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Sidolo ricorda don Beotti: «Poniamo lo sguardo sul bene presente in ciascuno di noi»

 sidolo

“Quanto accaduto ci insegna che non possiamo dimenticare e rimanere indifferenti di fronte all’azione del male avvenuta nel passato, ma anche a quella presente nella nostra vita, nel mondo e nella chiesa di oggi, con la quale dobbiamo fare i conti fino al tempo della mietitura, ossia al compimento della storia”. Sono le parole del vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio don Giuseppe Basini, che ha presieduto la messa in memoria di don Giuseppe Beotti nella chiesa di Sant’Ambrogio a Sidolo di Bardi il 23 luglio.

Alla messa a Sidolo hanno concelebrato mons. Lino Ferrari, rettore del Seminario di Bedonia, don Mario Cappelletti, parroco di Pione, don Luigi Pini, parroco di Bardi, don Antonino Scaglia, parroco di Varsi, e il francescano padre Saul Tambini, parroco a Santa Maria degli Angeli di Assisi (la sua famiglia è originaria di Sidolo). Erano presenti il vicesindaco di Bardi Roberto Bertorelli, il sindaco di Vernasca Giuseppe Sidoli e il consigliere Salvatore Scafuto in rappresentanza del Comune di Piacenza; con loro, il vice brigadiere Fabio Calò, comandante interinale della Stazione Carabinieri di Bardi, le delegazioni dell’Associazione Nazionale Partigiani Cristiani di Piacenza (con il presidente Mario Spezia e Giuseppe Ardizzi), di Parma (presente con Vincenzo Genco), della Val Taro (con Ermanno Scagliola) e della Valmozzola (con Franco Tortoroli), le delegazioni dell’Anpi dell’Alta val Tidone (con Laura Lusardi) e di Bardi (presente con Marino Lusardi), il Gruppo Alpini di Bardi, Paola Tambini per la sezione Combattenti e Reduci di Bardi, Andrea Losi, presidente del Museo della Resistenza di Sperongia, e Roberto Spagnoli, delegato di Parma dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon.

Le prossime celebrazioni eucaristiche in preparazione alla beatificazione di don Beotti prevista per il 30 settembre sono: domenica 30 luglio ore 11.30 messa a Campremoldo  presieduta da don Claudio Carbeni; domenica 13 agosto ore 10 messa a Bedonia presieduta da mons. Massimo Cassola; martedì 15 agosto a Bobbio alle ore 18 con il vescovo mons. Adriano Cevolotto; domenica 20 agosto ore 11 a Borgotaro con mons. Massimo Cassola.

Otto martiri “scolpiti” nella pietra

La celebrazione ha tenuto viva la memoria della strage nazifascista del 1944 dove, oltre a don Beotti, morirono il seminarista Italo Subacchi, il parroco di Porcigatone don Francesco Delnevo e cinque civili in fuga da Borgotaro: Bruno Benci, Francesco Bozzia, Giovanni Brugnoli, Girolamo Brugnoli e Giuseppe Ruggeri. I nomi degli otto martiri della resistenza sono scolpiti nella pietra su una stele in marmo bianco posta fra la chiesa e il cimitero della frazione dell’alta Valceno.

Accogliere tutti senza distinzione

Il ricordo, ha detto don Basini nell’omelia, è importante “non tanto per interrogarci, come i servi della parabola, ‘da dove viene la zizzania’ o illuderci di poterla ‘sradicare’ in modo definitivo dal nostro cuore e da quello di chi appare ai nostri occhi un nemico, bensì per imparare da Dio a porre lo sguardo sulla bellezza del grano, cioè al bene presente in ciascuno di noi, nel mondo, nella chiesa e sulla necessità di prenderci cura di esso perché possa crescere e portare sempre più frutto. Come ha fatto don Giuseppe (Beotti, ndr), il quale non ha mai compiuto atti di violenza, anche a fin di bene, ma a immagine di Gesù Buon Pastore ha donato la sua vita per il gregge, facendo il possibile per difendere la vita e la dignità di tutti, nessuno escluso”. La generosità di don Beotti, ha ricordato il vicario generale, era nota a tutti. “Nel difficile periodo della guerra – prosegue l’omelia – don Giuseppe accolse e aiutò tutti, senza distinzioni, fossero inglesi, ebrei, partigiani, gente di ogni tendenza politica, soldati e prigionieri in fuga. Era cosciente del pericolo al quale si esponeva, ma la sua carità era più grande”.

messa con don Basini foto Giuseppe Mazzadi

Nella foto, la messa nella chiesa di Sidolo presieduta da don Giuseppe Basini (foto Mazzadi)

“Finché c’è un’anima da curare, io sto al mio posto”

Domenica 16 luglio 1944, durante la messa, don Beotti esclamò, con voce ferma: “Se mancasse ancora un sacrificio per far cessare questa guerra, Signore, prendi me!”. E a chi gli proponeva di fuggire e di nascondersi nel bosco, lui rispose: “Finché c’è un’anima da curare, io sto al mio posto”. “Il 19 luglio – ha proseguito don Basini – sapendo che i tedeschi ormai si stavano avvicinando a Sidolo, trascorse la notte in preghiera qui in chiesa insieme a Italo Subacchi e don Francesco Delnevo. Fu una notte di passione, come quella di Gesù nell’orto degli ulivi. All’alba del 20 luglio celebrarono la messa. Nel pomeriggio di quello stesso giorno morì fucilato, insieme a don Francesco e al seminarista Italo, facendosi il segno di croce e tenendo il breviario stretto nella mano sinistra. Nella bufera della Resistenza don Giuseppe e tanti altri avevano imparato a combattere l’ingiustizia senza odiare il nemico, a morire senza invocare vendetta”.

“I martiri non sono eroi ma uomini in carne e ossa”

Una scelta simile è ancora alla nostra portata? “Il Papa ci dice di sì – afferma don Basini – perché i martiri non sono ‘eroi’ ma uomini e donne in carne e ossa che – come dice l’Apocalisse – ‘hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello’. Essi sono i veri vincitori. La loro vita attesta che il bene è più forte del male, anche se da quest’ultimo sembrano essere sconfitti. Don Giuseppe ci aiuti a fare della mitezza la cifra della nostra vita. A non avere paura di rispondere al male facendo il bene, a credere che la vera forza di un uomo è quella di partecipare dell’amore di Cristo, mite e umile di cuore”.

Il commento di Salvatore Scafuto (Pd)

“L’esempio di don Beotti, un uomo che ha dato la propria vita per gli altri, è significativo per tutti noi – commenta Salvatore Scafuto –. Era un uomo ricco di valori e sentimenti, che scelse di stare dalla parte giusta, quella della Resistenza, per permettere a noi oggi di avere una Costituzione e godere della libertà. In qualità di consigliere, rappresentare il Comune di Piacenza in questo evento gioioso è stato un grande onore. L’amministrazione comunale, a partire dalla sindaca Katia Tarasconi, è sempre sensibile quando si tratta di temi fondanti della nostra Repubblica”.

Francesco Petronzio

Don Basini saluta alpini foto Giuseppe Mazzadi

Nelle foto: in alto, un momento della commemorazione a Sidolo accanto al monumento dedicato a don Beotti, don Del Nevo e don Subacchi ; sopra, nella foto di Mazzadi, don Basini con gli Alpini presenti alla cerimonia.

Pubblicato il 24 luglio 2023

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L'omelia di don Giuseppe Basini a Sidolo

 
E' con viva emozione che presiedo la celebrazione di oggi. I motivi sono tanti. Ne richiamo due. Innanzitutto provo sentimenti di profonda commozione e di dolore se penso a chi è stato coinvolto nel terribile eccidio messo in atto dai nazisti qui a Sidolo nel pomeriggio del 20 luglio 1944. Ovvero l’uccisione di don Giuseppe Beotti, del seminarista Italo Subacchi e di don Francesco Delnevo parroco di Porcigatone. E quella di cinque civili in fuga da Borgotaro: Benci Bruno, Bozzia Francesco, Brugnoli Giovanni, Brugnoli Girolamo, Ruggeri Giuseppe. Li ricordiamo tutti con affetto e nella preghiera insieme alle vittime di ogni regime totalitario e forma di violenza, causa di terrore e di morte in ogni dove e in ogni tempo, fino ad arrivare ai nostri giorni.
Quanto accaduto, ci insegna che non possiamo dimenticare e rimanere indifferenti di fronte all’azione del male avvenuta nel passato, ma anche a quella presente nella nostra vita, nel mondo e nella Chiesa di oggi, con la quale dobbiamo fare i conti - come ci ha ricordato la pagina di Vangelo - fino al tempo della mietitura, ossia al compimento della storia. Non tanto per interrogarci, come i servi della parabola, “da dove viene la zizzania” o illuderci di “poterla sradicare” in modo definitivo dal nostro cuore e da quello di chi appare ai nostri occhi un nemico, ma per imparare da Dio a porre lo sguardo sulla bellezza del grano, cioè al bene presente in ciascuno di noi, nel mondo, nella Chiesa e sulla necessità di prenderci cura di esso perché possa crescere e portare sempre più frutto. Come ha fatto don Giuseppe, il quale non ha mai compiuto atti di violenza, anche a fin di bene, ma a immagine di Gesù Buon Pastore ha donato la sua vita per il gregge, facendo il possibile per difendere la vita e la dignità di tutti, nessuno escluso.


Don Giuseppe, buon pastore dell'umanità

E proprio nel fare memoria di questa sua donazione di vita, che riconosco il secondo motivo della mia emozione, sentendomi profondamente grato e onorato perché in questa piccola chiesa di montagna, per tre anni e sei mesi ha celebrato l’eucaristia, ha annunciato il Vangelo, ha amministrato i sacramenti un giovane sacerdote che
ora la Chiesa riconosce martire della fede e della carità, partecipe quindi della beatitudine di Dio.
Come scrisse il vescovo Luciano Monari: “Sull’esempio di Cristo, buon Pastore dell’umanità, don Giuseppe si è preso cura del piccolo gregge a lui affidato diffondendo attorno a sé il profumo della carità di Cristo nello spezzare il pane con i poveri, condividendo la storia della comunità, non esitando a donare, sull’esempio di Gesù, Agnello sacrificale, la propria vita per il bene degli altri”.
Don Giuseppe nasce a Gragnano Trebbiense il 26 agosto 1912. Viene ordinato sacerdote il 2 aprile 1938. Dopo essere stato curato per quindici mesi a Borgonovo val Tidone, il 21 gennaio 1940 è inviato come parroco a Sidolo. Nonostante le difficoltà iniziali, si sentì parte viva della sua piccola comunità.
Con l’aiuto dei suoi parrocchiani, sistemò la canonica rendendola abitabile e accogliente. Su una parete scrisse la frase di Sant’Agostino: “Fraternitatis amor in domo mea semper”, (nella mia casa sempre amore fraterno), che per lui era un modo di intendere la vita e il suo ministero sacerdotale. Da subito lo raggiunse la sorella minore Savina, che fu per lui una preziosa presenza sempre al suo fianco.
Fin dalla giovinezza don Giuseppe portava nel cuore il desiderio di vivere con radicalità il Vangelo, in particolare la vicinanza ai più poveri. La sua generosità era nota a tutti. Nel difficile periodo della guerra, don Giuseppe accolse e aiutò tutti, senza distinzioni, fossero inglesi, ebrei, partigiani, gente di ogni tendenza politica, soldati e prigionieri in fuga. Era cosciente del pericolo al quale si esponeva, ma la sua carità era più grande.
Domenica 16 luglio 1944 durante la messa esclamò, con voce ferma: “Se mancasse ancora un sacrificio per far cessare questa guerra, Signore, prendi me!”. E a chi gli proponeva di fuggire e di nascondersi nel bosco, lui rispose: “Finché c’è un’anima da curare, io sto al mio posto”.
Il 19 luglio, sapendo che i tedeschi ormai si stavano avvicinando a Sidolo, trascorse la notte in preghiera qui in chiesa insieme a Italo Subacchi e don Francesco Delnevo. Fu una notte di passione, come quella di Gesù nell’orto degli ulivi.
All’alba del 20 luglio celebrarono la Messa. Nel pomeriggio di quello stesso giorno morì fucilato, insieme a don Francesco e al seminarista Italo, facendosi il segno di croce e tenendo il breviario stretto nella mano sinistra. Nella bufera della Resistenza don Giuseppe e tanti altri avevano imparato a combattere l’ingiustizia senza odiare il nemico, a morire senza invocare vendetta.


Lasciamoci guidare da don Giuseppe

Ma domandiamoci: tale scelta è anche alla nostra portata? Il Papa ci ricorda di sì perché i martiri non sono “eroi” ma uomini e donne in carne e ossa che - come dice l’Apocalisse – “hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (7,14). Essi sono i veri vincitori. La loro vita attesta che il bene è più forte del male, anche se da quest’ultimo sembrano essere sconfitti. Dalla loro testimonianza emerge piuttosto la novità annunciata da Gesù, il quale “riesce a pensare a una vittoria che sappia fare a meno della sconfitta del nemico, che non implichi la morte del nemico. Riesce a pensare ad una vittoria sull’inimicizia, non sul nemico. È la scommessa assoluta. Sarà vittima della violenza. Ma il messaggio della croce è questo: alcune cause valgono il mio sangue, ma nessuna causa vale il sangue di mio fratello” (Ermes Ronchi).
Don Giuseppe ci aiuti a fare della mitezza la cifra della nostra vita. A non avere paura di rispondere al male facendo il bene (cfr Lettera ai Romani 12,21). A credere che la vera forza di un uomo, è quella di partecipare dell’amore di Cristo, mite e umile di cuore. Come don Giuseppe, lasciamoci guidare da Gesù, l’unico Maestro che ci può aiutare a credere che l’amore non muore, anzi se autentico ci fa vivere. Per sua intercessione Dio ci doni di essere persone appassionate, disponibili a mettere seriamente in gioco la nostra vita, a farlo con coraggio e fedeltà, per costruire adesso un mondo più giusto e più umano di quello che stiamo vivendo. La nostra preghiera e il nostro impegno saranno certamente la scelta migliore per prepararci alla sua beatificazione che sabato 30 settembre nella Cattedrale di Piacenza avremo la gioia di condividere tutti insieme. Amen.

Don Giuseppe Basini
vicario generale della diocesi di Piacenza-Bobbio

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