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Tutela dagli Abusi nella Chiesa. Griffini (Cei): «Non è un’app da installare, ma una dimensione costitutiva della Chiesa»

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griffini

Si è svolta mercoledì 28 maggio, presso Palazzo Borromeo a Roma, la presentazione della Terza Rilevazione Territoriale sulla rete per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili. L’evento, promosso dal Servizio nazionale per la tutela della Conferenza episcopale italiana e dall’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, ha rappresentato un importante momento di confronto e aggiornamento sul cammino compiuto dalle Chiese locali nella costruzione di ambienti sicuri, affidabili e relazionalmente sani. Il quadro che emerge restituisce l’immagine di una rete territoriale in progressiva crescita, capace di radicarsi sempre più nel tessuto ecclesiale attraverso percorsi formativi capillari, l’istituzione di équipe multidisciplinari e una visione integrale della responsabilità comunitaria.
A margine dell’incontro, il Sir ha incontrato Chiara Griffini, presidente del Servizio nazionale, per approfondire i contenuti emersi.

Presidente, in che modo la Terza Rilevazione contribuisce a consolidare una cultura della tutela come dimensione costitutiva della vita ecclesiale?
Contribuisce non solo alla crescita di una cultura, ma anche di un vero e proprio sistema organizzativo. Abbiamo constatato che la rete sta diventando sempre più capillare, sia a livello regionale che diocesano. È cresciuta la presenza delle équipe come metodologia di lavoro: accanto alla figura del referente prevista dal regolamento, si vanno affermando gruppi di professionisti capaci di adottare un approccio transdisciplinare. Le diverse competenze presenti all’interno di queste équipe contribuiscono a costruire uno sguardo integrato, capace di leggere il contesto ecclesiale nella sua complessità.

La partecipazione dei Servizi diocesani ha raggiunto il 94,2% del totale. Come leggere questo dato alla luce della volontà di costruire una rete realmente nazionale?
Si tratta certamente di un dato rilevante. Ma la vera sfida non è solo ampliare la partecipazione: è mantenerla nel tempo. La tutela deve diventare un’esigenza permanente, un tratto strutturale della missione ecclesiale. Non deve essere vissuta come un’app da installare e disinstallare, ma come una dimensione continua e costitutiva della vita ecclesiale.

Crescono le iniziative formative e le richieste di ascolto. Quali elementi indicano oggi un’effettiva maturazione del sistema?
Il punto di partenza è stata un’azione di sensibilizzazione che ha coinvolto indistintamente clero, religiosi e laici. Da qui si è passati a una formazione sempre più specifica per contesto, ispirata ai modelli preventivi situazionali offerti dalla letteratura scientifica. La formazione è dunque chiamata a diventare parte integrante del vissuto ecclesiale, non una fase separata. L’ascolto, inoltre, si conferma come elemento centrale: uno strumento decisivo per superare silenzio, vergogna e paura.

Quali sono i principali criteri che guidano i percorsi formativi rivolti agli operatori ecclesiali?
Il primo criterio è quello di rendere possibile la parola su un tema doloroso come l’abuso, in tutte le sue forme e conseguenze. Si tratta di un lavoro che unisce conoscenza e metodo: valutazione continua dei fattori di rischio e rafforzamento dei fattori di protezione, a beneficio non solo dei minori e degli adulti vulnerabili, ma dell’intera comunità cristiana, con particolare attenzione alle figure di responsabilità.

In quali ambiti si avverte oggi con maggiore urgenza l’esigenza di rafforzare la rete dei Servizi?
La rilevazione evidenzia due ambiti prioritari: le parrocchie e i luoghi di formazione alla vita consacrata e al ministero presbiterale. L’auspicio è che, anche attraverso il nuovo sussidio delle buone prassi – pubblicato con le Edizioni San Paolo – questa azione di prevenzione e di promozione del bene possa radicarsi ulteriormente nelle comunità. Far sentire la Chiesa come casa sicura significa anche renderla un luogo affidabile per le famiglie, perché ogni minore ha una famiglia alle spalle.

Come valutare il dato dei 781 incontri formativi con oltre 22.000 partecipanti nel biennio?
Un numero che testimonia un cambiamento culturale in atto. Tuttavia, oltre alla quantità, è fondamentale assicurare continuità e profondità. Formare chi si occupa di tutela significa anche accompagnare la loro vocazione ecclesiale e renderli strumenti attivi nella promozione di ambienti sani e responsabili.

Andrea Regimenti

Nella foto, Chiara Griffini (foto Calvarese/SIR)

Pubblicato il 4 giugno 2025

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