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In Santa Maria di Campagna le spoglie di un francescano che salvò l’Ordine degli Osservanti

Pietro Coppelli consegna la Medaglia della Banca a don Franco Fernandi a destra padre Secondo Ballati

«Quanti fedeli o turisti che si fermano ad ammirare la Cappella dell’Adorazione dei Magi, stupendamente affrescata dal Pordenone, hanno idea di chi sono le spoglie conservate nell’altare sottostante? Pochissimi sanno che si tratta del beato Marco da Bologna, oggi molto dimenticato ma che è stato per secoli onorato dai piacentini». Così don Franco Fernandi, diacono, autore di un documentatissimo volume dedicato alla figura del religioso in occasione del quarto centenario della traslazione delle sue spoglie in Santa Maria di Campagna, che contribuirà senz’altro a farlo conoscere.
“Piacenza e il beato Marco da Bologna francescano” (Edizioni Lir) è stato presentato dallo stesso autore alla Biblioteca del Convento di piazzale delle Crociate, nell’ambito delle Celebrazioni dei 500 anni dalla posa della prima pietra del santuario mariano, promosse dalla Comunità francescana e dalla Banca di Piacenza, che ha sostenuto la realizzazione del libro. Don Fernandi è stato presentato dal presidente del Comitato organizzatore dei 500 anni Pietro Coppelli, che ha sottolineato come l’appuntamento dedicato al beato Marco abbia chiuso un ciclo che la Banca ha dedicato alla figura di alcuni religiosi legati a Santa Maria di Campagna: iniziato con padre Andrea Corna, proseguito con il beato Bernardino da Feltre e con padre Contardo Montemaggi e concluso appunto col beato Marco da Bologna, il cui corpo riposa da 400 anni nel tempio civico dei piacentini.

Per la quaresima del 1479, i frati minori che officiavano la centralissima chiesa di San Francesco chiamarono a predicare il francescano fra Marco da Bologna. Dopo alcune settimane del suo arrivo a Piacenza, venne colpito da un violento attacco febbrile. Trasportato nel convento di Santa Maria di Nazareth, lì morì la sera del 10 aprile 1479, sabato santo. Il corpo - che stando alle cronache del tempo rimase incorrotto per anni - fu prima custodito nella chiesa di Santa Maria di Nazareth (17 maggio 1480), poi presso le monache del monastero di Santa Maria Maddalena (27 marzo 1527) e infine nell’attuale collocazione. «Con il consenso del cardinale Odoardo Farnese e del vescovo di Piacenza, nel dicembre 1622 i resti mortali di padre Marco da Bologna vennero traslati nel santuario mariano - ha ricostruito don Fernandi - ed inumate nella cappella di Casa Rollieri. Quattro anni più tardi, grazie al munifico intervento del conte Gianbernardino Rollieri, fu allestito un nuovo e prezioso altare marmoreo, fatto a Roma nella prima metà del XVII secolo, sotto la cui mensa venne collocato, il 26 marzo 1626, il corpo del frate francescano originario di Bologna». Nell’altare («il più prezioso che c’è in Basilica», ha ricordato il diacono piacentino) è inserito, dal 2002, un meccanismo che permette di sollevare e rendere visibile il corpo del beato Marco dentro alla sua urna.
Predicatore instancabile (ben 42 gli anni di attività), per tre volte vicario generale dell’Osservanza (1435-38, 1464-67, 1469-72), percorse l’Italia giungendo nei suoi viaggi fino in Russia (a piedi) e in Terra Santa al servizio di numerosi Pontefici. «Fu un personaggio “enorme”», ha sottolineato l’autore compiendo una veloce carrellata della sua vita. Era nato a Bologna nel 1409 (fu battezzato con il nome di Basotto) da Bartolomeo di Giacomo della Vezzola (mastro armaiolo) e Lisia d’Argile, terziaria francescana. Vista la sua vivacità intellettuale, frequentò l’Alma Mater (la più antica università d’Europa), dove per 15 anni si dedicò agli studi giuridici e per 3 anni a quelli di diritto canonico. Don Fernandi ha quindi dipanato una questione che si è trascinata per secoli: in molte immaginette e anche in alcuni quadri il francescano è indicato come Marco Fantuzzi da Bologna, «un cognome attribuito tardivamente, ma che non ha nulla a che vedere con i suoi natali». Nel 1421 il beato Marco incontrò il card. Nicolò Albergati, vescovo di Bologna, che gli conferì tre benefici ecclesiastici (piccole rendite che servivano a mantenersi agli studi) e nel 1435 assistette alla predica di fra Francesco da Trevi: rimase molto colpito dalle parole del francescano e decise di farsi frate. Delle principali tappe della “carriera” si è già detto. Significativo un episodio di cui si rese protagonista e che ne segnò il destino. «Nel 1472 il nuovo Papa Sisto IV - ha raccontato il relatore -, dando seguito ad alcuni insidiosi consigli del nipote, il cardinale Pietro Riario, concepì il disegno di riunificare le due famiglie francescane (Osservanti e Conventuali). Per ufficializzare questa decisione convocò un concistoro a cui fu invitato anche padre Marco. Quest’ultimo difese con grande foga la famiglia Osservante ma, accortosi dell’indifferenza degli uditori, compì un gesto clamoroso. Si tolse dalla manica del saio il testo della Regola bollata e la gettò a terra, nel mezzo della sala, esclamando: “Ora, santissimo Padre Francesco, difendi tu la causa della tua Regola, perché io non riesco a nulla”. E, immediatamente, uscì dall’aula. La notizia varcò ben presto i confini italiani e, nel giro di breve tempo, giunsero a Roma numerose e influenti lettere a favore della famiglia Osservante che vennero sottoposte al Pontefice, il quale decise di recedere dal suo intento. Il clamoroso gesto compiuto in presenza di Sisto IV aveva lasciato un segno profondo e a padre Marco non venne più affidato nessun incarico di responsabilità all’interno dell’Ordine. E fu forse per questo che fu proclamato beato solo nel 1868 e non diventò mai santo».
Dopo la sua morte, crescente fu la devozione nei suoi confronti e sono state documentate numerose guarigioni prodigiose legate all’invocazione di padre Marco, tanto che veniva raffigurato con l’aureola della santità. Forte di temperamento, non perse mai la tipica umiltà francescana, tanto che rifiutò la nomina a cardinale che gli propose Papa Paolo II.
A don Fernandi, in segno di riconoscenza per l’intensa attività svolta per i 500 anni della Basilica, il dott. Coppelli ha consegnato la Medaglia della Banca. Al termine, ai partecipanti è stato distribuito il volume e l’autore si è volentieri prestato al rito del firma-copia.

Nella foto, da sinistra Pietro Coppelli, Franco Fernandi e padre Secondo Ballati.

Pubblicato il 26 novembre 2022

 

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  • Un libro per capire le differenze tra cristianesimo e islam e costruire il dialogo

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    “La grande sfida che deve affrontare il cristianesimo oggi è di coniugare la più leale e condivisa partecipazione al dialogo interreligioso con una fede indiscussa sul significato salvifico universale di Gesù Cristo”. Con questa citazione del cardinale Raniero Cantalamessa si potrebbe cercare di riassumere il senso e lo scopo del libro “Verità e dialogo: contributo per un discernimento cristiano sul fenomeno dell’Islam”, scritto dal prof. Roberto Caprini e presentato di recente al Seminario vescovile di via Scalabrini a Piacenza grazie alle associazioni Confederex (Confederazione italiana ex alunni di scuole cattoliche) e Gebetsliga (Unione di preghiera per il beato Carlo d’Asburgo).

    Conoscere l’altro

    L’autore, introdotto dal prof. Maurizio Dossena, ha raccontato come questa ricerca sia nata da un interesse personale che l’ha portato a leggere il Corano per capire meglio la spiritualità e la religione islamica, sia da un punto di vista storico sia contenutistico. La conoscenza dell’altro - sintetizziamo il suo pensiero - è un fattore fondamentale per poter dialogare, e per conoscere il mondo islamico risulta di straordinaria importanza la conoscenza del Corano, che non è solo il testo sacro di riferimento per i musulmani ma è la base, il pilastro portante del modus operandi e vivendi dei fedeli islamici, un insieme di versi da recitare a memoria (Corano dall’arabo Quran significa proprio “la recitazione”) senza l’interpretazione o la mediazione di un sacerdote. Nel libro sono spiegati numerosi passi del Corano che mettono in luce le grandi differenze tra l’islam e la religione cristiana, ma non è questo il motivo per cui far cessare il dialogo, che secondo Roberto Caprini “parte proprio dal riconoscere la Verità che è Cristo. Questo punto fermo rende possibile un dialogo solo sul piano umano che ovviamente è estremamente utile per una convivenza civile, ma tenendo sempre che è nella Chiesa e in Cristo che risiede la Verità”.

    Le differenze tra le due religioni

    Anche il cardinal Giacomo Biffi, in un’intervista nel 2004, spiegò come il dovere della carità e del dialogo si attui proprio nel non nascondere la verità, anche quando questo può creare incomprensioni. Partendo da questo il prof. Caprini ha messo in luce la presenza di Cristo e dei cristiani nel Corano, in cui sono accusati di aver creato un culto politeista (la Santissima Trinità), nonché la negazione della divinità di Gesù, descritto sempre e solo come “figlio di Maria”. Queste divergenze teologiche per Caprini non sono le uniche differenze che allontanano il mondo giudaico-cristiano da quello islamico: il concetto di sharia, il ruolo della donna e la guerra di religione sono aspetti inconciliabili con le democrazie occidentali, ma che non precludono la possibilità di vivere in pace e in armonia con persone di fede islamica. Sono chiare ed ampie le differenze religiose ma è altrettanto chiara la necessità di dover convivere con persone islamiche e proprio su questo punto Caprini ricorda un tassello fondamentale: siamo tutti uomini, tutti figli di Dio. E su questo, sull’umanità, possiamo fondare il rispetto reciproco e possiamo costruire un mondo dove, nonostante le divergenze, si può convivere guardando, però, sempre con certezza e sicurezza alla luce che proviene dalla Verità che è Gesù Cristo.

                                                                                                   Francesco Archilli

     
    Nella foto, l’autore del libro, prof. Roberto Caprini, accanto al prof. Maurizio Dossena.

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