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Baliani porta Veleia a Xnl omaggiando Calasso

atteone

Un uomo sta solo, seduto su una seggiola di legno, vestito di nero come il buio che circonda l’alone di luce che lo inquadra e dà colore al suo viso e alle mani gesticolanti. Dietro di sé gli alberi, uno manca perché è stato segato. Il vedo-non vedo della luna che si nasconde fra le nuvole domina il cielo in un’estate incerta. E in silenzio più di trecento coppie di orecchie ad ascoltare. È l’ambientazione che, a occhi chiusi, si è cercato di ricreare per fingere di essere in alta Valchero, nella serata di martedì 25 giugno. L’uomo solo è l’attore Marco Baliani, gli alberi di Veleia mancano, in realtà, a palazzo Xnl, dove il monologo del Festival di teatro antico è stato spostato per evitare la pioggia. Il riadattarsi non è stato un problema, la prima nazionale di “Quando gli dèi erano tanti”, pensata proprio per la “cisterna” dell’area archeologica, è riuscita a sopperire anche a quell’atmosfera che un luogo chiuso di pianura di solito non riesce a regalare. Un luogo non anonimo, come ha ribadito anche Paola Pedrazzini in apertura, perché è lì che sono nati Antigone, Edipo e Ifigenia. I primi due, tra l’altro, “costruiti” dallo stesso Baliani. Il terzo, rappresentato qualche sera fa, affidato a Fausto Russo Alesi. In tutti i casi, con gli allievi di Bottega Xnl.

Il panismo di Atteone

La narrazione che Marco Baliani ha voluto dedicare alle scritture di Roberto Calasso, con la regia di Maria Maglietta, parte dalla Reggia di Caserta. In particolare, dalla fontana di Diana (Artemide) e Atteone. Il cacciatore che diventa cervo e non può raccontare la nudità della dea, e da cervo diventa vittima dei suoi stessi cani fedeli. Una fine straziante, il suo corpo non verrà mai più ritrovato. Ma è meglio una vita da cervo o una vita ripetitiva? Atteone corre, vorrebbe essere preda di Artemide, unirsi a lei in modo “bestiale, infantile”. Ma il suo timido desiderio d’amore lo conduce alla morte. Baliani diventa Atteone nel racconto di una scampagnata insieme a Maria – il cui ruolo non viene specificato – alla ricerca di funghi nella zona di Rifreddo, in Basilicata. Solo un terremoto improvviso fa fuggire i cinque cani magri e affamati e gli evita lo sbranamento. «Piangevo per quel che mi era accaduto – dice Baliani in scena – che non riuscivo a nominare. Sentivo di colpo che quei cavalli al galoppo, quella muta di cani, quel bosco fremente facevano parte di un tutto e parlavano una lingua che a me ormai era preclusa. Sì, erano parte di un tutto che io non riuscivo neanche a nominare». La sensazione panica, che gli antichi attribuivano al passaggio di un dio, fa entrare nel mistero il protagonista di questa storia – non si sa quanto vera – che non tornerà mai più come prima.

Desideri “facili”

Ovidio, Leopardi, Hillman, Rilke, Conrad, Brodskij e Pavese aiutano Baliani a rimarcare i crocicchi della vita. Nel monologo si tocca il tema dell’ascolto, che manca nel mondo frenetico di oggi, c’è la giovinezza che svanisce in un batter d’occhio, c’è il desiderio «fomentato dagli occhi» che «ha perso consistenza, la sua forza originaria». Il messaggio è che, in un mondo di desideri tutti facilmente realizzabili, non esista più il vero desiderio, ovvero quello che «non si deve raggiungere per forza». E poi c’è la genealogia, l’ascendenza, la famiglia, l’«a chi appartieni?» che al mezzogiorno d’Italia si chiede agli ospiti – «sotto le spoglie del forestiero può celarsi un dio, quindi è buona cosa accoglierlo» – ma non ai migranti che sbarcano sulle coste della penisola. A Samotracia il forestiero è Cadmo, seduto al banchetto del sovrano Emazio, e racconta la sua storia per sedurre Armonia, la donna che Zeus gli aveva promesso.

Cadmo restituisce la divinità a Zeus

Cadmo, sui monti della Cilicia, cerca la sorella Europa, rapita o fuggita con un toro bianco. A mandarlo, insieme ai suoi fratelli, il padre fenicio Agenore. Ma il tempo si ferma, il vento cessa di soffiare, la terra trema, la sostanza si svuota, la natura si increspa. Tutto è immobile, non c’è un filo d’aria. Cadmo è davanti alla grotta di Tifeo, il mostro dalle cento teste di serpente. A terra Cadmo vede l’enorme corpo vuoto di Zeus. Le sue folgori sono raccolte in un fascio come legna da ardere e i nervi del suo corpo sono stati recisi, abbandonati qua e là, ancora lampeggiano luminescenti nel buio. I giovani dèi dell’Olimpo dovevano lottare ogni giorno per liberarsi delle metamorfiche creature – figlie degli accoppiamenti di Gea – che fino ad allora avevano governato il mondo. È stato proprio Tifeo, su ordine della vendicativa madre Gea, a recidere i nervi al re degli dèi mentre si accoppiava con Pluto e a portarlo, “svuotato”, nella spelonca. Con Zeus svuotato si svuota anche l’Olimpo, il caos domina e la natura degenera. L’odio si mischia all’amore, l’amicizia al tradimento. Cadmo sa che deve sconfiggere il mostro, non sa che sta diventando semidivino, ma sa cosa deve fare. Non fugge, è davanti al destino e decide di immergervisi. Si aggrappa allo zufolo e il mostro è incantato dal suono meraviglioso. Lo sfida. E l’astuzia di Cadmo vince, si fa donare i nervi di Zeus e vi costruisce una cetra. Tifeo è ammaliato da quel suono e si addormenta, così Cadmo entra nella caverna e restituisce i nervi a Zeus, che immediatamente si ricompone e colpisce il mostro con una saetta, spedendolo nel Tartaro.

L’uomo sconfigge gli dèi e sfregia la natura

La consapevolezza di Cadmo è quella degli uomini attenti a ciò che succede intorno. La musica è quella con cui Orfeo trasforma le sirene in scogli. «È tecnica pura, ma quella voce che esce è più divina della natura, da quel momento la natura non canterà più e non incanterà più. E quando la natura non incanta più vuol dire che è disabitata, nessun dio la abita più. Ed ecco che gli esseri umani possono farne quello che vogliono, la possono assoggettare, modificare, sfregiare, quello che stiamo facendo allegramente da più di duemila anni. Il mito ci racconta proprio questo: un essere mortale ha permesso alla divinità di riprendere il suo posto, non accadrà più una cosa del genere nella storia degli dèi».

pubb

La scrittura “ferma” i miti

Al matrimonio di Cadmo e Armonia sono invitati tutti gli dèi, riconoscenti verso quel mortale che ha restituito loro la dignità. Portano regali strepitosi. Zeus mette nella mano di Cadmo il suo regalo: è l’alfabeto, «sigillo di un silenzio che non tace». «Zeus mette in crisi l’essenza stessa dell’Olimpo» perché dà a Cadmo la possibilità di “fermare” i miti; «e così Cadmo, un immigrato, consegna agli esseri umani d’Occidente la scrittura». Gli dèi perdono sostanza. «Passeranno molti secoli, e poi dovrà arrivare una nuova divinità che userà l’alfabeto per mostrarsi al mondo: e così arrivano le tre religioni del libro, le tre religioni del Mar Mediterraneo, che dettano attraverso la scrittura la propria presenza divina. Sono religioni uniche, non più variabili, gerarchiche, verticali». Ma «è sempre una parola parlata a interpretare le scritture» e sono sempre le interpretazioni a mettere il mondo in crisi. «Può accadere che in popoli scarsamente democratici arrivi il dittatore di turno con la sua voce suadente, ma la stessa voce può accadere anche in popoli che la democrazia ce l’avevano, ma che la perdono proprio grazie alla fantasmagoria paranoica con cui una voce può trascinare un’intera nazione».

Francesco Petronzio

Nelle foto: Marco Baliani e il pubblico presente a Xnl.

Pubblicato il 26 giugno 2024

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