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“Avevo 40 anni ed entrai al Concilio”

per sito bettazzi mons. luigi crav prima foto

Tra i vari interventi a Piacenza nei suoi anni di impegno per la pace, mons. Luigi Bettazzi – il vescovo emerito di Ivrea e già presidente di “Pax Christi”, morto il 16 luglio a 99 anni di età - è stato anche protagonista di una delle serate per le manifestazioni antoniniane promosse dalla basilica del patrono con il parroco don Giuseppe Basini in collaborazione con l’Amministrazione comunale. Era il 2009, in occasione dell’incontro in Sant’Ilario per i cento anni dalla nascita del vescovo brasiliano Hélder Câmara, ucciso nel ‘99 per il suo impegno al fianco degli ultimi. Accanto al vescovo emerito di Ivrea, anche padre Luigi Muratori, che fu segretario di dom Câmara dal 1972 al 1985, e Gaia Corrao, collaboratrice de Il Nuovo Giornale, a lungo missionaria in Brasile.

Riproponiamo l’intervista che il nostro direttore, don Davide Maloberti, fece a mons. Bettazzi (sopra, nella foto di Cravedi) in vista di quella serata, pubblicata sullo Speciale Sant’Antonino.

Mantiene inalterata la carica dei suoi 40 anni quando divenne vescovo ausiliare di Bologna: trevigiano di nascita, bolognese di adozione, prete dal ‘46, docente di filosofia e teologia, mons. Luigi Bettazzi venne ordinato vescovo dal cardinale di Bologna Giacomo Lercaro, uno degli uomini- chiave del Concilio Vaticano II. E proprio al Concilio Bettazzi arrivò giovane vescovo, per diventare nel 1966 alla guida della diocesi di Ivrea. Nel 1968 è stato nominato presidente nazionale di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace, e nel 1978 ne divenne presidente internazionale fino al 1985. È stato presidente della commissione “Justitia et pax” della Conferenza Episcopale Italiana ed è una delle figure di riferimento per il movimento pacifista di ispirazione cristiana.

— Nel 1963 lei a 40 anni entrava al Concilio Vaticano II. Come ha vissuto questa esperienza?

È stata una grande esperienza, devo dire una grande grazia; è stata l’esperienza della Chiesa cattolica, universale, con la presenza attiva di vescovi di tute le razze e di tutte le culture. Ed io, vescovo giovane, mi rendevo conto che, se ufficialmente ero un Padre, vi entravo come un alunno. Un noto vescovo italiano ha spesso ripetuto che il Concilio è stato il suo secondo Seminario.

— C’è un fatto che ricorda in modo particolare?

Non posso dimenticare di essere stato involontariamente un piccolo protagonista quando, nel punto più alto della fervida discussione sulla collegialità episcopale, mi trovai – ad appena una settimana dalla mia ordinazione episcopale – a dover leggere, con una piccola inquadratura aggiunta, un intervento preparato da esperti (ed erano don Dossetti ed il prof. Alberigo) per il card. Lercaro e che lui, per motivi contingenti, non si sentì di leggere. Ne ricevetti perfino un applauso!

— Da allora sono passati più di 40 anni. Che giudizio dà oggi di quel grande avvenimento? Che cosa ha cambiato di fatto nella Chiesa?

Il Concilio ha portato molte innovazioni, innestate dalle quattro Costituzioni: da una più diffusa lettura della Bibbia (Costituzione “Dei Verbum”), ad una maggiore partecipazione alla liturgia (“Sacrosanctum Concilium”). Così la collegialità richiamata per i vescovi intorno al Papa si allarga ad una maggiore comunione all’interno del popolo di Dio, facendo risaltare la corresponsabilità del laicato (“Lumen gentium”). E si è invitati a guardare con fiducia e a collaborare con impegno al cammino terreno dell’umanità (“Gaudium et spes”). Si potrebbe pensare anche al risalto dato al valore della coscienza riaffermando il valore della libertà religiosa o alla sollecitazione rivolta all’ecumenismo.

bettazzi e camara

Il vescovo Bettazzi (a sinistra) con il vescovo brasiliano Camara.

— Lei al Concilio ha incontrato Hélder Câmara. Che ruolo ebbe il vescovo brasiliano durante il Vaticano II?

Conobbi dom Hélder Câmara soprattutto negli incontri informali sulla Chiesa dei poveri. Dom Hélder non ha mai parlato nell’aula, ma è stato attivissimo nel sollecitare l’attenzione sul mondo del sottosviluppo e sul compito della Chiesa di farsene portavoce e sostenitrice. Lo documentano le lettere che scriveva alla sua comunità di Rio de Janeiro (elaborate nella sua preghiera di tutte le notti) e che costituiscono un interessantissimo Diario del Concilio (in italiano: “Roma, due del mattino”, Ed. S. Paolo).

— Qual è l’eredità che Câmara ha lasciato alla Chiesa?

Câmara ha richiamato alla Chiesa ed ha portato nel mondo l’appello a farsi interprete della maggioranza dell’umanità, condannata al sottosviluppo dall’egoismo dei popoli più fortunati. Se Giovanni Paolo II è giunto a dire che il nuovo nome della pace è la solidarietà, lo si deve anche ai profeti del nostro tempo come dom Hélder Câmara.

— Per qualcuno lei è stato un Vescovo progressista. Ma come scriveva Ratzinger nel “Rapporto sulla fede” con Messori, non ci sono vescovi progressisti o conservatori, il cristiano è prima di tutto missionario. Che cosa ne pensa?

Il card. Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, aveva ragione: il cristiano (e tanto più il vescovo) è prima di tutto missionario, ovviamente nel proprio tempo. Leggendo che Gesù chiedeva ai suoi discepoli, inviati in missione (Vangelo di Luca 10, 9-10): “Mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano e dite loro: è vicino il regno di Dio”, ne concludevo che l’evangelizzazione (l’annuncio del regno) va preparata con la condivisione della vita e con lo spirito del servizio, dei cristiani e della Chiesa intera. Vorrei notare che “tradizione” viene dal latino “tradere”, cioè trasmettere, e non significa non cambiare, ma anzi saper capire come bisogna innovare la presentazione per accogliere le verità perenni.

— Lei ha seguito da vicino per diversi anni attraverso Pax Christi l’impegno dei cristiani per la pace. Che cosa la muoveva in quegli anni?

Ero stato inserito in quel Movimento dai miei superiori ed è da quei giovani che ho imparato come va vissuta e presentata la pace, che è -baccanto alla “gloria di Dio” - il grande compito della Chiesa e del cristiano. E Papa Giovanni ce l’aveva spiegato nella “Pacem in terris”, l’Enciclica che ha sospinto la Chiesa a quella missione, che Papa Giovanni Paolo II, nella “Sollicitudo rei socialis”, ha identificato come espressione attuale della carità.

— Che cosa deve fare, nel campo della pace, la comunità cristiana per non essere strumentalizzata sul piano politico?

La “Pacem in terris” ci ha dato le direttive dell’impegno: richiamare il valore, al di là delle varie discriminazioni, di ogni persona umana, e quindi rivendicare il diritto di ogni individuo e di ogni popolo a quanto è indispensabile per una vita dignitosa. Questo comporta il rispetto e la promozione per la libertà di ciascuno e di tutti, riconoscendo che la solidarietà non significa elemosina ma impegno di chi ha maggiori possibilità per promuovere i diritti dei più deboli. Sono principi radicati nel Vangelo: se ci richiamiamo chiaramente al Vangelo eviteremo il rischio della strumentalizzazione. Certo - diceva il carissimo mons. Tonino Bello - per “annunciare” dobbiamo anche avere il coraggio di “denunciare”, ed accettare anche il rischio di “rinunciare”.

Davide Maloberti

Intervista tratta dallo Speciale Sant’Antonino 2009 – edizioni Il Nuovo Giornale

Pubblicato il 20 luglio 2023

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