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Centuplo

Fiorenzuola ricorda
mons. Luigi Bergamaschi

Venerdì 22 alle ore 21 sarà celebrata una messa in Collegiata;
il 23 è in programma un concerto e la presentazione del volumetto
a lui dedicato della collana “Il centuplo quaggiù e l’eternità”

bergamaschi

La parrocchia di Fiorenzuola ricorda il parroco mons. Luigi Bergamaschi a 25 anni dalla sua scomparsa.
Venerdì 22 gennaio alle ore 21 sarà celebrata la messa in suo suffragio in Collegiata; sabato 23 gennaio alle ore 21 ci sarà un concerto per soli Coro e orchestra eseguito dal coro Vallongina, dalla corale SS.Pietro e Paolo di Gessate con l’orchestra sinfonica dei Colli Morenici. Voci soliste: soprano Ivanna Speranza; mezzo soprano Elena Serra; tenore Luigi Frattola; basso Ernesto Morillo. Dirige don Roberto Scotti. Ingresso libero.

Per l’occasione è in uscita, per le edizione de il Nuovo Giornale, il primo libretto scritto da Lucia Romiti della collana “Il centuplo quaggiù e l’eternità” dedicato appunto alla figura di mons. Bergamaschi che sarà presentato sabato 23 gennaio. Si tratta di un’iniziativa del nostro settimanale rivolta ai nostri lettori.

Don Luigi Bergamaschi nasce a Fiorenzuola d’Arda il 30 agosto 1926, in un caldo giorno di fine estate.
Fin da piccolo la vocazione al sacerdozio si fa strada in lui. Entra nel Seminario di via Scalabrini a Piacenza, undicenne, nell’ottobre del 1937.
Di lui, molti anni dopo, il cardinale Tonini dirà: “L’ho ricevuto io dalle mani del papà e della mamma e l’ho seguito per tutti questi anni. Che cosa devo dire? Ecco un capolavoro della grazia del Signore... Il più e il meglio di questo delizioso prete si trovava nascosto interamente nel segreto invisibile della sua anima. Al centro e all’origine del tutto c’era il personale Tu per Tu col nostro Dio, in virtù di un’attrazione che lo aveva preso molto presto, forse ancor prima di saper dare il nome alle cose attorno”.

“Il Gigio”, come lo chiameranno in seguito i suoi studenti del Liceo scientifico di Fiorenzuola, viene ordinato sacerdote nella cattedrale di Piacenza l’11 giugno 1949: “In realtà - scrive don Luigi - chi è un prete se non un uomo che è scelto per vivere e servire la speranza del mondo? Prete è l’uomo della fede, ma di una fede che diviene ragione di vita solo dal momento in cui si verifica all’interno di una esperienza di partecipazione solidale a tutto il gemito del mondo, con la sua attesa più o meno cosciente di liberazione”.
In queste parole il senso che don Bergamaschi dà al sacerdozio: missione, vocazione, vita interamente spesa per gli altri, per la comunità, per la società, per il mondo.


Il ritorno a Fiorenzuola

Trent’anni. Tanto è durato il legame strettissimo tra don Luigi Bergamaschi e la sua comunità parrocchiale, quella fiorenzuolana, dove era nato.
Questo prete “di carne”, come lui stesso si definiva, torna nella fiorente cittadina in provincia di Piacenza come delegato vescovile nel settembre del 1960, per decisione di mons. Malchiodi, dopo aver trascorso dieci anni a Cortemaggiore.
Il parroco di Fiorenzuola, mons. Ferrari, è anziano e malato. Serve qualcuno che lo aiuti a servire quella realtà che è la più popolosa della diocesi.
“È la mia città, nessuno è profeta in patria”, obietta don Luigi, preoccupato di come lo avrebbero accolto i fiorenzuolani. Ma proprio questa missione che lo aspetta sarà per lui la più bella e definitiva. Quattro anni dopo succede a mons. Ferrari: il 17 ottobre 1964, festa del patrono San Fiorenzo, don Luigi fa l’ingresso come parroco a Fiorenzuola, e pronuncia parole commoventi, una sorta di discorso programmatico in cui chiede collaborazione e sostegno per una missione che è sacra, in cui mostra generosità, modestia e grande apertura verso tutti, in particolare i non credenti.
Un discorso che è preludio alle meravigliose omelie kerigmatiche che caratterizzeranno il suo sacerdozio: “Si tratta di unire tutte le forze - esorta - perché questa nostra città divenga una famiglia, una famiglia per tutti. E la parrocchia, cellula viva del Corpo di Cristo, deve sentire che questa santa impresa, tutta la deve mobilitare... Che cosa sarebbe mai un prete senza comunità? Io chiedo a voi che credete, di fare corpo con me attorno al Vangelo che non è mio, ma di Cristo; io vi chiedo di fare assemblea attorno all’altare che non è mio, ma vostro; io vi chiedo di non lasciare senza recapito la carità di Dio, che è fatta per dare senso alla storia!”.


Tutto è grazia

L’educazione dei giovani è l’impresa a cui maggiormente si dedica; dei suoi giovani è padre, amico, fratello. A loro insegna la libertà interiore e un Vangelo che salva, unica risposta al cuore inquieto dell’uomo. Insegna loro ad amare la vita e a servirla con responsabilità.
Sostenitore della Chiesa del Concilio vaticano II, don Luigi riduce la distanza tra il clero e i laici, e dà vita alla Casa della carità, per i poveri.

Se ne va a soli 65 anni, il 22 gennaio 1991, stroncato dalla leucemia.
Nel testamento spirituale aveva scritto: “... grazia fu, soprattutto, il mio inaspettato ritorno a Fiorenzuola. Giunsi tra voi, miei fratelli, trepidante e conscio della mia inadeguatezza. Ma così affettuosa fu la vostra accoglienza, così generosa la vostra disponibilità, così calda la vostra amicizia, che ben presto ogni remora psicologica fu superata, e insieme a voi divenne ogni giorno più esaltante l’impegno a costruire il tempo nuovo della Chiesa, che lo Spirito ci indicava attraverso il Concilio proprio mentre iniziava il mio ministero in mezzo a voi. Come rievocare questi anni senza sentirmi il cuore invadere di commozione? Senza sentire il bisogno di ringraziare ancora una volta il Signore per avermi dato in voi, carissimi fratelli e sorelle della mia amatissima Fiorenzuola, una realtà ecclesiale così viva da sperimentarvi quasi fisicamente ogni giorno la fecondità inesauribile del mirabile mistero di tutta la Chiesa?”.

Lucia Romiti

Anche Mons. Lanfranchi
tra gli Amici della Mietitrebbia

A un anno dalla morte del Vescovo di Modena un nuovo volume della collana “Il centuplo quaggiù
e l’eternità”. Antonio Marchini: attorno alla Mietitrebbia sono cresciute amicizie vere

lanfranchi marchini

Portano lo stesso nome e la strada della vita li ha fatti incontrare: sono Antonio Marchini, il patron dell’associazione “La Mietitrebbia” e del Premio Cuore d’oro, e Antonio Lanfranchi, vicario generale a Piacenza e poi vescovo a Cesena-Sarsina e a Modena, morto il 17 febbraio di un anno fa a 68 anni. Nell’ottobre 2011, sotto il Tendone di Mortizza, mons. Lanfranchi aveva ricevuto anche lui il Premio Cuore, un riconoscimento consegnato a medici di primo piano a livello nazionale e internazionale, assegnato in quell’occasione a un Pastore, perché, spiega Marchini, l’uomo è fatto di corpo e di anima.
Oggi il nostro settimanale ricorda mons. Lanfranchi con una nuova pubblicazione della collana “Il centuplo quaggiù e l’eternità” scritta da Lucia Romiti e realizzata grazie alla collaborazione di alcune aziende, del Comune di Ferriere, dell’Ucid (mons. Lanfranchi ne era il consulente ecclesiastico), dell’associazione “La Mietitrebbia” e del settimanale Corriere Cesenate. Nei giorni scorsi, il 17 febbraio, il vescovo mons. Gianni Ambrosio ha presieduto in Cattedrale a Piacenza una messa in suo ricordo.


Le relazioni che nascono dalla “terra”

Anche mons. Lanfranchi, originario di Grondone di Ferriere dov’era nato il 17 maggio 1946, proviene da quella cultura contadina che viene celebrata ogni anno nella manifestazione di Mortizza alle porte di Piacenza.
“Ricevere questo Premio per me - dichiarava alla stampa ricevendo l’onoreficenza nel 2011 - è un’occasione per stringere legami, per essere sempre vescovo tra la gente e per dare valore alle relazioni che nascono dalla terra, dal mondo contadino, relazioni che non riguardano semplicemente il corpo, ma l’integralità della persona”.
“Quando nel febbraio 2014 è morta mia moglie Giuliana - ricorda Marchini - mons. Lanfranchi è venuto al rosario da Modena fino a casa mia. Non lo potrò mai dimenticare”. Le amicizie vere sorprendono sempre.


Sette fratelli e la licenza elementare a 17 anni

Ma come è nata l’esperienza del Premio Cuore d’oro che ha così segnato la vita di Antonio Marchini?
Marchini è nato a Muradolo il 4 luglio 1933, festa del patrono S. Antonino. L’anno dopo la sua famiglia si spostava a Roncaglia, paese che diventerà con Gerbido e Mortizza il centro della sua attività. Il padre Ernesto lavorava con l’impresa Rizzi nel settore edile, la madre Delfina Zilioli seguiva da vicino i sette figli.
Nel ‘44-’45 la scuola di Roncaglia chiude a causa dei bombardamenti sempre più pericolosi. Marchini non ha ancora concluso gli studi, ma, terminato il conflitto mondiale, il padre lo spinge a rientrare sui banchi di scuola. Prenderà la licenza elementare a 17 anni.
Nel ‘62 avviene il matrimonio del 29enne Antonio con Giuliana Groppi. “Iniziava - racconta - l’avventura della mia famiglia alla Riazza Piccola, a poca distanza da Gerbido. Lavoravamo 70 pertiche di terra, ma negli anni siamo arrivati a seguirne addirittura 1500. Con mia moglie non abbiamo mai litigato - racconta commosso -, si discuteva solo su piccole questioni di lavoro”.


Polenta e coniglio

Nel ‘65, un incontro che segna una svolta. Marchini viene ricoverato all’ospedale di Borgonovo. In quegli anni seguiva il trasporto del latte; una strana febbre lo perseguitava tanto da spingere i medici al ricovero in ospedale. A curarlo è il dott. Leopoldo Celli, pioniere dell’endoscopia, primario al Niguarda di Milano e medico a Borgonovo.
Celli, classe 1912, originario di Roncaglia, non vuole essere pagato ma accetta una cena a base di polenta e coniglio a casa Marchini. La cena diventa così un appuntamento fisso, tutte le settimane, e in casa dell’agricoltore Antonio passano fior di medici dall’Italia e non solo. Addirittura avrebbe dovuto arrivare il grande Christian Barnard, il sudafricano autore del primo trapianto di cuore, ma Celli venne a mancare prima del fatidico incontro.

L’amicizia ha vie impreviste e grazie al prof. Mario Valentino, primario di urologia all’ospedale di Piacenza, Marchini incontra nel 1990 il cardiochirurgo Mario Viganò. “Nasceva un’amicizia sincera che un contadino come me non avrebbe mai pensato di avere”, sottolinea nel libro di Mauro Molinaroli “La mietitrebbia e il cuore d’oro”.

Nel 1975 Marchini con altri agricoltori decide di acquistare una mietritrebbia. Non vogliono più essere penalizzati perché, nei loro campi, la mietitrebbia arrivava dopo aver concluso il lavoro nelle aziende più grandi. “Eravamo una ventina quelli interessati. La settimana dopo, per la stesura del contratto, la metà si era dileguata. In dieci decidemmo di procedere all’acquisto al Consorzio agrario la mattina dopo. Ci siamo presentati in cinque!”.
L’acquisto va comunque in porto e nel ‘76 al ristorante “I cacciatori” di Castione di Pontedell’Olio, va in scena la prima cena della mietitrebbia, all’insegna della solidarietà e del lavoro insieme.

A tavola si stringono legami e il dott. Viganò propone alcuni anni più tardi a Marchini di dar vita a una manifestazione organizzata, con un suo valore anche sul piano scientifico. E così è.
Sarà un autentico successo in cui Marchini, con la sua indomabile verve, dà compattezza al gruppo in un clima di festa popolare.
Nasce l’associazione che darà vita al Premio Cuore d’oro il primo venerdì di ottobre con il sostegno in particolare della Fondazione di Piacenza e Vigevano, e ogni anno a giugno alla benedizione dei trattori a Mortizza.

Tra i suoi maestri, Marchini non può dimenticare mons. Pio Marchettini e don Luigi Bearesi. Mons. Marchettini, storico direttore del Collegio Morigi, ha dato man forte a Marchini quando venne raggiunto dalla notizia della nomina a Cavaliere da parte del Presidente della Repubblica. “Inizialmente pensai a uno scherzo, ma il sindaco Vaciago e il presidente della Provincia Squeri mi rassicurarono. Don Pio scrisse e mandò il mio curriculum a Roma: «laurea a 17 anni in quinta elementare senza raccomandazioni!». Don Bearesi è stato più che un amico. Con lui mi ritrovai a studiare il dialetto e a declamare poesie. Sapeva cogliere la vera anima della nostra cultura contadina. Quanti amici sul mio cammino che non potrò mai dimenticare!”.

Davide Maloberti

La poesia di mons. Bearesi dedicata a mons. Lanfranchi
L’altalena

La poesia è stata composta da don Bearesi alla fine del 2003 quando mons. Lanfranchi venne nominato vescovo.
Si fa riferimento all’impegno dell’allora vescovo mons. Monari nella ricerca di un nuovo vicario generale, scelta che poi cadde su mons. Lino Ferrari.

Don Antonio Lanfranchi, Vicario,
ha già scritto sul piccolo diario.
Dondolavo, ma poi l’altalena
da Piacenza m’ha spinto a Cesena.
Sarò Vescovo, un giorno, a gennaio:
sarà festa oppur sarà un guaio?

Il Monari mi dice e non tace:
“Son contento, però mi dispiace...
Farai strada, successo e carriera,
t’accompagna la nostra preghiera.
Ma quel vuoto che lasci a Piacenza
or diventa la mia penitenza;
ho provato a sfogliar l’annuario,
per scoprire un novello Vicario,
ma arrivato che sono alla «zeta»
ho finito per dire Compieta!”

Don Antonio, non dar grattacapi
ai canonici, ai vescovi, ai papi.
Entrerai trionfante a Cesena,
ma si muove a zig-zag l’altalena:
chi sarà quel prelato modello
a sedersi sul sacro sgabello?
I canonici dicon l’Ufficio,
ma balbettano con sacrificio:
l’occhio scorre sul vecchio breviario,
ma la mente va al nuovo Vicario!

Don Antonio, il tuo dolce sorriso
fa brillare l’episcopo viso:
sarà sempre la tua calamita
per salvar la persona smarrita.
Sei l’Eletto, vai pure a Cesena,
ma ricorda la dolce catena
della quale non puoi fare senza:
il tuo cuore rimane a Piacenza.

Don Luigi Bearesi

Antonio Lanfranchi.
"Dobbiamo essere di Cristo,
non di noi stessi!"

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Mons. Antonio Lanfranchi era nato in un piccolo paese dell’Appennino in provincia di Piacenza: Grondone di Ferriere. 
Dopo l’ordinazione sacerdotale, il 4 novembre 1971, la sua vita è stata un susseguirsi di ruoli accademici e pastorali sempre più impegnativi. Ruoli che non ha mai cercato, ma che ha sempre accolto con dedizione e spirito di servizio, caricandosi di ogni difficoltà e responsabilità. 

Per i giovani è stato il “Tom”, un gigante buono da cui si sentivano amati come da un padre. 
Per i piacentini è stato vicario generale, per i cesenati vescovo, per i modenesi arcivescovo. 

Quando la malattia lo colpisce, inesorabile, nel giugno del 2014, la affronta con dignità e speranza, come un bambino svezzato tra le braccia della madre. 
“Christi simus non nostri”, aveva scelto come motto del suo episcopato: “Dobbiamo essere di Cristo, non di noi stessi!”. 
Si spegne a Modena il 17 febbraio 2015.

L'AUTRICE.
Lucia Romiti, laureata in filosofia all’Università degli studi di Macerata e giornalista, 
è redattrice della rivista del Rinnovamento nello Spirito Santo,
collabora con il settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio “Il Nuovo Giornale” 
e con alcune testate locali marchigiane.
Per la collana “Testimoni della fede” de “Il Nuovo Giornale” è autrice delle biografie 
di San Damiano di Molokai, Santa Teresa Couderc, Don Angelo Lolli, Teresa Maruffi, 
Fra’ Serafino da Pietrarubbia, Padre Giuseppe Bocci, Celestina Donati, Pio X (per ragazzi).
Per la collana “I santi in tasca” è autrice delle biografie di Giovanni Paolo II, 
Zelia e Luigi Martin, Padre Pio da Pietrelcina, Santa Teresa Benedetta della Croce, 
Pio X, 
Paolo Burali e Andrea Avellino.
Per la collana “Il centuplo quaggiù e l’eternità” è autrice del libretto dedicato a don Luigi Bergamaschi.

Antonio Lanfranchi.
"Dobbiamo essere di Cristo, non di noi stessi!"
Supplemento a "il Nuovo Giornale" di venerdì 19 febbraio 2016

Disponibile in redazione (Piacenza, via Vescovado 5)
Per informazioni: tel. 0523.325995 -

Leggi l'articolo pubblicato su "il Nuovo Giornale" del 19 febbraio 2016

Luigi Bergamaschi.
"Passerò il cielo
cantando il Magnificat"

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Don Luigi Bergamaschi si definiva un prete “di carne”, uno di quelli
che amano
 sporcarsi le mani, entrare nella sofferenza degli altri, nelle vite degli altri,
condividerne
 gioie e dolori.
Uno di quei preti convinti che il cristiano deve incarnare
 la fede, la speranza, il Vangelo di Cristo
nella storia personale e collettiva, nella
 società, nel mondo.
Uno di quei preti che non si stanca di ripetere ai giovani che
 lo seguono
che la vita è vocazione, è missione irripetibile:
non si può sprecare
 e va vissuta con responsabilità e amore.

Fiorenzuolano “del sasso”, era nato il 30 agosto 1926 in un caldo giorno di fine estate.
Era entrato in seminario, a Piacenza,
 a undici anni.
Da sacerdote, era tornato nella sua Fiorenzuola nel 1960.

Trent’anni dopo la leucemia lo strappa alla comunità che lo amava.

L'AUTRICE.
Lucia Romiti, laureata in filosofia all’Università degli studi di Macerata e giornalista, 
è redattrice della rivista del Rinnovamento nello Spirito Santo,
collabora con il settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio “Il Nuovo Giornale” 
e con alcune testate locali marchigiane.
Per la collana “Testimoni della fede” de “Il Nuovo Giornale” è autrice delle biografie 
di San Damiano di Molokai, Santa Teresa Couderc, Don Angelo Lolli, Teresa Maruffi, 
Fra’ Serafino da Pietrarubbia, Padre Giuseppe Bocci, Celestina Donati, Pio X (per ragazzi).
Per la collana “I santi in tasca” è autrice delle biografie di Giovanni Paolo II, 
Zelia e Luigi Martin, Padre Pio da Pietrelcina, Santa Teresa Benedetta della Croce,
Pio X, 
Paolo Burali e Andrea Avellino.

Leggi l'articolo pubblicato su "il Nuovo Giornale" del 15 gennaio 2016

Luigi Bergamaschi.
"Passerò il cielo cantando il Magnificat"
Supplemento a "il Nuovo Giornale" di venerdì 15 gennaio 2016

Disponibile in redazione (Piacenza, via Vescovado 5)
Per informazioni: tel. 0523.325995 -

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