Menu
logo new2015 ok logo appStore logo googleStore

Madre Emmanuel: Il perdono che salva

Madre M.Emmanuel 2 fotoPagani

La vocazione di Giuseppe sarà quella di convertire i fratelli al perdono tra di loro e verso il padre, da cui si erano distaccati: perché Giuseppe per primo perdona loro le violenze commesse nei suoi confronti, mostrando che il perdono non è mai una questione personale ma parte da una persona e arriva ad inondare gli altri della luce della salvezza”. In queste parole c’è il cuore della riflessione tenuta da Madre Emmanuel Corradini (nella foto sopra, di Pagani) nel monastero di San Raimondo lo scorso 8 novembre.
Intitolato “Il perdono che salva”, il secondo incontro del nuovo ciclo di lectio dell’abadessa si è focalizzato sulla storia di Giuseppe e i suoi fratelli raccontata nel libro della Genesi. Ed è proprio citando la Genesi che la Madre ha cominciato il suo discorso.

“Israele disse a Giuseppe: […] "Va' a vedere come stanno i tuoi fratelli e come sta il bestiame, poi torna a darmi notizie". […] Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan. Essi lo videro da lontano e, prima che giungesse vicino a loro, complottarono contro di lui per farlo morire. […] Orsù, uccidiamolo e gettiamolo in una cisterna! Poi diremo: "Una bestia feroce l'ha divorato!".
Ma Ruben sentì e disse: "Non togliamogli la vita". "Non spargete il sangue, gettatelo in questa cisterna che è nel deserto, ma non colpitelo con la vostra mano" (Genesi, 13 – 23).
“Quella di Giuseppe è la storia di tanti – spiega quindi la superiora – ed è anche la storia di Gesù che viene a cercare i figli di Israele. Come Giuseppe va in cerca dei suoi fratelli, anche Gesù cerca noi per portarci al Padre. La parabola di Giuseppe è quindi una parabola della vita con tutto il suo realismo, perché opera una demarcazione tra il vero e l'illusione, tra lo spirituale e l'inganno, l'amore e la menzogna”.
“L’animale feroce che evocano i fratelli di Giuseppe quando pensano di ucciderlo è in realtà l’essere umano – ha fatto poi notare la suora cominciando a chiarire in che modo questa parabola riguarda da vicino ciascuno di noi. Sono i fratelli di Giuseppe le bestie crudeli che lo vogliono divorare, e lo stesso è successo a Gesù quando Giuda lo ha tradito. È difficile comprendere che chi abbiamo vicino ci possa ferire o fare del male. I fratelli di Giuseppe hanno progettato di assassinarlo, per cui non possiamo dire si tratti di un raptus o di un gesto d’impulso. La loro condotta è l’esito del male che hanno dentro”. E cita San Benedetto: “San Benedetto dice che si può provare un moto di stizza o d’ira, ma poi si può decidere se consegnare questo moto a Dio perché lo faccia diventare capacità di perdono e misericordia, o se, invece, lasciarlo evolvere in pensiero malvagio, giudizio, condanna, e anche in omicidio. Tutto dipende da quello che ci abita nel cuore”.

Una storia di salvezza

I figli di Giacobbe scelgono la strada che dà spazio alla cattiveria – continua - e, pur non uccidendo il fratello, lo gettano nudo nel pozzo senza nemmeno l’acqua per sopravvivere (una nudità simile a quella di Gesù, che si spoglia assumendo su di sé la condizione umana) e poi mangiano con tranquillità. È una situazione simile a quelle che spesso sentiamo oggi, quando vengono commessi delitti efferati e poi gli assassini vivono momenti di ordinaria normalità. Allora come oggi l'uomo è uguale, ma dobbiamo essere consapevoli che il male può abitare anche dento di noi. È proprio questa consapevolezza che mantiene alta la vigilanza sui propri pensieri e le proprie condotte. Così come dobbiamo renderci conto che spesso non concediamo il perdono per la volontà di mantenere una posizione di potere e di rancore verso l'altro. Quello che è accaduto a Giuseppe però non è solo ferita e umiliazione, è soprattutto la prima tappa di una storia di salvezza”.

L’abadessa prosegue richiamandosi al testo della Genesi.  “Giuseppe viene poi portato via dai Madianiti e arriva in Egitto - spiega -. Pur essendo schiavo viene apprezzato per le sue doti e mandato a servire Potifàr, che lo mette a capo di tutti i suoi averi. Ma ancora una volta subisce un'ingiustizia: viene accusato dalla moglie di Potifàr, che non accetta di essere stata rifiutata da lui, di essersi approfittato di lei e finisce in prigione. È la seconda tappa della parabola di fede e redenzione di cui si fa portare. In cella, infatti, Giuseppe non rimane bloccato su quello che gli è accaduto, schiavo della tristezza e del rancore. Sa pregare Dio che lo aiuta a perdonare i suoi calunniatori. Ci insegna che non si può allontanare il rancore senza l'aiuto di Dio; che l'ingiustizia ricevuta può essere superata solo attraverso la relazione con Lui; capace di agire in ogni ambito della nostra vita. La sua è la fede del contemplativo, di chi spera nell’opera divina e in silenzio capisce di essere utilizzato da Lui come strumento di salvezza”.
Anni più tardi, dopo essere diventato l'uomo più potente d'Egitto, Giuseppe incontra di nuovo i suoi fratelli, arrivati lì a causa della carestia. All'inizio si mostra duro con loro fingendo di non riconoscerli, ma poi, sentendoli parlare del male che gli avevano fatto senza sapere di essere compresi, si allontana e piange. “Giuseppe non vuole castigare i fratelli o vendicarsi -ha osservato la Madre-, ma aspetta che maturino i tempi per una vera riconciliazione, perché loro siano purificati e pronti ad accogliere il suo perdono”.

corradini

Le lacrime come linguaggio del cuore

Poi si è soffermata sul valore del pianto, sul «dono delle lacrime», come lo chiamavano i padri del deserto. “Il pianto non è qualcosa di cui avere vergogna o da cui stare lontano - ha detto -, le lacrime sono parole non verbali, sono una forma di comunicazione, linguaggio del cuore. Uniscono interiorità ed esteriorità e permettono di vivere emozioni che non vengono espresse a parole. Per questo non dobbiamo mai fare finta di niente di fronte alle lacrime dei bambini, degli anziani, di chi soffre. Attraverso le lacrime Giuseppe vede fratelli, non solo uomini in cerca di pane.
“Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi avete venduto in Egitto. Ma non vi rattristate e non vi arrabbiate con voi stessi. Non temete: se voi avevate pensato del male contro di me, Dio ha pensato per voi un bene. Io provvederò al sostentamento vostro e dei vostri bambini – ricorda la suora raccontando il resto della storia. Ecco la parabola di redenzione, ecco il perdono che dilaga e salva”.
Ma per capire il perdono fino in fondo dobbiamo guardare al sacrificio della Croce – ha precisato in conclusione -, per riuscire a perdonare abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio che intercede per noi: l’essere umano da solo è insufficiente a compiere questo sforzo. E allora chiediamo, attraverso la Parola di Dio e l’eucarestia, che ogni giorno sia data anche a noi la grazia di perdonare.

Micaela Ghisoni

Nella foto, l'incontro in San Raimondo con madre Corradini.

Pubblicato il 17 novembre 2025

Ascolta l'audio

Altri articoli...

  1. Don Claudio Carbeni parroco della Concattedrale di Bobbio
  2. Tutela minori, il 20 veglia di preghiera a Castel San Giovanni
  3. L'iniziazione cristiana attraverso i film: un ciclo on line verso il Natale
  4. Sussidiarietà e… welfare territoriale: un confronto sul futuro dell’Europa sociale
  5. Don Omar Bonini amministratore parrocchiale a Travo
  6. Nuovi parroci in diocesi
  7. Il 12 a Castel San Giovanni si prega per la pace
  8. Un nuovo incarico per don Davide Maloberti
  9. Il Vescovo celebra la messa per don Benzi
  10. In Santa Maria di Campagna la messa di guarigione spirituale
  11. Eletta la nuova Superiora delle Suore Scalabriniane
  12. Commemorazione dei defunti: il Vescovo celebra al cimitero
  13. «Dalle periferie esistenziali»: la teologia che nasce dai margini
  14. 35 anni fa moriva don Giuseppe Venturini
  15. «È bello per noi stare qui!»: il mandato dell’Azione Cattolica
  16. El Señor de los Milagros avvolge Piacenza nel suo manto viola
  17. Il prof. Antonio Schillani è il nuovo presidente del Forum delle Associazioni Familiari di Piacenza
  18. Il 26 in duomo la messa del Señor de los milagros
  19. Ziano, è morto don Piero Schiaffonati
  20. La statua di San Michele a Piacenza: un segno di speranza e di fede
  21. Nuovi incarichi per don Giuseppe Frazzani e don Piero Lezoli
  22. Oggi è la Giornata dei senza fissa dimora
  23. Nuovi passaggi nella fraternità diaconale della diocesi
  24. «Quasi (d)alla fine del mondo»: ripartono gli incontri in Camoteca
  25. La bellezza che rigenera: la testimonianza de La Paranza
  26. Settimana del Dono: le matricole «mettono radici»
  27. La giustizia come casa comune: Gherardo Colombo alla Settimana del Dono
  28. L'11 ottobre si prega per la pace sul sagrato della Cattedrale
  29. La credibilità dell’educatore in cammino
  30. Madre Emmanuel: «La preghiera che salva»
  31. Consegnare e accompagnare: il senso dell’azione educativa
  32. L’ora di religione a scuola: perché ne vale la pena
  33. «Un pasto al giorno», i banchetti in diocesi
  34. Costruire educatori credibili: un viaggio tra formazione teologica e pedagogica
  35. È morto don Pierluigi Boracco
  36. Radio Maria, il 25 rosario per la Pace dalle Scalabriniane
  37. Il 10 e 11 ottobre il Convegno ecclesiale d’inizio anno
  38. Scuola Giordani in lutto. «Ciao Rita, amica più che collega»
  39. Nel Duomo di Milano le Comunità neocatecumenali in festa
  40. Festa al monastero di San Raimondo: quattro nuovi oblati benedettini

Sottocategorie

  • In Cattedrale è stato ricordato il beato Secondo Pollo

    pollo

    Lunedì 26 dicembre il vescovo mons. Adriano Cevolotto ha presieduto la messa in Cattedrale a Piacenza nella memoria del beato Secondo Pollo, cappellano militare degli alpini. Vi hanno partecipato i rappresentanti delle sezioni degli Alpini di Piacenza e provincia e i sacerdoti mons. Pierluigi Dallavalle, mons. Pietro Campominosi, cappellano militare del II Reggimento Genio Pontieri, don Stefano Garilli, cappellano dell'Associazione Nazionale degli Alpini di Piacenza, don Federico Tagliaferri ex alpino e il diacono Emidio Boledi, alpino dell'anno nel 2019.
    Durante la Seconda guerra mondale, il sacerdote parte per la zona di guerra del Montenegro (Albania), dove trova la morte il 26 dicembre dello stesso anno, colpito da fuoco nemico mentre soccorreva un soldato ferito. 
    Originaio di Vercelli, fu beatificato il 24 maggio 1998 da papa Giovanni Paolo II. 

    Nella foto, il gruppo degli Alpini presenti in Cattedrale con il vescovo mons. Adriano Cevolotto.

    Pubblicato il 27 dicembre 2022

    Ascolta l'audio

    Conteggio articoli:
    16

"Il Nuovo Giornale" percepisce i contributi pubblici all’editoria.
"Il Nuovo Giornale", tramite la Fisc (Federazione Italiana Settimanali Cattolici), ha aderito allo IAP (Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria) accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

Amministrazione trasparente

Il nostro Sito utilizza esclusivamente cookies tecnici e non di tracciamento dell'IP di chi accede. Per saperne di più, clicca qui: Utilizzo Cookies