Autonomia differenziata, ok (con riserva) dalla Corte costituzionale: tutelare l’equilibrio tra le Regioni
L’autonomia differenziata delle Regioni non è una novità. Se ne parla molto negli ultimi mesi, dopo il disegno di legge presentato dal ministro per gli affari regionali Roberto Calderoli (Lega) che ha spaccato in due il Parlamento (e il governo), ma in realtà l’autonomia differenziata è prevista fin dall’entrata in vigore della Costituzione. Il ddl Calderoli non è altro che una legge “procedurale” che determina l’iter che le Regioni devono seguire per chiedere le autonomie. A fare chiarezza sulla legge vigente e sui recenti pronunciamenti della Corte costituzionale è Alessandro Candido, professore associato di “Diritto costituzionale e pubblico” all’Università degli Studi di Milano Bicocca, che ha tenuto una “lezione” di diritto mercoledì 4 dicembre al Seminario vescovile di Piacenza. L’incontro, promosso dalla diocesi tramite la Pastorale sociale e del lavoro insieme a “Il nuovo giornale”, Azione Cattolica, Acli, Movimento cristiano lavoratori, Ucid e Movimento ecclesiale di impegno culturale (Meic), è stato moderato da Alessandro Fermi, referente del Meic.
Bilanciare l’autonomia e l’unità nazionale
La sentenza della Corte costituzionale è arrivata la sera prima dell’incontro, il 3 dicembre, e ha stabilito che il ddl Calderoli è legittimo ma allo stesso tempo ha invitato il Parlamento a tornare sul testo e a modificarlo. L’articolo della Costituzione che parla di autonomia differenziata è il 116, nel comma 3. Nel 2001, a seguito di una riforma “troppo permissiva” nei confronti delle Regioni, la Corte costituzionale ha riscritto il Titolo V, che comprende l’articolo 116. Adesso, spiega Alessandro Candido, “la Corte dice di interpretare il comma 3 dell’articolo 116 in modo che la differenziazione diventi un beneficio”. E quindi “bisogna considerare l’esigenza di un bilanciamento tra l’autonomia e l’unità nazionale, che va operato prendendo come parametro di riferimento il principio di sussidiarietà”. La Corte, spiega il docente, “dice che per ogni specifica funzione deve essere scelto il livello territoriale più efficace per garantire quella funzione (che è un aspetto della “materia”). Può essere il livello territoriale così come quello centrale. Non possono esserci trasferimenti in blocco di materie ma mirati e motivati”.
L’Italia non diventerà uno Stato federale
La Corte costituzionale, in sostanza, cerca di tutelare gli equilibri fra le Regioni. E si spinge anche oltre, limitando le materie che le Regioni possono richiedere, escludendone così alcune previste dalla Costituzione. “È una forzatura che costituisce un invito al legislatore costituzionale a cambiare il Titolo V e a eliminare alcune materie come il commercio con l’estero, la tutela dell’ambiente, le professioni, la comunicazione, gli aeroporti civili perché sono tutte materie delimitate da norme sovranazionali”, afferma Candido. L’autonomia differenziata, se entrasse davvero in vigore, non rischierebbe di rendere l’Italia uno Stato federale. “Ci sono alcune materie, come la giurisdizione, che non possono dipendere dalle singole Regioni. Queste, inoltre, non hanno una Camera rappresentativa, come accade ad esempio in Germania”, spiega il professore. È giusto precisare che, se la legge entrerà in vigore, le Regioni potranno scegliere se richiedere o meno le autonomie.
Autonomia differenziata, una questione trasversale alla politica
Sebbene la Costituzione, in vigore dal 1948, prevedesse già la suddivisione in Regioni e il principio dell’autonomia differenziata, il regionalismo si bloccò e partì solo negli anni ’70, col trasferimento delle funzioni, perfezionato poi negli anni ’90. Nel 1997 la legge Bassanini introdusse il principio della sussidiarietà. Nel 2001 ci fu un’altra riforma, ma subito dopo ci si rese conto di aver concesso troppo alle Regioni: per cui, la Corte costituzionale intervenne e riscrisse il Titolo V restituendo alcune competenze allo Stato centrale. Candido spiega che a partire dal 2018 l’autonomia differenziata è sempre stata un perno di tutte le legislature e i governi, ma dopo le elezioni politiche del 2022, col cambio di maggioranza parlamentare, alcune Regioni – fra cui l’Emilia-Romagna – che prima avevano promosso l’autonomia differenziata hanno fatto un passo indietro.
Francesco Petronzio
Nella foto, Alessandro Candido durante il suo intervento.
Pubblicato il 6 dicembre 2024
Ascolta l'audio