della fondatrice.
Margherita stessa era la loro regola.

Le religiose vestivano un saio lungo fino ai piedi, con una pazienza e il velo bianco.
Andavano tutte a piedi scalzi anche in inverno.
Emettevano i voti di povertà, castità e obbedienza e conducevano una vita penitente ed esemplare, praticando tutte le virtù cristiane e frequentissimi digiuni, come risulta dalle numerose ispezioni vescovili di cui fu oggetto il monastero.

Si tenga presente che in un tempo in cui la gente era abituata a mangiare non molto più che pane e acqua o al massimo a bere un bicchiere di vino, il fatto che le relazioni degli ispettori sottolineino in particolare il dato dei digiuni, significa certamente che le “Margheritine” rinunciavano spesso e volentieri anche a quel poco di cui all’epoca normalmente ci si nutriva.

Lavoro, preghiera, penitenza scandivano il ritmo delle giornate di queste fervorose consacrate.
Si alzavano di notte per pregare e la sveglia al mattino precedeva l’alba in modo da poter dedicare un lungo tempo alla preghiera, alla recita dell’ufficio divino e alla messa, prima di dedicarsi ai vari lavori.
Tutto si svolgeva in un clima di silenzio e meditazione.

Anche se non erano vincolate da stretta clausura, le suore potevano uscire dal convento solo occasionalmente e comunque ciò accadeva piuttosto di rado e sempre con il consenso della superiora e accompagnate.
Le uscite avvenivano solo per necessità del convento o per compiere qualche opera di carità verso il prossimo.

Fin dai primi anni di attività del monastero dell’Annunciata della Costa, le religiose si distinsero per lo spirito di preghiera e per la grande carità verso il prossimo, specialmente se povero e malato.
Era il carisma di Margherita, da sempre innamorata del Cielo e attentissima alle necessità dei fratelli, che si trasfondeva col passare del tempo nelle sue devote discepole.
Era l’inizio di una bella avventura sulle ali della Provvidenza, che avrebbe portato un piccolo gruppo di monache di montagna a sperimentare uno stile di vita nuovo e in un certo senso rivoluzionario, se paragonato al normale modo di vivere delle religiose dell’epoca.

Gaia Corrao


Pubblicato il 23 luglio 2019

Le puntate precedenti:
1 - Margherita, una religiosa nel cuore del Cinquecento
2 - Alla grotta della Rondinara

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