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Il giornalista Rai Sicuro il 31 a Piacenza: «in Ucraina storie di una nuova quotidianità»

gianmarco sicuro giornalista Rai a piacenza

Fra distruzione e carestia si combatte una guerra con tecniche vecchie più di cent’anni: in trincea i soldati presidiano il fronte ucraino in attesa di un segno che interrompa la monotonia. Attendono una bomba o uno sparo. I più colpiti dal conflitto sono i bambini, che però hanno la forza e la capacità di sorridere e giocare anche fra i palazzi bombardati e le sirene. A raccontarcelo è Giammarco Sicuro, giornalista Rai più volte inviato in Ucraina dall’inizio della guerra, che sarà ospite del Laboratorio di mondialità consapevole all’interno dell’evento “L’unica vittoria è la pace” di Europe for Peace Piacenza che si svolgerà venerdì 31 marzo alle 18 nella Sala Arazzi del Collegio Alberoni. Intervengono anche Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, l'avvocato Laila Simoncelli della Comunità Papa Giovanni XXXIII e la scrittrice Chiara Ingrao.

— Lei ha vissuto questa guerra dall’interno, conoscendo le persone e facendo esperienza della loro vita quotidiana. Cos’ha visto?

La situazione oggi è molto diversa nelle varie zone dell’Ucraina. C’è una parte vastissima del Paese che cerca di non pensare alla guerra, si prova in tutti i modi a riprendere la vita di tutti i giorni come se il conflitto non ci fosse. Odessa, città che nei primi mesi della guerra era blindata, in stato di allerta continuo, oggi prova a vivere normalmente, nonostante gli allarmi aerei e i missili. Una situazione simile la vive anche Zaporizhzhia: un giorno, mentre ero in città, ci fu un attacco missilistico che causò la morte di tredici persone. Alla sera i ristoranti erano aperti, la gente usciva, beveva, si festeggiavano i compleanni. Si cerca di non pensarci. È una situazione assurda, ma li ammiro.

— E l’area vicino al fronte?

Nel Donbass, a Kherson e in tutta la sponda “ucraina” del Dnipro, confine fra l’area di occupazione russa e quella a controllo ucraino, la situazione è completamente diversa. Il Donbass è l’unica regione in cui vige ancora il divieto di consumo di alcolici, e questo la dice lunga sul livello di allerta. Lì la guerra è molto più presente, si percepisce la distruzione, la devastazione, si ha continuamente la percezione di rumori, bombardamenti, della gente in fuga e dei beni di prima necessità che scarseggiano.

— Sotto le bombe prevale l’istinto di sopravvivenza. Ci sono situazioni limite?

Credo che per raccontare la guerra sia fondamentale raccontare le storie delle persone che la subiscono. Anche dei soldati che la combattono, perché spesso sono anche loro vittime, sempre più spesso vediamo ragazzini costretti a stare al fronte. Le vittime più bersagliate da questa guerra sono sicuramente i civili, e soprattutto bambini e anziani: questi ultimi sono quelli che, per vari motivi, restano nelle zone più pericolose per vari motivi. Nella cittadina di Siversk, che dalla scorsa primavera è semiassediata – i russi presidiano tre lati del territorio comunale – ho incontrato una signora molto anziana e invalida. La sua casa era stata da poco bombardata, e sotto le macerie era finita anche la carrozzina che usava per muoversi. Suo figlio mi ha raccontato che per spostarla l’unico modo possibile era utilizzando una carriola. Sono situazioni che troviamo quotidianamente in località vicine al fronte. E poi i bambini. Ci sono alcune famiglie che continuano a tenere i bambini in zone estremamente pericolose: ne abbiamo trovati due in un bunker dove vivevano sette persone in condizioni terribili. La scelta della famiglia era di rimanere lì nonostante tutto, e neanche le forze dell’ordine sono riuscite a convincere i genitori a spostare almeno i bambini in un luogo più vivibile e più sicuro.

— Nel villaggio di Kostyanntynivska, a poca distanza da Bakhmut, con le bombe a pochi chilometri, i bambini giocano a calcio. Qual è la visione della guerra secondo un bambino?

È la storia che ho utilizzato come copertina del mio libro “Grano”, che esce nei prossimi giorni per Gemma Edizioni. Il titolo evoca la coltivazione che fa la fortuna dell’economia dell’Ucraina, che però può trasformarsi in un simbolo di fame. La squadra in cui giocavano quei bambini si chiamava Kolos, che in ucraino significa “spiga di grano”. I ragazzini giocavano a pallone su un prato verde in mezzo a edifici distrutti dai bombardamenti. I bambini hanno grande capacità di riuscire a trovare un sorriso, a giocare anche nelle situazioni in cui gli adulti sono disperati. Succede un po’ per l’incoscienza e l’inconsapevolezza dell’infanzia, un po’ perché i bambini hanno grande capacità di resilienza, di trovare una speranza anche nelle situazioni più devastanti. Sono sempre pronti a giocare, scherzare, sorridere anche se sentono continuamente le sirene d’allarme.

— A volte capita che i bambini custodiscano storie drammatiche

Solo una volta mi sono imbattuto in una bambina che non era capace di restituirmi un sorriso. Era completamente sotto shock. Ci trovavamo in una cittadina del Donbass appena liberata dagli ucraini dopo mesi di occupazione russa. Sappiamo, anche dalle prove raccolte dalla Corte penale internazionale, di quali crimini i russi si stanno macchiando nelle zone che stanno occupando, stupri, violenze di ogni tipo. Non so esattamente cosa avesse vissuto quella bambina, ma era impossibile farla sorridere. I minori sono i più colpiti da questa guerra e dovremmo cercare di tenerli lontani dal conflitto.

— In Italia si svolgono numerose manifestazioni pacifiste che invocano la fine dei rifornimenti bellici all’Ucraina. Dall’altra parte, però, gli ucraini chiedono sempre più armi. Cosa succederebbe se smettessimo di inviarle?

Noi inviati andiamo nei luoghi della guerra anche per far sì che, con le informazioni che diamo, chi è in Italia abbia il polso della situazione e prenda delle decisioni. Se cessasse l’invio di armi da parte della Nato, in particolare di Stati Uniti e Regno Unito, credo che in poco tempo l’esercito ucraino non riuscirebbe più a difendere ciò che ha difeso finora, difficilmente riuscirebbe a contrastare la potenza e la quantità di uomini che ha a disposizione la Russia. È una mia sensazione basata su quello che ho visto e sulle testimonianze di esperti e militari che ho incontrato in Ucraina. Finora si sono difesi grazie alle tecnologie e alle armi di ultima generazione fornite dall’Occidente. Gli ucraini che intervistiamo chiedono armi e aiuti umanitari. D’altro canto, vedere tante nazioni europee tornare ad armarsi affannosamente mi preoccupa molto. Basta una scintilla per scatenare un’escalation ancora più grande. Le recenti dichiarazioni di Vladimir Putin e dei leader esteuropei sono sempre più dure e surreali. Ho paura per quello che potrebbe accadere in futuro.

— Quali altri mezzi possiamo impiegare per porre fine a questa guerra?

Non credo che la Cina sia un interlocutore efficace ai fini di un negoziato di pace. Spero piuttosto che sia papa Francesco, con le sue grandi capacità diplomatiche, a porsi come mediatore internazionale per far sedere allo stesso tavolo Russia e Ucraina al fine di trovare un’uscita pacifica dal conflitto. E in secondo luogo l’Unione Europea, che ha una grande occasione per avere una voce internazionale finora mancata.

Francesco Petronzio

Nella foto, il giornalista Rai Gianmarco Sicuro.

Pubblicato il 30 marzo 2023

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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