Crisi Thailandia-Cambogia. Mons. Arpondarattana: «La pace nasce da cuori riconciliati, non da confini armati»
La Chiesa cattolica thailandese, attraverso mons. Arpondarattana, esprime profonda preoccupazione per il conflitto al confine con la Cambogia. Mentre cresce il numero delle vittime e degli sfollati, le comunità cattoliche offrono aiuti concreti e spirituali. “La pace - ribadisce il presule - nasce da cuori riconciliati, non da confini armati” Le tensioni al confine ci preoccupano profondamente. Come Chiesa, siamo chiamati a resistere alle ideologie che dividono e a costruire ponti di fraternità”. Con parole misurate ma ferme, mons. Francis Xavier Vira Arpondarattana, presidente della Conferenza episcopale thailandese, commenta la crisi in corso lungo la frontiera con la Cambogia. Mentre il conflitto rischia di colpire duramente le comunità più fragili, la Chiesa si fa prossimità, preghiera e voce di pace.
Eccellenza, come interpreta la Chiesa cattolica thailandese questo momento di tensione militare al confine?
La Chiesa cattolica thailandese guarda con profonda preoccupazione all’attuale tensione militare lungo il confine, interpretandola alla luce della Dottrina sociale della Chiesa, che pone al centro la dignità umana, la pace e la giustizia. La Chiesa è pienamente consapevole che le dispute di confine, sebbene presentate come mere questioni territoriali, sono spesso sfruttate a fini politici. Osserviamo come queste tensioni possano essere manipolate per alimentare sentimenti nazionalisti, distogliere l’attenzione pubblica da problemi interni e servire gli interessi di determinati attori politici. Questa manipolazione ostacola gli sforzi autentici verso una risoluzione pacifica e uno sviluppo sostenibile, perché antepone l’opportunismo politico a breve termine al benessere duraturo della popolazione.
Cosa teme la Chiesa rispetto alla strumentalizzazione del conflitto?
La Chiesa mette in guardia costantemente contro i pericoli di un nazionalismo estremo che può portare alla divisione e al conflitto, invece di favorire un senso di umanità condivisa e di cooperazione regionale. Riconosciamo che molte delle radici di conflitti di confine, incluso quello attuale, sono profondamente intrecciate a complessità storiche, spesso derivanti da accordi e mappe dell’epoca coloniale che non hanno rispettato le realtà locali o i confini tradizionali.
Queste eredità storiche generano sfide articolate, che non possono essere risolte con soluzioni semplicistiche o con atteggiamenti aggressivi. Comprendere questo contesto storico è essenziale per progredire verso una riconciliazione autentica e soluzioni eque, che riconoscano il passato e costruiscano un futuro più pacifico.
Chi soffre maggiormente per queste tensioni?
Sono le persone comuni, soprattutto quelle che vivono nelle aree di confine, a diventare le prime vittime. Subiscono sfollamenti, perdono i mezzi di sussistenza e vivono costantemente sotto la minaccia della violenza. La Chiesa ritiene che le politiche ultranazionaliste rappresentino una trappola pericolosa, che ostacola lo sviluppo nazionale e soffoca lo spirito di apertura e di fratellanza tra i popoli. La nostra fede ci chiama a riconoscere la dignità intrinseca di ogni essere umano, indipendentemente dalla nazionalità o etnia, e a costruire un mondo dove tutti possano vivere in pace e rispetto reciproco. Dobbiamo resistere alle ideologie che dividono e favorire invece una cultura della solidarietà e della fraternità autentica.
Qual è la priorità della Chiesa in questo momento?
È una preoccupazione critica per noi. Vediamo che l’escalation del conflitto spesso serve interessi politici immediati, mettendo in secondo piano il bisogno fondamentale di soluzioni sostenibili a lungo termine. La vera pace richiede un impegno ad affrontare le cause profonde della tensione, che possono includere disuguaglianze economiche, allocazione delle risorse e risentimenti storici non risolti. La Chiesa sostiene con forza il dialogo, la negoziazione e la mediazione internazionale come vie per una pace duratura, in alternativa ad azioni miopi che perpetuano cicli di violenza e instabilità.
Quali sono le principali priorità pastorali per sostenere le comunità colpite?
Le nostre priorità pastorali si concentrano sul fornire aiuti immediati, conforto spirituale e sulla difesa della dignità umana. Le comunità cattoliche locali presenti nelle zone di confine sono in prima linea nella risposta pastorale. La nostra priorità immediata è garantire assistenza umanitaria a chi è stato colpito dal conflitto, comprese persone sfollate e famiglie vulnerabili. Questo comporta l’offerta di alloggi, cibo, medicinali e altri beni essenziali.
Chi coordina questo impegno sul campo?
Il Catholic Office for Emergency Relief and Refugees (COERR), istituito dalla Conferenza episcopale thailandese, ha un ruolo fondamentale nel coordinare e distribuire gli aiuti. I nostri sacerdoti, religiosi e volontari laici visitano attivamente le comunità colpite, offrono sostegno spirituale, ascoltano le esperienze vissute e portano una presenza di solidarietà e speranza in mezzo alla sofferenza. Siamo impegnati ad alleviare il loro peso fisico ed emotivo.
Che ruolo ha la preghiera nella risposta della Chiesa?
La preghiera per la pace è una pietra angolare della nostra risposta. Crediamo nella forza della preghiera per trasformare i cuori e le situazioni. Messe speciali, veglie di preghiera e rosari sono organizzati nelle parrocchie di tutta la Thailandia per intercedere affinché cessino le ostilità e si raggiunga una pace duratura. Oltre alla preghiera, la Chiesa condanna senza mezzi termini ogni atto di violenza contro i civili.
Ribadiamo che il diritto internazionale umanitario deve essere rispettato e che i non-combattenti – inclusi donne, bambini e anziani – devono essere sempre protetti. Rivolgiamo un appello a tutte le parti coinvolte affinché esercitino moderazione e pongano la sicurezza e il benessere della popolazione civile al di sopra di ogni altra cosa. Questa posizione nasce dalla nostra convinzione nella sacralità della vita umana.
State pianificando ulteriori iniziative umanitarie o atti di solidarietà?
Le iniziative di preghiera sono già in corso. Diocesi e parrocchie stanno promuovendo attivamente la preghiera per la pace, sia a livello individuale che comunitario. Ciò include intenzioni specifiche durante le Messe quotidiane, rosari comunitari e momenti di adorazione dedicati alla pace al confine. Incoraggiamo anche le famiglie a pregare insieme per la pace nelle loro case. Per quanto riguarda la risposta umanitaria, ci stiamo concentrando sugli aiuti d’emergenza per chi è stato colpito direttamente dalla recente escalation. Il COERR e i centri d’azione sociale diocesani stanno mobilitando risorse per fornire cibo, acqua, ripari temporanei e assistenza medica.
E sul medio-lungo periodo?
Sebbene siamo pronti all’emergenza, la nostra pianificazione a lungo termine per interventi umanitari estesi è attualmente limitata. Preghiamo e speriamo sinceramente che il conflitto venga risolto in tempi brevi e non si trasformi in una guerra prolungata. Condividiamo la speranza diffusa che il governo thailandese, insieme alla mediazione internazionale, agisca efficacemente per ridurre le tensioni e raggiungere una risoluzione rapida e pacifica, prevenendo ulteriori sofferenze e sfollamenti. Tuttavia, se la situazione dovesse purtroppo cambiare e portare a una crisi protratta, la Chiesa è pronta ad adattare la sua risposta e sviluppare programmi più strutturati e duraturi.
Esistono contatti con la Chiesa cattolica in Cambogia?
Assolutamente sì. La Conferenza episcopale cattolica della Thailandia mantiene legami attivi e profondamente fraterni con la Chiesa cattolica in Cambogia. Siamo in contatto regolare con i nostri omologhi, condividendo informazioni, preoccupazioni e sostenendoci a vicenda nelle rispettive missioni pastorali. Questa relazione si fonda su una fede condivisa e su una lunga storia di cooperazione. I rapporti tra le nostre due Conferenze episcopali sono profondi, fraterni, consolidati da anni di collaborazione. Siamo in contatto costante con i vescovi della Cambogia, condividiamo informazioni, preoccupazioni, preghiere. Un esempio concreto di questa solidarietà è la presenza di quattro missionari thailandesi che operano in varie diocesi della Cambogia, contribuendo alla crescita e alla missione pastorale della Chiesa locale. Questo scambio di personale rafforza la comprensione reciproca e rinsalda i legami tra le nostre due Chiese, soprattutto in un tempo come questo, segnato dalla tensione.
Che messaggio desidera rivolgere alla comunità internazionale e alla Chiesa universale?
Il messaggio principale che desideriamo trasmettere è un fervente appello alla pace. La pace non è semplicemente assenza di conflitto, ma presenza di giustizia, rispetto per la dignità umana e riconciliazione. È un’aspirazione universale, e invitiamo tutte le persone di buona volontà a lavorare in questa direzione. Tutto comincia dal rispetto delle regole internazionali, evitando danni ai civili anche in tempi di guerra. Esortiamo la comunità internazionale e tutte le parti coinvolte a rispettare rigorosamente il diritto internazionale, in particolare il diritto umanitario. Questo include il principio fondamentale della protezione delle vite civili e delle infrastrutture durante i conflitti armati. Anche in tempo di guerra, esistono limiti morali e legali che non devono mai essere superati. Gli attacchi ai non-combattenti sono inaccettabili e rappresentano gravi violazioni della dignità umana.
Come superare la spirale della violenza?
Sosteniamo con forza il dialogo e la negoziazione come mezzi principali per risolvere i conflitti. La violenza genera solo altra violenza e sofferenza.Invitiamo a intensificare gli sforzi diplomatici, promuovere una mediazione imparziale e mantenere canali di comunicazione aperti tra tutte le parti, per giungere a una soluzione giusta e duratura. È attraverso il dialogo rispettoso che si costruisce comprensione e si possono trovare soluzioni sostenibili.
Cosa può fare la Chiesa universale?
Chiediamo di promuovere la dignità umana con azioni concrete. Questo significa destinare risorse agli aiuti umanitari per chi è colpito dal conflitto, favorire la cooperazione economica che porti beneficio a tutti, e investire in iniziative che costruiscano ponti di comprensione e solidarietà tra nazioni e popoli. La vera sicurezza e prosperità non si fondano sulla forza militare, ma sullo sviluppo condiviso, sul rispetto reciproco e sull’impegno per il bene comune. Crediamo che gli atti di carità e solidarietà possano vincere le divisioni seminate dalla violenza e aprire la strada a un mondo più fraterno.
Riccardo Benotti
Pubblicato il 28 luglio 2025
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