Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Migrare o restare? Il Vescovo: «Non possiamo rincorrere le emergenze»

Il prefetto Daniela Lupo il vescovo mons. Adriano Cevolotto e la sindaca di Piacenza Katia Tarasconi

“Non possiamo correre il rischio di rincorrere le emergenze. In questi anni ogni sbarco è stato gestito e poi archiviato. Ma non è un’emergenza, è una condizione; non è una stagione, è sempre”. Così il vescovo mons. Adriano Cevolotto, intervenuto al convegno “Liberi di scegliere se migrare o restare”, promosso dalla Fondazione Migrantes nella Sala Arazzi della Galleria Alberoni nella serata di mercoledì 20 settembre.

Il convegno alla Galleria Alberoni

Un incontro molto articolato, a cui hanno partecipato circa cento persone, che si è aperto con l’esecuzione al pianoforte di Patrizia Bernelich, presidente dell’associazione “Piacenza nel mondo”, che col “Preludio opera 28 numero 3 di Chopin” per poi proseguire con la proiezione di un filmato sulla tragedia della nave inglese “Arandora Star”, in cui persero la vita 446 italiani, la maggior parte originari dell’appennino piacentino e parmense. A commentare la vicenda Romeo Broglia e Giuseppe Conti, accompagnati dalla piva emiliana di Giammaria Conti. Poi alcune testimonianze, quella di un’avventura a lieto fine e un’altra di un’emigrazione dall’Ucraina bombardata. In collegamento video, il questore di Agrigento Emanuele Ricifari ha parlato della questione sbarchi a Lampedusa e infine un confronto istituzionale con il vescovo mons. Adriano Cevolotto, il prefetto Daniela Lupo e la sindaca di Piacenza Katia Tarasconi. A condurre la serata lo scalabriniano padre Mario Toffari, direttore dell'Ufficio diocesano per la Pastorale dei Migranti, e Camilla Cesena.

Sulla Arandora Star persero la vita piacentini e parmensi

“Ho pensato all’acqua, al movimento delle onde e al procedere della nave verso il suo destino”, così Patrizia Bernelich spiega la scelta del brano eseguito in apertura. “Anche Chopin – dice – era un migrante: polacco, emigrò in Francia, dove fu sepolto. L’ultimo suo desiderio fu però che il suo cuore fosse riportato a Varsavia, sua terra natia”. La nave immaginata durante l’ascolto delle note di Chopin è l’Arandora Star, un’imbarcazione inglese che partì il primo luglio 1940 da Liverpool per trasportare oltre 1.500 persone in un campo di detenzione in Canada. Dopo l’entrata in guerra dell’Italia, il 10 giugno 1940, il primo ministro britannico Winston Churchill ordinò la carcerazione degli italiani presenti nel Regno Unito per timore che potessero fungere da collegamento con il regime fascista, con cui gli inglesi erano in conflitto. Ma la nave, appena dopo la partenza, fu intercettata mentre viaggiava a luci spente e senza insegne umanitarie. Identificata come nave nemica, fu affondata da un sottomarino tedesco il 2 luglio 1940. Delle circa 800 persone che vi persero la vita, 446 erano italiani originari delle province di Parma, Piacenza, Lucca, Massa-Carrara e Frosinone. Un mese più tardi un pastore di Colonsay, una delle isole Ebridi, trovò sulla spiaggia il corpo di Giuseppe Delgrosso, identificato grazie alla sigla stampata sull’abito. Delgrosso, originario di Borgotaro, aveva lasciato la propria terra per stabilirsi a Hamilton, in Scozia, con la moglie e i tre figli. Dal 2004, i 130 abitanti di Colonsay sono cittadini onorari di Borgotaro. Una storia, quella dell’Arandora Star, a lungo dimenticata. A farla riemergere fu, nel 2008, un libro di Maria Serena Balestracci.

Arandora: storia di ieri e di oggi

“Dopo l’episodio, le famiglie delle vittime e i sopravvissuti si vergognavano: si sentivano traditi sia dal Paese d’origine, l’Italia, sia da quello che li aveva ospitati, di cui si sentivano cittadini. Molti di questi nostri connazionali – ripercorre Romeo Broglia – partirono a metà dell’Ottocento per raggiungere Londra, la città più popolosa e ricca d’Europa. Per permettersi il viaggio, che partiva dalla Liguria, passava dalla Provenza e attraversava tutta la Francia, fino ad arrivare a Calais e quindi a Dover, questi svolgevano lavori occasionali lungo la strada. Il mio sogno è che questa storia ci aiuti a capire meglio il tempo presente per far sì che il sacrificio di chi morì su quella nave non vada sprecato”. Giuseppe Conti, nipote di Guido Conti che morì nell’attacco alla Arandora Star, sostiene che “la storia dell’emigrazione emiliano-romagnola rappresenta una fonte importante di suggestioni utili per poter parlare ai giovani delle problematiche di oggi, di integrazione e di pace. Nella vicenda della Arandora Star c’è la follia della guerra che non accetta mediazioni, ci sono persone integrate nella comunità e c’è la rimozione di parti importanti della nostra storia, che impedisce di fare i conti con il passato”. Su quella nave anche un prete di Cremona. “Gaetano Fracassi nacque il 18 aprile 1876 in un paesino del Cremonese. Era il parroco della comunità cattolica di Manchester. Non fece mai politica, salvo criticare Mussolini e la follia di entrare in guerra. A causa delle ristrettezze economiche, affittò una stanza della canonica ad alcuni ragazzi fascisti: questo gesto bastò a farlo arrestare. Mentre la nave affondava, lui benedì a uno a uno i corpi che stavano morendo. Poi chiuse il breviario e gli occhi e aspettò di morire”.

Camilla Cesena e padre Mario Toffari

Nella foto, Camilla Cesena e padre Mario Toffari.


La storia di Moussa e Giulia

Le migrazioni spostano migliaia di persone da un Paese all’altro, da una cultura a un’altra, spesso caratterizzata da usi e costumi molto differenti. Fra questi, c’è anche chi si rende responsabile di azioni criminose. La maggior parte, tuttavia, nel silenzio, porta avanti una vita alla ricerca di un riscatto, di una rivincita, o semplicemente stringe i denti e prova a vivere dopo essere sopravvissuto. Moussa Lebchir fa parte senza dubbio di quella maggioranza. In un giorno d’estate la sua vita e quella di Giulia Cassi, giovane piacentina, si incontrano per caso. “Ero in viaggio verso Lisbona per partecipare alla Giornata mondiale della gioventù – racconta Giulia Cassi – durante una sosta a Ventimiglia dimenticai il borsello con il cellulare in area di servizio. Col telefono di una mia amica feci il mio numero e rispose Moussa, dicendo che aveva trovato la mia borsa. Ci accordammo per incontrarci a Barcellona e mi consegnò ciò che avevo dimenticato. Don Alessandro (Mazzoni, nda) ed io volevamo ricompensarlo, ma lui non accettò”. Moussa Lebchir stava andando in Marocco a trovare la sua famiglia. “Trovai questo borsello e andai dal barista per chiedergli cosa fare, lui mi consigliò di rivolgermi alla polizia. Ma poi il cellulare squillò e a Barcellona lo consegnai a Giulia”. A distanza di un mese e mezzo, i genitori di Giulia hanno voluto ringraziare pubblicamente Moussa consegnandogli un presente per i suoi tre figli.

Dall’Ucraina bombardata a Piacenza

Introdotti da Lyudmyla Popovych, presidente dell’associazione degli ucraini di Piacenza “Nadiya Odv”, Oleksandr Cherep e Olga Bazylevych, marito e moglie fuggiti dall’Ucraina bombardata, hanno raccontato la propria esperienza. “Quando la guerra ha raggiunto la nostra città – narrano – siamo rimasti per 51 giorni chiusi in una stanza di 40 metri quadri insieme ad altre 14 persone, tra cui un’anziana di 92 anni”. I due erano titolari di un salumificio, per cui un giorno Oleksandr decise di dare una mano ai suoi concittadini portando loro il cibo con un furgoncino. “Una volta finii nel mezzo di un bombardamento: Davanti ai miei occhi morirono sette persone, mentre io rimasi ferito lievemente. Undici giorni dopo altre bombe furono sganciate. E allora dissi basta, convinsi mia moglie Olga e partimmo per l’Italia”.

A Lampedusa su barchini di lamiera arrugginita

Dall’Arandora Star all’Ucraina e infine a Lampedusa. Il presidente dell’Opera Pia Alberoni Giorgio Braghieri ha scoperto la piccola “croce di Lampedusa” innestata nella parte anteriore del leggio della Sala Arazzi, donata al Collegio Alberoni nel febbraio 2017 da Arnoldo Mosca Mondadori. “È entrata a far parte del patrimonio storico e artistico alberoniano – afferma Braghieri – per noi è il simbolo delle migrazioni, di quelli che si mettono in viaggio in cerca di futuro”.

Si è collegato via internet da Agrigento, città di cui è questore, Emanuele Ricifari (che a Piacenza fu capo della Squadra Mobile), in prima linea nella gestione degli sbarchi degli ultimi giorni. “Vedere l’immigrazione al porto di Lampedusa vuol dire capirla – afferma –. Quando arrivano al porto sono felici, perché sono arrivati. La maggior parte di loro arriva da Paesi subsahariani, per cui hanno attraversato il deserto a piedi o con mezzi di fortuna. Quando arrivano sulle coste tunisine o libiche aspettano settimane o addirittura mesi prima di riuscire a partire, poi salpano su barchini lunghi dai sei ai nove metri tutti uguali, fatti di lamiera arrugginita. Si costruiscono facilmente e in poco tempo, con poliuretano espanso e due stecche di legno a coprire le saldature. All’interno vengono messi i “salvagenti”, che non sono altro che camere d’aria di vecchie auto che fungono da salvataggio”.

“Il cellulare è la loro bussola per orientarsi nel deserto”

“Quelli che arrivano hanno pochi soldi, possiedono solo ciò che è indispensabile: il cellulare. Chi non conosce le situazioni – avverte il questore di Agrigento – è portato a commettere errori di valutazione: si è dubbiosi sul fatto che abbiano il telefonino, ma senza quello non arriverebbero, perché nel deserto serve da bussola. Noi diamo loro coperte per scaldarsi e un braccialetto, dentro cui vengono scritti numeri e il Paese di provenienza. Bisogna chiarire che non trattiamo le persone come dei numeri, ma è molto complicato dare un nome a persone che non sanno parlare nessuna lingua se non il proprio dialetto e non hanno una forma di scrittura da noi comprensibile. I braccialetti, che riportano il numero dello sbarco, la data e un progressivo che identifica la persona, serve a loro per non farsi scavalcare da altri che arrivano dopo”. Perché scappano? “Attualmente molti arrivano da Burkina Faso e Guinea, luoghi in cui sono in atto persecuzioni contro i cristiani. All’arrivo in Italia li trasferiamo in hotspot dove trovano la Croce Rossa che li assiste dalla vestizione alla cura, dalla visita alla sistemazione”. Alla domanda di padre Toffari se sia più difficile gestire la mafia o l’immigrazione Ricifari risponde – citando Falcone – che “la mafia è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. La migrazione è anch’essa un fenomeno umano, ma nasce con l’uomo e morirà con l’uomo”.

Il pubblico in salaNella foto, il pubblico presente all'incontro al Collegio Alberoni.


Vescovo, prefetto e sindaco: quali sono i vostri sogni?

L’ultima parte dell’incontro ha per titolo “Anche alle autorità è lecito sognare”. Ai tre rappresentanti delle istituzioni, la domanda è “qual è il vostro sogno?”. “Il tema dell’immigrazione – risponde il vescovo mons. Adriano Cevolotto – non fa guadagnare voti, perciò non se ne parla. Il mio sogno è che faccia prendere voti, affinché si facciano delle politiche che affrontino questo fenomeno e gli diano delle prospettive. Il rischio che non possiamo correre è quello di rincorrere le emergenze. In questi anni ogni sbarco è stato gestito e poi archiviato. Ma non è un’emergenza, è una condizione; non è una stagione, è sempre. E allora va integrata nel nostro tessuto, altrimenti andremo sempre a rincorrere qualcosa che ci precede. Mi auguro che passi il messaggio che questo è un tema che riguarda tutti”. Il sogno del prefetto Daniela Lupo è “che tutti possano muoversi liberamente: non si può tarpare il desiderio di migliorare, di raggiungere qualcosa. E non si possono interrompere i sogni. Lo abbiamo visto nelle recenti immigrazioni, ero a Brindisi negli anni degli sbarchi di massa dall’Albania. La gente scappa da ciò che ha paura, ma il desiderio è sempre tornare a casa. Chi resta ha il diritto di vivere nel rispetto della legalità e di non rimanere vittima del proprio lavoro. Bisogna collaborare con il territorio per garantire un tetto e un pasto a chi arriva richiedendo asilo”. La sindaca Katia Tarasconi provò sulla propria pelle l’esperienza dell’emigrazione. “All’età di tredici anni andai negli Stati Uniti, tutti gli emigranti hanno il desiderio di tornare. Il mio sogno è che si arrivi a un’emigrazione controllata con dei flussi che danno un senso alle persone, che non debbano percorrere il deserto a piedi o salire su barca costruita in quattro giorni, bensì trovare un posto in un ciclo che garantisce loro dignità. Noi oggi paghiamo il comportamento scorretto di pochi, mentre la maggior parte di quelli che arrivano sono come Moussa Lebchir. Sono convinta che si possa educare a una convivenza che funzioni bene per tutti”.

Verso la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato

Gli eventi in programma per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato proseguono sabato 23 settembre alle 20.30 con una veglia di preghiera presso la Casa madre degli Scalabriniani in via Torta a Piacenza. Domenica alle 10.50 il vescovo mons. Adriano Cevolotto presiederà la messa solenne in Cattedrale, che sarà trasmessa in diretta su Rai Uno. Alle 14 nei chiostri della Casa madre degli Scalabriniani si terrà il concerto di Domenico La Marca “Oro rosso”.

Francesco Petronzio



Nella foto, da sinistra il prefetto Daniela Lupo, il vescovo mons. Adriano Cevolotto e la sindaca Katia Tarasconi.


Pubblicato il 21 settembre 2023

Ascolta l'audio

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente