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«L’Italia va al voto», mostra al Farnese

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“Anni di stravolgimenti, di voglia di rinascere, di grandi passioni”, lo storico piacentino Ippolito Negri definisce così il periodo in cui gli Italiani accorrono alle urne dopo la fine del secondo conflitto mondiale decretando la nascita della Prima Repubblica.
A fare memoria di un cruciale snodo storico- sociale del nostro Paese è la mostra “L’Italia va al voto 1945-1953”: una straordinaria selezione di materiali conservati e scelti dal fotografo Maurizio Cavalloni, esposta dal 25 maggio scorso allo spazio mostre di Palazzo Farnese e visitabile il
venerdì , il sabato e la domenica dalle 10 alle 18 fino al 23 luglio. C’è ancora qualche giorno quindi, un ultimo weekend per immergersi tra simboli e immagini che hanno fatto la Storia d’Italia, un’opportunità assolutamente da non perdere. Non si stratta di fotografie, ma di 120 manifesti che raccontano gli uncini dialettici delle battaglie elettorali di un’Italia decisa ad essere protagonista della propria riconquistata democrazia. L’iniziativa è sostenuta dal Comune, la Fondazione di Piacenza e Vigevano, Editoriale Libertà, l’Associazione Cattolica Internazionale al Servizio della Giovane e il Cif.

Le amministrative del 1946
Si parte dalle prime amministrative del 1946 a Carpaneto, Fiorenzuola e poi Piacenza, fino al grande appuntamento del 2 giugno per la scelta tra monarchia e Repubblica e poi per la Costituente; si arriva all’apice dello scontro politico nelle elezioni del’48, con la geniale immediatezza anti-russa di Giovannino Guareschi; poi le nuove amministrative del 1951. La mostra si chiude con la seconda tornata elettorale del 1953, perché con l’avvento della televisione la grafica cambia radicalmente.
“Con la sua collezione Maurizio Cavalloni - ha spiegato Negri, curatore della mostra - è riuscito a mettere insieme un prezioso patrimonio storico e grafico, il ritratto di un’Italia che non dobbiamo dimenticare. Il minimo comune denominatore di tutti gli appuntamenti elettorali era la passione, il ritrovato desiderio di partecipare al gioco della politica”.
“Soprattutto nella campagna elettorale del ’46, con il primo suffragio universale e le donne per la prima volta alle urne - continua lo storico - il richiamo a votare fu protagonista. Le prime elezioni democratiche si svolgono infatti ancora sotto l’egida del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), con i diversi partiti uniti dallo spirito antifascista. Poi opposizioni e passioni tra le parti politiche si accentuano, fino al duro scontro del ’48 tra Democrazia Cristiana, filo-americana, e Partito Comunista, filo-sovietico. Dopo il ’48 la contrapposizione sarà ancora forte, ma il pericolo rosso sempre meno sentito”.

Una battaglia di carta
Un panorama complesso e composito che si traduce in sferzante battaglia di carta combattuta sui muri, perfino quelli degli edifici monumentali dove solitamente le affissioni non erano consentite. Una sfida di simboli e slogan, tanto più grandi quanto più si ritiene siano efficaci, di cui le pareti dello spazio mostre di Palazzo Farnese diventano il perfetto palcoscenico.
“Io non voto!”, raglia un asinello ritratto davanti ad una lavagna, confessando la propria ignavia e strappando un sorriso al pubblico. Sullo stesso tono il sagace avvertimento in rima: “Se non voti, gatto baffone del Comun farà un boccone”: il “gatto”, pronto a impadronirsi del potere facendosi beffa dei bisogni dei cittadini, troneggia a tutto campo su un manifesto a sfondo giallo.
Chi poi non ricorda slogan ancora oggi rimasti tra i più celebri di Giovannino Guareschi? “Nel segreto della cabina, Dio ti vede Stalin no!”. E: “Vai a votare! Mentre tu dormi Stalin lavora!”, proverbiali motti elettorali accompagnati da inconfondibili disegni evocativi, che passeggiando tra una parete e l’altra dell’esposizione rimangono scolpiti nella memoria.

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Lo scontro tra Dc e Fronte popolare
La guerra di simboli e di partito si fa infuocata nella campagna elettorale del
48, lo scontro vero si consuma tra Democrazia Cristiana e Fronte Democratico Popolare per la libertà, la pace e il lavoro, che unisce comunisti e socialisti, massimalisti di Nenni sotto il simbolo italiano di Garibaldi. Gli altri partiti, Partito d’Azione, Liberali, Repubblicani, Monarchici, Socialisti moderati, sono presenti nei manifesti con accorati richiami alla “salvezza della patria” contro il bolscevismo, ma destinati a non incidere sul risultato elettorale. Rimangono quindi Democrazia Cristiana e Fronte Popolare gli effettivi protagonisti della scena, con manifesti, slogan e vignette che spesso rispondono alla controparte. La Dc esalta gli aiuti americani, fautori della rinascita italiana post-bellica; il Fronte parla di “ricatto dello stomaco”. Dietro l’eroe stellato Garibaldi si nasconde il temibile volto del dittatore Stalin, avverte la Democrazia Cristiana; dall’altra parte il Fronte Popolare sovrappone il simbolo della Democrazia Cristiana alla croce uncinata del partito nazista. “Tutti uniti contro i servitori di Truman”, recita un sarcastico manifesto ad opera del Fronte Popolare: Mario Scelba, Luigi Einaudi, Carlo Sforza sono i demoniaci burattini di cui il presidente americano tira i fili. Viceversa chi si opponeva a Truman e ai suoi seguaci sono i “trinariciuti” inventati e disegnati da Giovannino Guareschi, comunisti a cui la terza narice serve per far arrivare direttamente al cervello i comandi del Partito.
Il Fronte Popolare esorta a votare il simbolo di Garibaldi per la pace d’Italia e il lavoro, mentre la Democrazia Cristiana dipinge l’Italia del
48 al bivio tra “agitazioni, guerra, miseria” e “chiesa, famiglia, lavoro”.
Erano anni di comizi infuocati e continui, a garantire l’ordine ci pensava la cospicua presenza delle forze di polizia. Volantinaggi massicci e massivi impegnavano volontari, Comitati Civici e associazioni cattoliche, con piogge di carta fatte cadere nelle piazze e tra la gente.
Generosa documentazione di un tempo in cui votare era sentito non solo un diritto, ma anche un dovere civico, la mostra suona come un monito attualissimo a classe politica ed elettori di oggi, costretti a fare i conti un astensionismo mai così alto.

Micaela Ghisoni

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Nelle foto, immagini della mostra  "L'Italia va al voto” a Palazzo Farnese.

Pubblicato il 18 luglio 2023

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Sottocategorie

  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

    uslam


    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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