Capuozzo: non il sangue ma una convivenza democratica può portarci ad un futuro migliore
La guerra è un tema che, volente o nolente, oggi interessa a tutti. Fino al 2022 di guerre ne sentivamo parlare, il Papa non smetteva di fare appelli, ma non ci sentivamo chiamati in causa. Il mondo, o almeno la nostra concezione del mondo, è cambiata radicalmente prima il 24 febbraio 2022, quando la Russia invase l’Ucraina, riaccendendo un conflitto mai terminato, e poi il 7 ottobre dell’anno successivo, quando Hamas colpì Israele. Due trasformazioni brusche, due terribili tragedie che ci hanno catapultato in una nuova visione della guerra, che hanno impaniato la nostra realtà e proprio per questo abbiamo bisogno di sapere cos’è la guerra.
È proprio “Cos’è la guerra” il titolo del libro di Toni Capuozzo, che il 7 novembre ha presentato nell’auditorium del comune di Podenzano, gremito di persone, tanto da rendere necessario l’allestimento di un maxischermo nella biblioteca comunale. Toni Capuozzo conosce la guerra, sa bene cos’è un conflitto, sono più di quarant’anni che segue le guerre dal campo. Quale voce più autorevole e capace per fornire l’ABC dei conflitti, per spiegare con la sua consueta schiettezza quali sono le cause e quali sono gli aspetti fondamentali di una guerra. Toni Capuozzo dialoga con grande disponibilità, è pronto a spiegare e ad informare, e la lunga e bella conversazione avuta con lui è stata un’occasione di imparare a guardare la guerra con occhi diversi, con gli occhi di un uomo che ha dedicato la sua carriera e la sua vita a raccontarla.
Dott. Capuozzo, il suo libro “Cos’è la guerra” è rivolto in special modo ai ragazzi. Perché è così importante informare le nuove generazioni e spiegare ai più piccoli cos’è una guerra e come le è nata l’idea di fare informazione ai ragazzi?
Oggi siamo tutti ragazzi di fronte alla guerra, tutti. Mio padre ha vissuto due guerre mondiali, una da bambino ed una da adulto, e come lui tutti nostri padri, nonni, bisnonni. Abbiamo avuto la grande fortuna di nascere e di crescere in un lungo periodo di pace, ma oggi la guerra fa un rumore sempre più vicino a noi. Prendiamo come esempio il cambiamento climatico, oggi tutti noi stiamo imparando nuovi concetti, nuovi termini, ci stiamo adeguando e la stessa cosa vale per la guerra, dobbiamo imparare ad avere dimestichezza con la guerra, soprattutto perché i due conflitti che oggi ci interessano maggiormente sono molto diversi dalle guerre passate, dal Vietnam alle guerre africane, dall’Afghanistan ai Balcani, perché queste due guerre ci coinvolgono, se non altro perché la guerra in Ucraina si sta combattendo anche con le nostre armi e perché la guerra in Medioriente tra le mille preoccupazioni che ci fornisce c’è quella commerciale, che ci riguarda in prima persona. Il libro è senz’altro scritto con un taglio il più possibile obiettivo e con un linguaggio piano, accessibile ai ragazzi, ma anche perché dobbiamo iniziare a capire cos’è una guerra, quali sono le cause e le motivazioni che l’hanno generata, come si combatte, le possibili soluzioni: dobbiamo in qualche modo farci una nuova idea della guerra, che non sia quel ricordo non vissuto che ci ha accompagnato fino ad ora.
Rimaniamo sul tema dell’informazione e del racconto di una guerra. Nel mondo di oggi, iperconnesso e con un forte impatto dell’intelligenza artificiale, come racconta anche nel suo libro, le fake news rischiano di fornirci visioni distorte di quanto succede, specialmente nei conflitti, e siamo continuamente bombardati da informazioni di qualunque tipo; in questa situazione come possiamo informarci coscienziosamente, senza cadere in questa manipolazione?
Bisogna creare una visione critica, un pensiero critico, informandosi a trecentosessanta gradi, confrontando le fonti e non prendendo nulla come verità rivelata; è brutto da dire ma oggi dobbiamo essere più diffidenti di quanto era necessario esserlo in passato. Se fino a non troppi anni fa l’informazione era solamente il racconto di una guerra, oggi è diventata un settore stesso della guerra: la guerra di oggi si combatte anche a colpi di notizie vere o false, di notizie abbellite per l’occasione, a colpi di titoli di giornale e a colpi di immagini trasformate ad hoc. Io credo che l’unico modo per difendersi da questa guerra di informazione sia di lavorare con la propria testa. Ogni guerra è una tragedia, una carneficina di civili: i civili muoiono in Ucraina, ed è uno degli aspetti più brutti dell’aggressione di Mosca, ma non possiamo pensare che non muoiano nel Donbass, Hamas colpisce obiettivi civili, ma anche Israele, quando non colpisce obiettivi civili, fa vittime civili. Io ho seguito guerre stando dal lato opposto al nostro, penso all’Afghanistan nel 1999 o alla Tripoli di Gheddafi, e ho sperimentato che anche noi (l’Occidente ndr) abbiamo ucciso civili. La conclusione è che la guerra, qualunque siano le ragioni alle spalle o le parti in conflitto, sono una carneficina di civili. Occorre sempre ragionare su ciò che accade.
Anche in Italia, seppur non coinvolta direttamente nei conflitti, soffiano venti di guerra, o per meglio dire, soffiano pochi venti di pace. Sentiamo ogni giorno parole d’odio, vediamo manifestazioni violente. Gli Stati non coinvolti direttamente nei conflitti si dichiarano favorevoli alla pace, ma aumenta continuamente la spesa militare, come chiesto anche dal neosegretario della NATO, Mark Rutte. Questo “si vis pacem para bellum” dell’Occidente non è una contraddizione?
È certamente una contraddizione ma non dobbiamo stupirci che a parlare di pace vera e propria siano praticamente solo Papa Francesco e pochi altri. Tutti gli altri aggiungono l’aggettivo “giusta” che rende praticamente impossibile la pace: pace giusta per un abitante di Gaza è una cosa, per un abitante di Gerusalemme è un’altra cosa, per gli ucraini ha un significato, per i russi è l’esatto contrario. La pace giusta è innanzitutto quella possibile, a portata di mano e dobbiamo capire che la pace oggi è cambiata come sono cambiate le guerre. Noi abbiamo vissuto la pace che ha seguito la Seconda guerra mondiale con gli Stati sconfitti, l’Italia, la Germania e il Giappone che hanno vissuto miracoli economici e una rinascita democratica, con ex nemici che si rispettano e collaborano, quello è stato un addio alle armi. Le guerre odierne hanno spesso uno sfondo etnico o religioso, che è ciò che rende difficile la riconciliazione. Pensiamo ai Balcani, la pace di oggi non è un addio alle armi, e in Ucraina e in Medioriente quello a cui si può ambire è un “cessate il fuoco”, non la pace con la stretta di mano tra capi di governo. La pace oggi è una preghiera o una parola molto difficile da pronunciare.
Proprio in questo clima così frammentato e martoriato dall’odio etnico e religioso sono in tanti a mettere in discussione il ruolo e l’esistenza stessa dell’Onu. Secondo lei è ancora attuale la missione di questa organizzazione oppure il mondo è così diviso e frammentato da non rendere possibile una diplomazia che coinvolga 193 Stati?
Dovrebbe essere attuale, ci piacerebbe e sogneremmo tutti che lo fosse, ma non lo è. Non lo è perché le Nazioni Unite hanno inanellato una lunga serie di fallimenti, non solo quello attuale in Medioriente, ma dal Libano alla Somalia l’ONU ha fallito cercando di imporre la smilitarizzazione senza avere gli strumenti necessari per farlo. Le Nazioni Unite nascono sulle ceneri della Società delle Nazioni, che non ha saputo evitare lo scoppio del secondo conflitto mondiale, e oggi ci sono le ceneri delle Nazioni Unite. Spesso affidiamo all’ONU la risoluzione di crisi che sono destinate a protrarsi nel tempo e purtroppo anche alcune agenzie diventano quasi dei pozzi senza fine che inghiottono soldi, progetti e sogni destinati a restare tali, dimostrando l’incapacità di creare una collaborazione tra Stati. Purtroppo, le Nazioni Unite oggi non sono quelle che abbiamo sognato che fossero, e questo per tante cause, come il peso del Consiglio di Sicurezza che blocca numerose decisioni o il sistema “un Paese un voto” che ha favorito il mercanteggiamento e la creazione di maggioranze precostituite che non hanno una reale volontà di risolvere le controversie internazionali.
L’attuale situazione demografica e le economie in forte sviluppo come quelle dei BRICS sembrano trasformare il ruolo e la potenza dell’Occidente nel mondo. È la fine della supremazia atlantica? È in corso un inarrestabile declino?
A mio avviso è improprio parlare di fine, ma sicuramente è in corso un declino che è dato soprattutto da questa grave crisi demografica che stiamo affrontando: basta mettere sui piatti della bilancia la popolazione dell’Unione Europea e quelle dei Paesi in via di sviluppo per capire che siamo una piccola minoranza, che seppur privilegiata e fortunata, rimane minoranza. Questo tema demografica si lega inevitabilmente alla più grande trasformazione che sta vivendo l’Occidente, ovvero le migrazioni, e proprio in questo si vede il declino di un Occidente che di gestirle, di integrare chi arriva o di mettere in atto una politica volta a controllare i flussi, ipotizza le posizioni più surreali e lontane da una reale soluzione. Un altro elemento che mette in crisi l’Occidente è quello militare, nonostante una nettissima superiorità tecnologica: le guerre di questo secolo spesso favoriscono l’esercito che sulla carta è più debole e tutti vediamo questo con Hamas, che non riesce ad essere sconfitta da uno degli eserciti più avanzati sulla faccia della Terra, quello israeliano; lo stesso è valso per l’Afghanistan dove i talebani, con armi artigianali e sandali, hanno sconfitto una coalizione con una trentina di Paesi della NATO. Questo declino militare è dato anche da una differenza di valori: oggi in Occidente, fortunatamente, diamo il più alto valore alla vita umana, che riteniamo sacra, distaccandoci dalle retoriche risorgimentali e della Prima guerra mondiale. Oggi noi, proprio per questo, siamo spiazzata di fronte al terrorismo suicida che ovviamente ci ripugna e mostra questa radicale distanza di valori. La forza dell’Occidente sono i diritti dell’individuo, della donna, delle minoranze, e rappresentiamo una sorta di oasi in un mondo in cui i diritti del singolo sono sconosciuti: questa è la responsabilità dell’Occidente, quella di tenere in alto la fiaccola dei diritti e della libertà, non la democrazia in astratto ma l’esempio di una società libera che può rappresentare la pietra d’inciampo per i dittatori: il muro di Berlino è caduto grazie alla forza dell’esempio di come si viveva a Berlino Ovest e noi dobbiamo tenere bene in mente questa lezione.
Mi piacerebbe concludere proprio collegandomi a questo, ai diritti e alla libertà. Questo cammino dei diritti deve essere la nuova ripartenza per un mondo migliore?
Sì, assolutamente. In Ucraina io trovo irrealistico un completo respingimento dei russi, e allora cosa può fare l’Ucraina? Può ricostruire un Paese democratico e libero, dove questa libertà può portare il cittadino a realizzarsi e a costruire il proprio futuro, ad aprire un’attività, ad esprimere la propria opinione: costruire questo esempio di libertà in Ucraina è un’arma molto più potente di tutti i missili, è un esempio che ad un regime autocratico reca molto più fastidio di un’offensiva, che, invece, inevitabilmente crea morte e distruzione, che non sono mai la soluzione. Occorre ripartire da questo: dalla libertà del singolo e della cultura democratica. Non il sangue, ma l’esempio di una convivenza libera e democratica può condurci ad un futuro migliore.
Francesco Archilli
Pubblicato il 9 novembre 2024
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